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Interviste

PERDURABO: esce l’album di esordio “Magnetar”

Un album che parla di resilienza, di determinazione nella ricerca di una visione e che dà al significato della parola Perdurabo, “durerò fino alla fine”, un senso compiuto

Photo Credits: Gabriella Vaghini - Presso Play Baltimora Genova

Dopo un decennio di lavoro, esce il 26 gennaio Magnetar, l’album di debutto di Perdurabo, al secolo Davide Arneodo, artista per il quale la definizione di polistrumentista risulta fortemente riduttiva per quanto il musicista – originario del cuneese, ma cittadino del mondo –  spazi nei generi e negli strumenti. Il disco è un’odissea musicale, per usare le parole dello stesso creatore, che manifesta la visione sonora unica di Perdurabo.

Nelle 9 tracce dell’album si fondono insieme influenze da Italia, Germania e Regno Unito, oltre a collaborazioni virtuose con artisti della portata di Jörg Wähner di Apparat, Jochen Arbeit degli Einstürzende Neubauten, Gabriele Giletta, e i contributi vocali di Roman Rappak (Miro Shot), Chloe Charles (Echlo), Daudi Matsiko e Tom Adams. Il risultato un disco prismatico che trova il suo equilibrio nell’intersezione tra elettronica, rock e musica classica.

Ma non solo. Quattro stampe accompagnano l’album, quattro opere che costituiscono (se così si può dire) la “trasposizione” dei suoni in immagine, create appositamente dall’artista newyorkese Andy Gilmore, designer che si contraddistingue per il suo modo di esplorare le proprietà fisiche del suono e della luce e dare loro una forma.

Abbiamo incontrato Davide in occasione dell’anteprima esclusiva della listening di Magnetar a Genova presso gli spazi di Play Baltimora (per saperne di più su questo hub della musica potete leggerne qui) per parlare del disco, conoscerne meglio la fase creativa e… non solo!

Ciao Davide, innanzitutto grazie del tuo tempo e complimenti! Un album che fa viaggiare nella luce e nello spazio, ma anche nel proprio “Io”. La prima domanda tuttavia che mi viene da porti è sulla “gestazione”: 10 anni! Sono davvero tanti e soprattutto è un intervallo temporale in cui si assiste a molteplici cambiamenti, sia in noi stessi, sia nel mondo che ci circonda, per non parlare poi della tecnologia e strumentazione. Come mai?
Sì, 10 anni perché di fatto uno non si sveglia una mattina e si pensa producer di musica elettronica. Ero, e sono tutt’ora, un musicista classico. È stato tutto un percorso. Sono entrato nei Marlene Kuntz e anche in quel caso è stato un percorso, da entrare nella band a farne parte. Ad un certo punto mi sentivo completamente immedesimato in quel me, ovvero “il me” nei Marlene Kuntz.

Quando ho scoperto Apparat, non avevo compreso subito la sua musica. L’ ho meglio capita durante un concerto al teatro Carignano di Torino, occasione in cui ho conosciuto Jörg. Con lui è stato subito sintonia e mi è venuta voglia di esplorare questo mondo. Era il 2011, entrambi eravamo molto impegnati con i rispettivi tour. Le prime cose si sono concretizzate nel 2013.

Con Jörg Wähner presso Play Baltimora Genova – Photo Credits: Gabriella Vaghini

Per cui, per rispondere alla tua domanda: 10 anni perché ho voluto vivere un percorso, immedesimarmi e sentirmi in quello che stavo facendo. Ho voluto crescere in questo percorso. Il passaggio tra quello che cercavo di creare e quello che ero (e continuavo ad essere) non è stato immediato.

Ho deciso di darmi un nome, Perdurabo, che significa appunto durerò fino alla fine, una sorta di monito che mi guidasse in questo cammino. Ho continuato a fare musica sotto forma di singolo o EP, continuando a lavorare in background a questo album. Fino a quando non mi sono sentito felice e immedesimato in quello che stavo facendo; non è un qualcosa di semplice perché in un disco del genere devi sentirti in quello che stai facendo. Ecco perché 10 anni. In mezzo ci sono stati 2 anni di pandemia, tour dei Marlene, anche tanti “no” ricevuti, ma non mi sono arreso. Pensa che quando ho iniziato a scrivere i primi demo di Magnetar era il 2013 e stavamo producendo Nella tua luce: ero tornato da Berlino per iniziare l’album, la mattina creavo questi demo e il pomeriggio studio.

Che emozioni provi ora, nel rivelarlo a tutti, sei “pronto”, sei “sereno”?
Non sono sereno per nulla! [ride]. L’ album finito è un qualcosa che è stato messo in una forma per essere fruita da tutti, ma potrebbe non essere quello che avevi in testa o quello che ti aspettavi. Le cose poi per una sorta di flusso accadono, ma dai alle persone qualcosa che ascolteranno e quel qualcosa sei Tu. Sei messo a nudo. E non è semplice, perché è una parte di te, ci sono aspettative, ci sono tanti aspetti che entrano in gioco. L’ unica cosa che mi fa stare sereno è la consapevolezza di aver fatto un percorso e di questo percorso sono soddisfatto.

Tante le collaborazioni virtuose, come ad esempio con Jörg Wähner di Apparat, Daudi Matsiko, Tom Adams, Miro Shot, Echlo. Per non parlare di quella con il leggendario produttore britannico Gareth Jones conosciuto in particolare il suo lavoro con i Depeche Mode. Come sono nate?
Fa parte della ricerca. Con Jörg è nato un qualcosa immediatamente, subito sintonia. In altri casi sono successe cose per certi versi pazzesche. Nulla di pensato a tavolino comunque. Ad esempio, la conoscenza con Roman, il primo cantante con cui ho collaborato, è arrivata così: mi avevano sfrattato dal mio appartamento, ho conosciuto una ragazza italiana a Berlino che mi ha aiutato con la casa e mi ha parlato appunto di Roman. La sera sono andato al Funkhaus, l’ho conosciuto, abbiamo ascoltato musica tutta la notte e da lì è partito tutto.

Lo stesso vale per Andy Gilmore, anche lui lo hai conosciuto così?
No, di Gilmore sono un grande fan. L’ ho cercato io, gli ho scritto. La sua risposta è stata “Mandami l’album”. Così ho fatto e dopo due settimane mi ha detto “Ok!”sicuramente gli è piaciuto! Ma la copertina ad esempio? Rappresenta un faro (nello stile Gilmore). Quando Andy ci stava lavorando mi trovavo in Islanda, “la forma”, l’ispirazione, è stata la Cattedrale di Reykjavik.

Veniamo all’album, dalla complessa struttura sonora. Intenso. E molto appassionato. Mi permetto di fare una piccola digressione. Nel nostro DNA abbiamo tanto cantautorato, pop, rock… l’ascolto di un album elettronico prevede un percorso diverso rispetto a quello cui siamo abituati. La prima traccia, Magnetar, che dà il titolo al disco, ha un che di “tormento graffiante”, follia elettronica, è da fiato corto. Si susseguono poi un alternarsi di chiaroscuri, suoni sospesi, per poi correre nuovamente fino ad arrivare a Step Closer, l’ultima traccia, che lo sento come una trasposizione elettronica del Requiem mozartiano. Quale il flusso che ha determinato la scelta della sequenza dei brani?
È stata una follia mettere Magnetar come primo pezzo dell’album! [ride]

C’è tanta musica classica ed hai beccato un punto importantissimo: la scaletta è stato uno degli aspetti più complicati da chiudere. Non è il disco che ha un mondo univoco, per cui devi solo decidere il brano che sta meglio prima di un altro. Qui ci sono mondi differenti raggruppati insieme. Magnetar è forse il pezzo più difficile in assoluto, è il più complesso. Ha strutture, ritmiche.

Gareth è stata la guida spirituale che mi ha aiutato a mettere insieme tutti i processi, tutti i percorsi, le mie elucubrazioni mentali, e che mi ha aiutato a stendere questa forma. Non capivamo se inserirlo come pezzo strumentale all’interno della scaletta o iniziare con esso. Abbiamo deciso infine di fare così. Ci siamo detti: questo è il disco, non è pop, non è rock. C’è il piccolo rumore iniziale che ti fa entrare in un mondo. Quello che hai percepito Tu mi dà ragione, e mi fa pensare che sia stata la scelta giusta. Volevo che questo flusso portasse da qualche parte. Sono brani composti nell’arco di 10 anni, per cui in momenti differenti, studi differenti, persone differenti. Avevo bisogno di un percorso che fosse unico, consapevole, costante. È stato difficilissimo. 

Quello che emerge è un’estrema e profonda cura e tanto valore. E non da meno i video che hanno accompagnato i brani già usciti. Ne cito uno per tutti: Hopes, girato in Islanda grazie a un bando vinto di SIAE Music Export. Una natura, passami il termine, dura, e oltremodo misteriosa fa da scenografia alla vicenda interiore di un uomo (che sei Tu, anche se il tuo viso si svela nitido sul finale), che corre in cerca di libertà e luce, ma anche quando è libero, il cuore ritorna nell’oscurità (I am free at last/But always the heart is/Returning to darkness). Cosa ci vuoi far conoscere di Te o cosa era importante per Te trasmettere con questo video?
Il video rispecchia molto il mio modo di concepire tutto quello che sto facendo e che faccio, ovvero trasmettere dei significati. Sto generalizzando, ma in ciò che mediamente ascolto, al di là dell’estetica, c’è un contenuto che a me a volte manca. Daudi, in questa canzone specialmente, è stato molto bravo a portare nel racconto lo sviluppo di una lotta contro la depressione. Ho unito i due mondi, quello del sonno lucido, una sorta di scappare dalla realtà, e poi, una volta che sei scappato, riuscire a gestirlo. Quando l’uomo riesce a vedersi le mani, riesce a gestire il sogno e quel sogno diventa un po’ una fuga da una situazione difficile.

La pioggia a Berlino è così ipnotica come in Berlin Rain?
Completamente ipnotica. Se parlo con i tedeschi e dico come amo il tempo grigio di Berlino mi guardano con occhi sgranati. è una delle cose che più mi ha ispirato nella mia vita.

Alcune tracce si sposerebbero molto bene con il cinema. Ci hai mai pensato, potrebbe essere  un tuo interesse?
Cinema sì, ci sto lavorando…

Ti abbiamo conosciuto con i Marlene Kuntz e visto suonare, con tutta la foga immaginabile, dal violino a ogni tipo di percussione. Come si passa dal suonare il Cannone di Paganini all’elettronica? Credo che un filo comune sia la passione. La musica classica mi ha dato una formazione, una struttura. Quella struttura cerco di renderla viva in quello che faccio, mi ha formato la mente, ma quello che mi mancava nella classica era poter esplicare tutta quella “foga”, come hai detto Tu, tutta quella forza emotiva e creativa che ho dentro. Paganini è stato uno dei miei primi miti ispiratori in assoluto, semplicemente cerco di fare le cose vivendole quando suono, quando provo, cerco di vivere tutto con passione e realtà.

Hai scelto di proporre il disco sia in Italia sia in Europa riportando in auge il concetto di listening bar, “bar dell’ascolto”,  tipologia o idea di luogo nato in Giappone intorno agli anni ‘50, designato all’ascolto della musica. Per cui non farai live nel senso usuale del termine, ma incontri di ascolto. Come si svolgeranno? La mia idea era proprio riallacciarmi alla cultura giapponese. Con l’avvento del digitale la musica oggi ha perso di importanza, spesso è usata come sottofondo. Le playlist sono atte a fare qualcosa: c’è quella per il risveglio, quella per la sera… io voglio riportare l’attenzione sull’intera opera, dall’inizio alla fine, su tutta l’interezza della creazione. Della cultura giapponese mi piace la ritualità. Mi piace l’idea di fare incontri, in cui si è insieme, si ascolta insieme e insieme si fruisce di musica intesa come opera d’arte. Lo svolgimento sarà questo: una breve presentazione, a seguire la listening session per poi chiudere con alcune domande gestite da un moderatore (che cambierà di volta in volta) per poter rispondere alle domande del pubblico.

Con Jörg Wähner presso Play Baltimora Genova – Photo Credits: Gabriella Vaghini

Grazie Davide!

Le DATE CONFERMATE ad OGGI – oltre a quella di Genova già trascorsa:

23/01 MILANO – LE PARK (Listening Session + Q&A) ore 18.30
24/01 NAPOLI – FONOTECA (Listening Session + Q&A) ore 18.30
25/01 ROMA – DISCOTECA LAZIALE (Listening Session + Q&A) ore 17.30
26/01 TORINO – MUSEO EGIZIO per CLUB SILENCIO (Installazione sonora) ore 19.00
11/02 BOLOGNA – SEMM ore 18.00

Il calendario non è completo. È possibile restare aggiornati attraverso i canali social di Perdurabo o il sito.

Non perdete l’occasione di vivere con Perdurabo l’esperienza della listening!

L’ ALBUM: Magnetar uscirà il 26 gennaio per l’etichetta Perdurabo World. Sarà disponibile sia in vinile (tiratura limitata), sia in CD e scaricabile da piattaforme online. Qui tutti i riferimenti per seguire Perdurabo. Qui il link diretto per l’acquisto dell’album.

Written By

Nata e vissuta sul mare, da qualche anno a Milano dopo una parentesi romana. Cresciuta a pane e Bruce Springsteen, da un lato gli studi scientifico matematici, un lavoro nell'IT che mi appassiona, dall'altro l'amore per la pittura, la scultura, la fotografia, il teatro e i film di Sergio Leone. Amo sia visitare città, sia la natura e lo stare all'aria aperta. La musica è una costante nella mia vita, ogni momento ha una colonna sonora; amo soprattutto la musica dal vivo, unico modo per conoscere veramente un artista. Amo scrivere e sono alla costante ricerca del modo migliore per tradurre su carta le emozioni. Sono profondamente convinta dell'importanza dell'amare e del mettere passione in tutto quello che si fa... con anche un pizzico di ironia!

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