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Interviste

Non È INUTILE PARLARE D’AMORE. PAOLO BENVEGNÙ sul nuovo disco e sull’urgenza di bruciare, senza andare a fuoco

A dicembre abbiamo intervistato l’artista in vista dell’uscita dell’atteso nuovo album, il 12 gennaio, che vede nelle collaborazioni anche Brunori e Neri Marcorè. Ne è uscita fuori una conversazione sulla vita e su cosa significa fare musica per sè quando siamo circondati da brutale concretezza.

Articolo di Marzia Picciano

Paolo Benvegnù è un poeta moderno, non solo per la lirica dei suoi pezzi che lo rende una sorta di ultimo dei Mohicani in un mondo che non riesce più ad astrarsi dalla quotidianità ossessiva in cui è immerso. Lo è a 360 gradi, nella quotidianità, nella costruzione dei pensieri del quotidiano: “Dove metto quelle piccole intuizioni, quei ‘salti’ che ogni giorno mi vengono… dove li metto?” – in versi, risposta. È INUTILE PARLARE D’AMORE (Woodworm/Universal Music), anticipato dal singolo Canzoni Brutte, è  il nono album del cantante che segna un preciso nuovo tracciato nella sua maturità artistica. È  l’album della presa di coscienza, raccontata attraverso un’immaginaria storia di e tra due figure archetipali, manco a dirlo: un Lui e una Lei, persi in una vorticosa sceneggiatura di cose, luoghi e sentimenti (un film di Wim Wenders, in breve), che attraversano diverse dimensioni dell’io per provare a risolversi o più  semplicemente a capirsi.

La narrazione vanta anche una serie di innesti e collaborazioni preziose, Brunori SAS nella bellissima L’Oceano e Neri Marcorè con cui è stata ri-registrata 27/12, già contenuta nell’EP Solo fiori (raccolta anticipatoria dell’aprile 2023, del cui live ha parlato la nostra Serena Lotti con le foto di Roberto Finizio). Dal vivo la prima data per assaporare il nuovo lavoro per intero è il 20 gennaio al Glue di Firenze, seguito da Torino (Hiroshima Mon Amour, 8 febbraio), Brescia (Latteria Molloy, 9 febbraio), Roma (22 febbraio, Monk) e Modena (23 febbraio, all’Arci Kalinka Dude di Soliera) e altre a venire.

Incontro Paolo a metà dicembre, un freddo senza fine a Milano prima di Natale, nel tardo pomeriggio di una giornata piena di lavoro e lavori. Sarà stata la stanchezza, sarà che era fine giornata e che alla fine si può  uscire un pò  dai binari; sarà che Paolo è  davvero innamorato della sua vocazione di cantautore unico e dei fantastici ragazzi che hanno fatto questo viaggio con lui. Ne è venuta fuori una conversazione che definirò “astratta” e con cui, attraversando il nuovo disco, abbiamo sviscerato la chiamata non alle armi ma alla difesa – riportata a seguire in lapidari comandamenti – di Benvegnù di un modo di fare musica che risponde a una sola urgenza: quella della sua autenticità.

Primo. Scrivere Canzoni Brutte come autodifesa

Rompiamo il ghiaccio con Canzoni Brutte, l’accattivante singolo che anticipa l’album. Qui sembra farsi ironia su chi oggi scrive usando “delle frasi che non c’entrano niente/ma piaccion tanto alla gente”. In realtà è più una terapia di auto-accettazione.

È  chiaro che decontestualizzato quel pezzo è semplicemente una disamina sulla mia incapacità e mio limite di non saper scrivere cose che hanno uno spazio e un tempo. Un limite grande in questo momento storico” Non essere “attuali”? “È interessante andare sugli effetti delle cose. Quello che ho fatto io nella mia vita è stato sempre fare una ricerca sulle cause. E questo dipende anche dal fattore generazionale”.

Prendo ad esempio gli artisti che inseriscono costantemente elementi di attualità e quotidianità nel loro mondo cantautoriale, che hanno molta presa sull’audience. Paolo ne è ammirato, anche se non può fare a meno di notare che qualcosa è cambiato.

Prima, generazionalmente, se io non comprendevo una cosa, ero io che non la comprendevo. Si andava alla ricerca di un’identità che potesse fare si che questa cosa io la potessi comprendere, anche se non nel profondo. Ad un certo punto si è  verificato un altro fatto. Io sento una cosa, che non comprendo: non ti sai spiegare. Dall’identità si è  passato all’eredità. Sociologicamete e filosoficamente è  veramente una cesura netta”. Canzoni Brutte (o Canzoni Buffe come voleva chiamarla), parla del suo “limite di essere talmente tangente alle cose, di perdermi talmente tanto nell’altrove, che quando scrivo del reale, come questo pezzo, sono non credibile. Anche se in un senso bello!” C’è da dire che è una canzone molto ironica, ma come dire, fa ridere ma anche pensare. “Voglio dire che in generale stiamo anche semplificando troppo il metodo. A me serviva quel pezzo in questo disco, perchè  nel romanzo (la sceneggiatura nel disco ndr) che ho scritto nella mia testa, c’è  un momento in cui uno dei due protagonisti abdica alla propria purezza. Ed eccoci che torna la realta, ma subito dopo ritorna… va da un’altra parte, di nuovo”.

Due. Naufragare per non prendere scorciatoie

Dovremmo pensare che anche lo stesso titolo del disco È inutile parlar d’amore sia preludio di un processo di abdicazione dalla purezza fino a quello che è più vendibile, quello che dovremmo essere e non possiamo essere, e non vogliamo essere?

Da un lato è una resa a quello che è  il mondo oggi. Se uno tende sempre al pragmatismo e alla concretezza, cosa che la tecnologia ci sta portando a fare, la domanda è: non ci stiamo perdendo qualcosa? Allora qual è la cosa che è talmente irrazionale da pensare che invece ti stai perdendo qualcosa? È l’amore, se ci pensi bene”.

Arrivo quindi a L’Oceano, brano interpretato con Dario Brunori (“un ragazzo estremamente generoso a voler dare una mano a dei naufraghi come noi, ha preso questo impegno anche se stava lavorando al suo disco”), perla e pietra angolare della narrazione: il totale perdersi nell’irrazionale che è la spinta dentro ciascuno di noi. Il pezzo sembra strizzare l’occhio a un altro grande di Paolo, Il Mare Verticale, pieno di persone che si sentono deboli. Arriva la domanda marzulliana. Gli autori delle Canzoni Brutte sono i deboli nel Mare Verticale, e sono i deboli i protagonisti de L’Oceano?

Mettiamola cosi. Se tu non riesci a tenere il timone dritto, e sei perso nel mare, la cosa che puoi fare è cercare con il sestante la strada piu’ breve, per arrivare a una riva. E percio sì, sono quelli. Sono quelli che polvere della storia/tutti in fila ad urlare in Tecnica e Simbolica, sono quelli che fanno questo passaggio e fanno Canzoni Brutte. È quel tipo di umanità. Ma non dovrebbe essere cosi: uno non dovrebbe prendere scorciatoie.”

Tre. Bruciare come Alchimisti

Fare l’artista è  una missione. “Uno dovrebbe prendere la vita per quello che è anche con le difficolta che ha. Se ha un’intenzione, se ha un desiderio….perciò  dico che Canzoni Brutte è una canzone scritta per negazione. Mi piacerebbe fosse scontato dire che non esiste una formula per nessuno, ma per me che ho vissuto la vita bruciandola, bruciata, bruciandola tutt’ora, mai a fuoco ma sempre nel fuoco, non c’è altra possibilita che andare a fondo e bruciare nel fuoco.

Ecco la personalissima via Crucis di Paolo. “Nella scrittura di questo disco mi sono veramente commosso. Non ho mai avuto coscienza nello scrivere. Il fatto di essere stato così incosciente nello scrivere, per fattori miei personali, mi conforta, perche vuol dire che quello che sento ha anche una piccola risonanza in superficie… è una cosa che serve a me”.

Dal mare risaliamo a mettere insieme i pezzi di questo lavoro, anzi del lavoro del cantautore. “Quasi tutti questi brani sono usciti in maniera primigenia. Mi capita spesso. Ci sono dei momenti in cui sei sempre nell’aria, un po’ li cerchi, ma sono sempre nell’aria. Poi arriva un momento in cui, in maniera incontrovertibile, questa cosa nell’aria diventa materia. Questo è  quello che dovrebbero fare quelli che scrivono canzoni: essere un po’ degli alchimisti.”

Quattro. Fare come le cellule, breviari di sopravvivenza

Ma è  molto difficile anche “fare” gli alchimisti oggi. “In realtà non lo è. Bisogna vivere questa cosa cosa come un atto. Non devi finalizzarti. Lo fai perche serve a te. È una visione un pò  diversa rispetto a quello che è  stato negli ultimi 10-15 anni anche nella letteratura, nell’arte contemporanea, nella danza. Devi fare ricerca per sè. Non devi preoccuparti di quello che succede all’esterno.” Parlare di fare musica oggi come lavoro è  difficile visto il mercato complesso e quindi non ha problemi nel porre la sua visione. “Senza voler impartire lezioni, penso che dobbiamo muoverci ormai come le cellule, per dare le informazioni che servono alla cellula nuova per sopravvivenza. Questo disco, come tutte le cose che ho fatto negli ultimi 7-8 anni da Hermann in poi, sono breviari di sopravvivenza. Non hanno nessun’altra ambizione”.

Nel tutto c’è un’apologia di se stesso che nasconde grande chiarezza su cosa ci si aspetta come funzionario dell’arte. “Di ciò che viene raccontato nella giornata si occupano gia’ le fiction, le serie tv, i giornali, i social. E allora non è una questione di ambizione, perchè qualcuno può essere stato affascinato da Shakespeare, da Omero, o da Dante: a me quello che interessa è capire come queste persone abbiano tradotto l’emozione in parola. Per questo sono fuori dallo spazio e dal tempo, e purtroppo anche nella vita reale! Per me questa è  la maniera di scrivere. Non so se è  giusta”. E poi si giustifica: “sono un figlio della stizza cosmica degli anni ‘90”.

Cinque. Creare come solo una donna sa fare

In questa maniera, però, non manca mai la leggerezza. “Nel facere di questo disco ci siamo divertiti anche se i pezzi sono drammaticissimi”. Senza dimenticarsi neanche delle questioni di fondo generazionali. Prendo ad esempio il pezzo Marlene Dietrich: c’è  un’idea precisa di femminile. Paolo sottolinea il potere della creazione in carne e sangue.

Costruire grattacieli, scrivere canzoni bellissime, fare tavoli di design meravigliosi, costruire gioielli con diamanti purissimi, ha a che fare con la creazione, si. Ma non è  un surrogato della crazione in carne e sangue. La domanda è perche la figura che dà vita deve essere sempre maltrattata? Io penso di sapere perche: abbiamo una paura fottuta di voi”. Lo evince dal legame madre figlio, che anche quando negato, è  imprescindibile. “Ho perso mia madre, so cosa significa. Ho perso mio padre, non è stato cosi, ed ero legato a entrambi. Ero in ospedale, di fianco a me c’era quest’uomo ottuagenario che chiamava ‘mamma!’. È  la prima cosa che dici, e l’ultima. Il possesso dell’uomo è la manifestazione di questa paura. Spero che vi vendichiate presto”.

Paolo Benvegnù in concerto alla Santeria Toscana 31 di Milano foto di Roberto Finizio per www.rockon.it

E parla di liberazione, di “esprimere veramente” chi siamo. Controbatto: non siamo tutte o tutti sempre consapevoli di chi siamo, soprattutto se siamo immersi/e in un set di regole e milioni di slogan, che sono ancor più deleteri. “Siamo abituati ad avere persone che vogliono farci vedere in nero su bianco, in quadridimensioni, la realtà. In quel pezzo c’è  scritto tutto. C’è  una figura maschile nel pezzo, è  Rodolfo Valentino, scappa sempre a cavallo. Siamo noi. Scappiamo, da sempre.” (Paolo, sapessi che vita da appese e che skill abbiamo sviluppato nei secoli).

Chiudiamo che è praticamente ora di cena, ma non prima di una chiusa finale sul fare o non fare il cantautore oggi: “Non è essere visti o non essere visti: serve essere. Non è  il successo: è  far succedere”. Essere autentici è una sfida per supereroi, e non è detto che siano tutti scintillanti. Anzi. Ma non si pensi che sia inutile.

Clicca qui per ri-vedere le foto di Paolo Benvegnù in concerto a Milano del 13 maggio 2023 (o sfoglia la gallery qui sotto)

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Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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