“Ciao a tutti siamo i Fast Animals And Slow Kids e veniamo da Perugia” è una frase che manca molto ad una nutrita folla di appassionati che, uniti da sudore e voglia di cantare, si riunivano con cadenza settimanale nei vari concerti eseguiti in giro per lo stivale dal quartetto perugino.
Sì, perché prima che la pandemia ci costringesse ad associare la parola live alla parola streaming, i Fast Animals And Slow Kids erano una delle band live più forti di tutta la penisola, grazie a una rara combinazione di carisma sul palco e fotta incredibile.
La band, per gli amici FASK, nasce nel 2008 in quel di Perugia e, a partire dal secondo album Hybris del 2013, inizia a macinare sempre più successo, finendo per firmare per Warner nel 2019. Dopo un tour di grandi numeri, tra date sold out e concerti da lividi sulle gambe e polmoni crepati per i cori, ci ritroviamo al presente; lo stesso maledetto che ci fa rivivere praticamente lo stesso giorno ancora e ancora da Marzo 2020.
Durante questo periodo di stop forzato, Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Alessio Mingoli e Jacopo Gigliotti non se ne sono stati con le mani in mano, rilasciando due singoli: Come Conchiglie e Come un animale, caratterizzati da un sound ancora più “adulto” rispetto al passato.
Quello che gli ascoltatori non immaginavo era la presenza di una sorpresa all’orizzonte, una di quelle difficili da prevedere.
Cosa ci direbbe è il nuovo brano dei Fast Animals And Slow Kids e rappresenta per loro una prima volta: il primo featuring con un artista.
Uniti da un vincolo di reciproca amicizia e fratellanza, i perugini hanno reclutato Willie Peyote, appena reduce dal Festival di Sanremo 2021 (da cui si è riportato il premio della critica Mia Martini, per di più), per aggiungere una spezia in più all’alchimia di un brano in cui gli arpeggi la fanno da padrone.
Grazie a Futura1993 e RockOn, ho avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con la band durante la conferenza stampa insieme ad altre testate. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Ciao ragazzi, ben trovati. Quello con Willie Peyote è il vostro primo featuring dopo una decade di carriera. Volevo chiedervi se, al di là dell’amicizia e della stima c’è qualcosa che vi lega con Willie, magari a livello di visione della società e della musica come mezzo.
Aimone: Beh, secondo me è un po’ implicita questa cosa, perché quando sei amico di una persona molto spesso lo sei perché riesci a trovare dei punti in comune. A livello musicale, noi e Willie abbiamo una visione molto molto concreta, quasi “manuale”, nel senso che ci confrontiamo su tutti i suoi aspetti: dal singolo suono al significato, passando per il testo, cose che molto spesso non accadono se non c’è un’amicizia di base.
“Cosa Ci Direbbe”, insomma, è una vera collaborazione artistica, dove due artisti si mettono in gioco cercando di confrontarsi per trovare una sintesi che completi entrambi, che piaccia davvero e che riesca a mettere in risalto le capacità di entrambi. Non è un pezzo dove c’è un’ “ospitata”.
Anche la missione che avete, come artisti, sembra essere la stessa.
Aimone: Questa è sempre una domanda da un milione di dollari. È molto complesso rispondere, perché molto spesso noi stessi ci alziamo la mattina e diciamo “Ok oggi che succede? Qual è il nostro bersaglio?” Ciò che è sicuro è che, di base, c’è un approccio molto serio alla questione musica.
Per noi è molto importante, – e non solo da un punto di vista di produzione musicale -, ascoltare la musica, conferirle dignità, porla al centro di quella che è la comunicazione.
Nel singolo non ci sono tanti fronzoli estetici, è assente quello slancio da “operazione figa fatta per”. Ci siamo completamente concentrati sulla costruzione di un bel pezzo, di creare della bella musica che sia coinvolgente prima di tutto per noi stessi.
Dal momento che “Cosa Ci Direbbe” segna la vostra prima collaborazione con un altro artista, che tipo di scambio c’è stato con Willie Peyote? Come avete creato la crasi tra il sound tipico dei FASK e quello di Willie?
Aimone: Allora, teniamo sempre in considerazione i tempi in cui ci troviamo (sorride, ndr.)
Solo in questi giorni, per la prima volta, stiamo vivendo un po’ l’ambiente che ci piace di più, ossia quello della “saletta”. Stiamo insieme, stiamo provando il pezzo, ed è lì che si crea quel discorso umano che, proprio da un punto di vista fisico, si può creare solo se si sta insieme in una stanza.
Date le difficoltà negli spostamenti, la canzone è venuta fuori principalmente dalla nostra voglia di trovare un artista che capisse il senso del testo e che ci aiutasse a renderlo meno criptico.
Se andiamo ad analizzare le nostre modalità di scrittura, Willie è una persona che riesce a spiegarti un concetto in poche frasi, noi invece siamo quelli che vanno verso l’astrattismo puro, anche se pensiamo di essere chiari… In realtà siamo degli imbecilli! (ride, ndr).
Insomma, da questo punto di vista avevamo bisogno di Willie.
Il tutto è nato da una telefonata, in cui l’ho contattato e gli ho detto “guarda, io ho un problema: ho un pezzo che secondo me è una bomba, però ho bisogno di qualcuno che lo spieghi agli altri, perché qui non lo capisce nessuno”. Lui ha risposto subito “vabbè socio, dai, mandami questo pezzo!” Quindi, davvero, è nato tutto con una chiacchierata! Noi e Willie siamo amici, ci sentiamo comunque durante l’anno.
Ed è anche per questo motivo che, per la prima collaborazione, abbiamo deciso di atterrare sul morbido: stiamo collaborando con una persona che sapevamo ci avrebbe messi a nostro agio. Una persona che stimiamo innanzitutto dal punto di vista musicale, perché chiunque è andato a vedere un concerto di Willie si rende conto che, tra tutti i rapper, e quello che ha più suonato sul proprio palco.
Avevate mai pensato, in precedenza, a realizzare una collaborazione? E, se sì, sognavate un determinato artista con cui realizzarla?
Aimone: Ma sì, certo; Bruce Springsteen! Il pezzo con il boss sarebbe il coronamento dei nostri sogni! (Ridono, ndr.).
Scherzi a parte, in realtà noi non avevamo mai pensato ad un featuring.
In questi giorni di chiacchiere e di interviste, ci siamo chiesti come mai e ci siamo resi conto di non avere una risposta vera e propria.
Il fatto è che, per potercisi confrontare con l’altro, bisogna innanzitutto essere sicuri da un lato di fare qualcosa che ci definisce molto bene e, dall’altro, di possedere delle spalle larghe, in modo da sentirsi capaci di reggere il confronto dal punto di vista artistico. Magari, semplicemente, noi non ci sentivamo pronti prima di ora.
Siamo anche una band che ha fatto gli ultimi dischi sempre da soli, solo noi quatto chiusi in una casa a registrare per mesi: uno cucinava, uno cantava, uno suonava. Quindi, come dire, abbiamo avvertito il bisogno di fare degli step verso un momento, in termini di composizione, in cui ci sentissimo in grado di poter dialogare a pari merito, in parità.
Alessio: Forse è anche bello pensare che, nel momento di maggior chiusura mondiale, noi ci siamo aperti a livello musicale.
Aimone: Esatto, anche questa situazione ha influito. Sentivamo questo bisogno di confronto anche solo per dirsi: “ragazzi siamo musicisti, facciamo qualcosa insieme!”.

Da fan, ho assistito a quella che è stata la vostra evoluzione artistica sia livello di suoni che di tematiche affrontate. Volevo chiedere, secondo voi, quale pensate sarà la reazione del pubblico a questa prima collaborazione.
Aimone: Guarda, lo so che è una tamarrata quello che sto per dire, ma non ce ne frega niente! Lo so, è terribile da dire, è una roba egocentrica, però è davvero così.
Per noi la musica ha una funzione terapeutica: buttiamo lì dentro tutte le tossine che accumuliamo nella vita di tutti i giorni. Quando componi musica per un’esigenza importante a livello comunicativo, come nel nostro caso, è meglio non chiedersi come sarà percepita.
L’importante è chiedersi: è questa la cosa che ti senti di fare in questo preciso momento storico? È questa la cosa che ti rappresenta adesso, all’età di 33 anni, nel mio caso?
L’importante è essere coerenti con sé stessi nella vita. Perché quando tutto questo sarà finito e torneremo a suonare dal vivo, chi sarà credibile è colui che suonerà qualcosa che realmente lo muove. L’importante è che ci sia coerenza emotiva tra quello che fai uscire e quello che sei.
Sabato scorso sono tornati in piazza i lavoratori dello spettacolo. Qual è la vostra posizione sulle manifestazioni? Quando tornerete a suonare live?
Aimone: Pura solidarietà. Siamo i primi colpiti e, tra l’altro, suoniamo dal vivo da 10 anni. Negli ultimi sette anni e non è mai capitato che non fossimo in tour almeno una volta all’anno. Questo per farvi capire cosa è successo attorno a noi: abbiamo una famiglia, persone che lavorano con noi da sempre. Questo disagio lo proviamo fisicamente, perché ci rendiamo conto non riusciamo più a concorrere alla stabilità familiare di alcuni nostri amici. Come band, eravamo parte di un ingranaggio che dava da mangiare a famiglie, che dava gli stipendi a persone…
Alessio: Questo però non vuole essere uno slancio miope, del tipo “vogliamo fare i concerti a tutti i costi perché ora basta!” Si sta parlando di riaprire gli stadi, allora però cominciamo a ragionare su tutti gli eventi!
Jacopo: Diamo una regolamentazione su una questione che oggi è urgente!
Avete mai pensato di organizzare concerti in streaming, come molti vostri colleghi hanno fatto in questi ultimi mesi?
Aimone: Ne abbiamo parlato, sì, però tra il dire il fare c’è di mezzo il mare.
Un conto è se sei Billie Eilish e hai i mezzi per tirar fuori uno spettacolo. Quella, secondo me, è un’esperienza che a livello streaming diventa davvero sensata, perché il prodotto è pensato appositamente per quella piattaforma e in quelle modalità.
Fare, invece, uno streaming di quello che sarebbe semplicemente un nostro concerto dal vivo, mi piace come idea ma non mi soddisfa al 100%. Inizialmente eravamo anche propensi a farlo, più per una sorta di mancanza fisica che altro, ma poi abbiamo pensato che non volevamo trovarci in una situazione insoddisfacente.
Il concerto dei FASK è molto energico: senza pubblico sarebbe risultato carente. Ci siamo detti: o siamo capaci di sopperire alla mancanza di pubblico con un’idea di produzione, con un’idea artistica, o non lo facciamo. L’urlo delle persone, il coro fatto insieme, quel sudore che aleggia nella sala per noi è l’80% del concerto. Il 20% siamo noi, l’80% é il senso di essere lì tutti insieme.
Cosa direbbe, a voi, mamma?
Aimone: Ci direbbe “Ragazzi, siete degli imbecilli: cercate di essere persone sensibili, mettetevi in risonanza con il mondo e smettetela di guardare le vostre scarpe. Perché, tra l’altro, sono anche orrende!”.
Alessio: “E allacciatevi quelle giacche”, (ridono, ndr.)
di Marta Verì
