Articolo di Serena Lotti | Foto di Roberto Finizio
Stasera l’Alcatraz di Milano si è dipinto stelle e strisce con l’arrivo sul palco degli statunitensi Blackberry Smoke, che in quasi 20 anni di carriera sono diventati i più convincenti interpreti del southern rock americano contemporaneo, capaci di superare persino gruppi storici come gli Allman e i gli Skynyrd.
Nati in Georgia nel 2000 e con all’attivo un average di duecentocinquanta live all’anno, i Blackberry Smoke si sono fatti il mazzo live dopo live, album dopo album, imponendosi non solo ad un pubblico di nicchia legato alle sonorità del rock popolare degli anni settanta, ma anche ad un pubblico più ampio, esportando il loro brioso e sanguigno country rock blues americano con qualche incursione di sound zeppeliniano anche nella cara vecchia Europa.
Capelloni quanto basta e con quel filo di appeal tamarro che gli calza come un guanto, focosi e impetuosi, hanno consegnato ad pubblico milanese non certo di millennials, una lunga e calda serata, scrivendo ed interpretando in un modo tutto loro una pagina della storia del rock sudista, cavalcando vigorosamente le sonorità hot e dinamiche di un periodo musicale tra i più storici e romance.
Spaccano quasi il minuto, alle 21.10 il frontman Charlie Starr sale sul palco, a seguire Richard e Brit Turner, Paul Jackson e Brandon Still. Schiacciata sotto le transenne tra non poche teste canute e brizzolate ascolto con grande apprezzamento i commenti da esperti dei preparatissimi fans che spaziano da affermazioni entusiaste sul ponte Bigsby della Gibson di Starr fino alle specifiche tecniche di un non meglio identificato ampli Orange AD30. Questo non è un pubblico improvvisato insomma.
Chi si aspettava di ascoltare una previdibile promotion del loro nuovo album Find a Light è rimasto deluso, o forse no. I Blackberry Smoke hanno suonato magistralmente e riproposto un meltin’ pot di brani di quasi tutti i loro album con una massiccia presenza di pezzi pescati dal loro terzo album Whippoorwill, che resta sicuramente il loro miglior disco e dal penultimo lavoro, Like an Arrow, nato nel 2016 . Il frontman Charlie Starr ha imposto la sua leadership unica anche ieri sera, affermandosi come il vero protagonista della serata. Attraverso frequenti cambi di chitarra (passerà spesso da una spettacolare e fiammante Gibson Es335 ad un paio Fender Telecaster), le distorsioni di una lunghissima e priva di cantato Sleeping Dogs, gli infiniti soli di Ramblin e Holy Ghost Charlie Starr ha ringraziato più volte il pubblico milanese durante il live, addirittura affermando, prima di attaccare con Free on the wing che gli sarebbe tanto piaciuto cantare in italiano, salvo il fatto che il nostro è un’idioma troppo complicato.
Un pubblico ricettivo, attento e composto si è scaldato al ritmo dei grandi classici dei Blackberry Smoke come Good one (e qui Starr li fa cantare tutti mentre accenna un’improvvisata danza dondolandosi sulle puntute ginocchia), Thunder, Run Away, e su Restless il pubblico ci ha regalato anche un intramontabile accompagnamento a ritmo di clap clap.
Un’impostazione pulita ma dal ritmo sostenuto, un approccio sul palco serio, a tratti prevedibile e un pò didascalico ma insaporito da un mood orchestrale di impatto, caldo e sanguigno soprattutto in Thunder, Nobody Gives Damn e nella meravigliosa Sleeping Dogs. Di fatto la cifra stilistica che più si è colta stasera è stato l’arrangiamento denso e corale, ma non senza soluzione di continuità, a tratti interrotto da momenti solistici importanti in cui le chitarre di Starr hanno vibrato energicamente e qualche accordo fuori programma, ad effetto sorpresa, quando alla fine di Let It Burn i rockettari sudisti ci piazzano un accenno di Johnny B. Good del loro connazionale Chuck Berry e a metà live ci fanno innamorare con un’acidissima improvvisazione di Come Togheter dei Beatles, il tutto condito da una psichedelia sorprendente e schitarrate slide memorabili. Insomma lo stile dei Blackberry Smoke sembra alle orecchie più mainstream incasellato in una sotto categoria ben specifica, ho detto sembra. Le influenze, i tributes, le ispirazioni che vanno da una Medicate My Mind semiacustica e romantica, al blues pianistico di Whipporwill, alla zeppelliana Ain’t Much Left Of Me hanno invaso le teste più fini e competenti stasera, le quali avranno sicuramente carpito tracce roots e honky-tonk, blues e lemongrass, il tutto condito da un tocco di freak e melodie facilmente memorizzabili che tanto ce li rende adorabili e di facile ascolto. Ma del resto tutto questo è perfettamente compliance con l’anima ordinatamente ribelle dei Blackberry Smoke e che Starr, in una recente intervista, ha definito molto semplicemente e senza spazio per la retorica “Libertà musicale. Pura e semplice”.
Blackberry Smoke – La scaletta del concerto di Milano
- Nobody Gives A Damn
- Good One
- Thunder
- Ought To Know
- Let It Burn
- Medicate My Mind
- Sleeping Dogs
- Run Away
- Up In Smoke
- Whippoorwill
- Payback
- Restless
- She’s Mine
- Holy Ghost
- Ain’t Got The Blues
- Free On The Wing
- One Horse Town
- Rambling
- I’ve Got This Song
- Aint’ Much Left