Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Ripamonti
Tre giorni intensi non c’è che dire. E se abbiamo imparato qualcosa, beh, è che ogni strada ha le sue criticità, ma se a terra vedi il tratturo, devi seguire, non c’è da deviare. Quindi arriviamo a monte o a valle (decidete voi), io e il mio gruppo di transumanti siamo provati (soprattutto dal salto nel vuoto della conca di Salle) e l’adrenalina da Cosmo sta scendendo, piano piano, divaga verso sera con la voglia di pace. Non è raro vedere nell’area festival qualcuno con la nostra stessa visione: i teli sono aumentati, anche le persone stese, qualcuna anche dormiente, e che gli vogliamo dire, l’atmosfera è questa. Non chill, ma potremmo dire da fine estate davvero, campo estivo e falo in chiusura
Quindi perché non dare un colpo di estremismo per iniziare? Pietro Mio è l’effetto straniamento fatto per distogliere i nostri pensieri da Nicky Macha al dj set molto chill di apertura mentre prendiamo i nostri arrosticini, la nostra birra e pensiamo a come seguire il flusso e buttarci a terra a campeggiare con il languore da fine bella stagione. Appunto mandiamoci, sul palco floreale de La Serra, Pietro Maria Mazzoli, milanese, classe duemila, se andiamo a vedere il suo pedigree online troviamo poeta, autore, drammaturgo, un innamorato di Lucio Fulci (?) whatever, insomma un’essenza artistica (prettamente milanese, si deve dire) che si presenta sul palco in costume e asciugamano accompagnato dal base master e una compagna lucertola verde che spruzza acqua sui presenti. Più che un concerto è un concept concert di teatro dell’assurdo a velocità razzo (e desiderio di drink più decisi) che sveglia il pubblico concludendo con un momento decisamente Pop X per arrivare al prossimo main act, due da main stage stasera, con Marco Castello.
Marco Castello è decisamente la sorpresa musicale degli ultimi anni. Arrivato quasi in sordina, ci si trova sempre più spesso a menzionarlo, sentirlo, parlarne. L’influenza di Erlend Oye è sempre presente (alcuni pezzi suonano davvero tanto come The Whitest Boy Alive) ma è perfetto perché Castello è riuscito a mixarlo con un sound che richiama Battisti e Sorrenti – e una cover del primo è arrivata in encore, Dio Mio No, suonata con la verve e ironia necessaria che il suo autore richiedeva. Ed è questa la cosa davvero bella di Castello: è ironico. Sarà l’uso del siciliano (ma è l’anno dell’eccezione culturale locale nella musica italiana), sarà che sorride sornione, ma a noi Castello ci sta proprio simpatico, pure la sua band Stefano Ortisi, Luigi Orofino, Lorenzo Pisoni e Leonardo Varsalona anche se un po’ sembra che ci prende tutti in giro con i video da iPhone in visual che ripetono spezzi di vita al limite dell’assurdo quotidiano e a me va benissimo così. Tra l’altro, grande sorpresa (nel senso più che positivo del termine) nello scoprire una fan base ben strutturata sul territorio abruzzese, testimoniata dalla folla felice allo stand del merch dove Castello si è messo dopo ad accogliere gli ammiratori. Ammirata anche io.
La fine è vicina ma non troppo. Nel senso, è il momento dei Tre Allegri Ragazzi Morti che inseriscono con Toffolo il Transumare Fest nel percorso dei loro 30 anni di celebrazione di attività e concedono alla folla del festival anche una sessione (sul filo dell’isterismo da ultimo giorno di festival) di Qi Gong, per chi ha perso l’occasione di farla alle sei del mattino a Roseto, parte delle experience (più esotiche) di Transumare. Non è vero: Toffolo ha già proposto la pratica di respirazione in altre piazze e con libretto dedicato. A quanto pare siamo stati più pazienti. Però poi abbiamo voluto la “solita merda”. Che popolo di persone attaccate alle tradizioni che siamo!
Ma alla fine i TARM e il loro repertorio cosa ci insegnano, oltre che il fascino di mettersi le maschere da allegro ragazzo scheletro non finirà mai – ironia, in realtà appena entrati abbiamo visto fan prontissimi, con tanto di carrozzine e figli, del resto trentanni è che cantano e producono, io ho avuto il tempo di nascere, crescere, studiare laurearmi e cambiare tre posti di lavoro e pertanto perdere ogni fiducia nel capitalismo che mi ha cresciuto, lasciamo stare l’amore che ormai è rimasto l’ultima forma di idealismo? Che se di un amore, che sia esso concreto o irreale, una persona o un posto, ci rimane qualcosa nei denti prima o poi lo digeriremo. E diventerà parte di noi. O il nostro corpo lo accetterà, si adeguerà, lo vorrà ancora, e ancora, perché alla fine il nostro corpo rimane casa.
Ce ne andiamo con il sorriso in faccia, stanchi si, ma chi non viene stancato da un cammino, seppur metaforico? Che bello tornare a casa e sapere che è comunque vicina, nello spirito, al punto di partenza. Transumare Fest si è rivelato un buon modo per tornare a casa, sia per me, che la casa ce l’ho lì vicino davvero, sia perché è un modo per scoprire casa, la propria comunità, e di cosa questa è capace. Anche chi era con me l’ha inteso bene. E come ci ha ricordato qualcuno nelle massime di un esponente dei nostri tempi che, evidentemente, non era mai troppo convinto della fine di qualcosa, non è da escludere il ritorno, anzi – speriamo sia tempo di tornare presto.
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