Articolo di Serena Lotti | Foto di Roberto Finizio
Con la pioggia è arrivata anche la poesia. In una freddissima serata di un atipico maggio, in una Milano che annaspa praticamente sotto l’acqua e che ha ritardato pesantemente il cambio dell’armadio, ha avuto luogo l’attesissimo live di Paolo Benvegnù, ex leader degli Scisma ed uno dei più validi ed intensi cantautori italiani.
Location d’elezione, la Santeria di Via Paladini. Dopo l’uscita del suo EP Solo Fiori, l’artista lombardo, dopo il live all’Auditorium Parco della Musica di Roma con ospite speciale Brunori, ha regalato ad un pubblico (che più che tale sembrava un gruppo di accoliti, di discepoli in adorazione) due ore di autentica e illuminante poesia.
Accompagnato da Luca Baldini al basso, Daniele Berioli alla batteria, Gabriele Berioli alla chitarra, Tazio Aprile alla tastiera e Saverio Zacchei al trombone e sintetizzatori, Paolo Benvegnù sale su un palco immerso nel buio e illuminato dalla fievole luce di una gigantesca rosa bianca.

La narrazione di queste due ora si basa su una perfetta interazione tra più linguaggi, intenzioni, messaggi: è il sogno che si riproduce a più livelli, consistenze e sottotesti. Paolo Benvegnù ci fa dono di suoni aridi, grezzi, laceranti, per poi farci trastullare nel lirismo e nella soavità di una costruzione letteraria che è autentica poesia.
Utopia e disincanto. Sacro e profano. Come coesistono meravigliosamente nella poetica di Benvegnù elementi antitetici eppure così in stretta armonia nel tempo e nello spazio… La sua è una volonta chiara di raccontarci il mondo per come è, malvagio, pornografico, miserabile, un corollario di disagio sociale e umano che pare non avere nulla di sanabile, per poi offrirci la speranza di un riscatto con l’altro lato della medaglia, quello sacrale della natura e dell’amore come luogo salvifico e magico, accessibile e accogliente.

Lo stream of consciousness di questo meraviglioso concerto trova le sue fermate in tutte quelle che sono le tappe della discografia del cantautore milanese, senza prediligerne alcune su altre. Le labbra, Heart Hotel, Hermann, Piccoli Fragilissimi Film, Dell’odio dell’innocenza.
Un crescendo narrativo deciso, una ventina di brani marmorei nella dimensione live, potenti, magmatici, carichi di pathos ma al tempo stesso dalla natura fragile, ruvidamente autentici, negli arrangiamenti, nelle intenzioni, nei colori, nele storie che svelano piano piano, aprendosi lentamente, proprio come sembra fare la rosa che svetta sul palco.
Paolo ci regala un canzoniere completo ed assolutamente generoso: passiamo così dalla vibrante caratura sonora de Io e il mio amore, alle teatrali e crepuscolari Love is talking, Our love song e 27-12 tratte proprio dall’ultimo EP Solo Fiori, insieme al j’accuse ironico e sardonico di Italia Pornografica, durante la cui esibizione il cantautore lombardo non mancherà di dispensare qualche irresistibile risolino sottecchi.
Siamo guardando dentro il caleidoscopio di un artista visionario ma, al tempo stesso, tanto radicato nel modo terreno, nel qui e ora: siamo dei voyeur che cantano e che spiano un mondo immaginario, un piccolo circo felliniano. Non possiamo che essere inghiottiti, trascinati senza peso dai frammenti di poesia di questi brani liquidi: la perfezione geometrica delle costruzioni narrative nel contempo si regge su equilibri sonori delicatissimi, pronti ad esplodere da un momento all’altro in mille frammenti colorati. C’è qui tutto un campionario di muta umanità: ci sono i dolori, le riflessioni, le inquiteudini, i limiti dell’animo umano, le stratificazione della propria esperienza di uomo, di artista, di intellettuale. Chitarre muscolari ci accompagnano, suoni grevi, fiati leggeri e la bellezza unica di immagini soffici e liquide.
Nel frattempo Paolo si racconta e ci racconta con un’ironia irresistibile piccole, piccolissime storie del suo vissuto di musicista intinerante, tra la Slovenia e la Germania, tra Parigi ed una immaginaria Ragusa, storie dove compaiono come piccole fatine di cristallo, metaforfosi che partono dal sogno, gli altri protagonisti di questo live. Prima Malika Ayane, in duetto nella dolcissima ballata Non esiste altro e in Telefonami, brano di Malika contenuto nel suo ultimo disco Malifesto. Coesi, empatici, leggeri, divertenti e divertiti.

Ed ecco ora arrivare un altro grande poeta contemporaneo, Pacifico che regala al pubblico una canzone che per la prima volta fa ascoltare dal vivo Il tuo nome è qui, è struggente, necessaria, bellissima. Come racconta lo stesso Paolo “Non riesco a suonarla senza morirne, quella è la mia canzone preferita di tutti i tempi”. Ammetto di sentirmi anche io sospesa nel tempo e nello spazio, catturata dalla devastante semplicità di parole buone, pulite e generose come Il parapiglia dei moscerini, Potremmo partire o discutere…. di verità che sento davvero mie, e lo sentono anche tutti gli altri, questa piccola rappresentanza di umanità stasera, col cuore gonfio e accogliente.
Ed è ancora con un intensissimo Pacifico al piano, entrambi spostano l’amore senza muoversi di un centimetro, ed è ancora Paolo ci fa dono della maestosità di una intensa versione de Il mare verticale a cui fa seguito ancora una piccola lista di quelle perle preziose che compongono uno dei dischi che hanno fatto da colonna sonora a un pezzo della mia vita, Piccoli fragilissimi film. La riflessione amara, la constatazione dei nostri limiti con la virulente Suggestionabili, i suoni fiochi della purezza, anche sonora, con E’ solo un sogno, la potente e drammatica, la malinconica Cerchi nell’acqua, che non chiede il permesso e si insinua dolcemente con le sue strofe cariche di lirismo ed immaginifiche.
Non è dato sapere da quale pianeta o dimensione parallela sia caduto Paolo Benvegnù, non è dato nemmeno sapere quanto questo bieco mondo se lo meriti un artista così, uno che ci spiega la vita materializzando l’essenza e trasmutando le forme, di qualsiasi natura esse siano, sonore, narrative, emotive, come un falegname fa con il legno, sensazioni che mutano sempre, che evolvono continuamente, dell’essenzialità di una forma espressiva che per quando asciutta e scarna riesce anche ad essere, sa riempire spazi e farli implodere di energia e verità. Paolo è un artista che ci trascina nei suoi oceani congelati, nella sua solitudine mistica, un musicista che fa la rivoluzione con la sola potenza della purezza di una poesia per pochi, nell’esasperazione di una strofa ora o nella sconcertante semplicità e dolcezza di una costruzione armonica.
La rivoluzione culturale ci ha insegnato che l’arte deve essere democratica, fruibile a tutti, aperta. Se l’arte deve essere libera di esprimersi, di manifestarsi, di generararsi e l’artista autoidentificarsi in una libertà inalienabile, e dentro questo insopprimibile diritto deve muoversi, vivere, creare, quanto diritto di godibilità, su questa offerta unica, può esercitare l’umanità? La poesia raffinata e disarmante di cui un artista come Paolo Benvegnù ci fa dono, la meritiamo veramente? Siamo corrotti, deboli, fallibili. Siamo impauriti, avidi, egoisti. Siamo bugiardi, meschini, materialisti.Non ce lo meritiamo uno come Paolo Benvegnù è vero. Ma quanto ne abbiamo dannatamente bisogno.
Clicca qui per vedere le foto di Paolo Benvegnù in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
PAOLO BENVEGNÙ: la scaletta del concerto di Milano
Una nuova innocenza
Io e il mio amore
Il nemico
Love is talking
Our love song
27-12
Pietre
Non esiste altro (con Malika Ayane)
Telefonami (con Malika Ayane)
La schiena
Italia pornografica
Il tuo nome è qui (con Pacifico)
Il mare verticale (con Pacifico)
Suggestionabili
E’ solo un sogno
ENCORE
Avanzate, ascoltate
Nel silenzio
Cerchi nell’acqua
Tulipani
