Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Elia Pisani
Dopo le date dello scorso luglio all’Anfiteatro Fonte Mazzoli di Peccioli (PI) e al Comfort Festival di Ferrara, Glen Hansard torna in Italia anche quest’ autunno per un solo appuntamento, domenica 12 novembre al Teatro Dal Verme di Milano, per un concerto organizzato da DNA concerti, già sold out da qualche giorno.
Cantautore, chitarrista, attore, voce e chitarra dei The Frames, fondatore insieme a Marketa Irglova, dei The Swell Season, torna sui palchi di tutta Europa per presentare All That Was East Is West Of Me Now, il nuovo album uscito il 20 ottobre, insieme ovviamente ai brani più celebri del suo repertorio.
Finalmente lo rivedo in questo imperdibile concerto, nell’atmosfera magica e intima che solo un teatro può dare. In realtà è la prima volta che lo vedo da “solo” perché le altre volte accompagnava sempre il mio adorato Eddie Vedder, con cui non ha mai smesso di collaborare, grazie anche alla solida amicizia che lega i due che ci ha regalato non poche meravigliose pubblicazioni.
Nei suoi dischi Glen Hansard suona la chitarra e canta, emanando un’intensa energia positiva, malinconica e triste a volte si, ma comunicando sempre con la sua musica una delicata sensibilità che rende il suo personaggio sincero e per nulla costruito a tavolino. Nei suoi testi racchiude molte esperienze di vita personali, tramite languide ballate canta di sentimenti e passioni spesso agrodolci, a volte amari, con la vocazione scarna e sincera che lo caratterizza intimamente e la sua voce estremamente riconoscibile.
Il cantautore irlandese ha un rapporto speciale con l’Italia, torna spesso a deliziarci con la sua musica dal vivo, e questa sera accade in un Teatro dal Verme colmo per l’occasione, dove riusciamo ad ascoltare molti dei nuovi brani di All That Was East Is West of Me Now. Album nato dall’ “improvvisa consapevolezza che c’è più dietro che davanti” e ci suggerisce quindi un’indagine sul passare del tempo, con la giusta dose di nostalgia e rimpianto per quello che è stato, ma con la speranza per quel che sarà.
Diciamoci la verità: cosa vi viene in mente se pensiamo al concerto di un cantautore? si potrebbe pensare a un qualcosa di intimo ed emotivamente intenso, nella migliore delle ipotesi, o ad un’esperienza monocorde e un tantino noiosa, nel peggiore.
Fortunatamente questi preconcetti e stereotipi vengono inesorabilmente spazzati via dal live di questa sera; il riccioluto e barbuto irlandese biondo rossiccio, ormai tendente al bianco visto che il tempo passa anche per lui, che ispira tanta dolcezza, ci regala due ore e mezza ininterrotte di pura, travolgente emozione fatta musica.
Tempo che è scorso davvero velocemente, in un’atmosfera familiare e rassicurante, che Glen e la sua band, tra cui la sodale Marketa Irglova, sono riusciti a ricreare con una naturalezza disarmante.
Prima di arrivare al Teatro, mi concedo un thè e un dolce in una rinomata pasticceria milanese qui in centro, mi sembra il giusto modo di prepararmi per il concerto che andrò a vedere; comincio a scaldarmi il cuore con una coccola golosa, e poi ci penserà uno dei miei due irlandesi preferiti a proseguire nell’intento. Ora che ci penso, era Damien Rice che vidi qui l’ultima volta la scorsa primavera; evidentemente questo è proprio il luogo adatto per questa musica che accarezza l’anima, non per altro, anche il nostro Ludovico Einaudi sceglie il Teatro dal Verme ogni anno per le sue tante date nel mese di dicembre, dove spero di non mancare neanche quest’anno.
Mark Geary
Sono le 20.10 quando si fa buio improvvisamente nella sala non ancora piena, e sul palco sale Mark Geary, un cantautore irlandese che definire un personaggio è dir poco.
Simpatico e chiacchierone, questo menestrello coi baffetti che ti immagini di incontrare sulle strade della campagne irlandesi; con solo la sua chitarra acustica e una bellissima voce ci accompagna per quasi 40 minuti nel suo mondo, fatto di canzoni semplici, ritornelli che entrano subito in testa e che il pubblico coinvolto canta volentieri insieme a lui.
Racconta divertito vari aneddoti sul concerto della sera prima a Zurigo e il viaggio in aereo che lo ha preceduto, chiedendo a noi italiani di non essere così silenziosi e tranquilli come il pubblico svizzero e di partecipare, e verrà ampiamente soddisfatto come detto.
Purtroppo, come spesso accade in queste situazioni, la sua performance è disturbata dall’arrivo delle persone che devo ancora prendere posto, accompagnati dalle maschere o meno è fastidioso, ma lui sembra non farci troppo caso e continua la sue performance come se stesse suonando per degli amici che non rivede da tempo.
Timidamente scende dal palco tra gli applausi meritati del pubblico, davvero un perfetto preludio per quel che saranno le prossime ore.
Glen Hansard
Giusto un attimo di pausa e le luci si spengono nuovamente; il leggero brusio di sottofondo in sala si ammutolisce, comincia l’incanto della musica folk e rock di questo cantastorie, semplice e genuino, inguaribilmente romantico ma per nulla noioso.
Ci vuole molto mestiere per tenere la platea che ha gremito il teatro questa sera, per tutti questi minuti che vorresti non finissero mai, eppure gli basta fare quel che sa fare al meglio per ghermirci tutti.
Andiamo con ordine, in quella che si rivelerà essere una scaletta intelligente e ben ponderata, che darà ampio spazio all’ultimo album, ma anche alla sua intera discografia, fatta di sei album e tante collaborazioni: Rythm and Repose è il primo lavoro da solista (2012), seguito tre anni dopo da due dischi pubblicati a poca distanza l’uno dall’altro. Con Between Two Shores (2018), porta a compimento il personale processo di evoluzione musicale e di scrittura, tra nuove influenze ed eventi personali. Ma è con This Wild Willing del 2019 che riscuote il plauso della critica italiana e internazionale unendo originalità e semplicità, come solo i grandi autori sanno fare.
Torniamo al qui e ora, dove non è mai solo il nostro Glen sul palco, anzi: dopo tante aperture in acustico per Eddie è un piacere per me vederlo sprigionare un’energia e un’attitudine che non sapevo avesse, circondato dai musicisti amici che lo accompagnano fedelmente in tour da tempo ormai.
Il concerto comincia con una carrellata di pezzi del suo ultimo album: si apre con la morbida e languida Sure As The Rain e fa pensare subito ad un Artista che vuole mettere a proprio agio il suo pubblico, simulando un ballo suadente con esso, emotivamente attento, rapito e educatamente silenzioso sin dal primo minuto.
Seguono poi Between us there is music, The Feast of St. John e Down On Our Knees, dal groove trascinante, accompagnata a ritmo dagli spettatori; una prova ulteriore, qualora ve ne fosse bisogno, dello straordinario valore della produzione del cantautore irlandese, che con questo album ha sicuramente aggiunto un’altra perla rara alla sua collezione.
Tra un pezzo e l’altro, Hansard fa definitivamente a brandelli gli stereotipi del cantautore silenzioso e introverso, intrattenendosi con il pubblico in lunghi dialoghi, spiegazioni dei brani e aneddoti più o meno divertenti che si celano dietro la creazione degli stessi, a spezzare l’atmosfera spesso malinconica che porta alla lacrima facile, almeno la sottoscritta.
Una splendida versione acustica di Time Will Be the Healer, lenta, struggente e malinconica, come solo lui riesce a rendere con chitarra e voce, e poco più.
Anche When Your Mind’s Made Up The Swell èsentita moltissimo dal pubblico che lo riempie di applausi scroscianti e lui ringrazia col suo viso dalle guance scavate e gli occhi che ridono, accogliendo timidamente tutto questo afflato.
Una dedica speciale a tutti i suoi amici e a noi, che gli piacerebbe incontrare in un caffè per scambiare due chiacchiere in compagnia dopo lo show per introdurre There’s No Mountain.
Parole speciali spese poi per l’amica Nadia, che lo ha aiutato tempo fa ad affrontare e interpretare un sogno ricorrente fatto sin da quando era bambino che lo vedeva cadere dal suo letto come in baratro, e incontrare una strega intenta a preparare chissà quale pozione magica. Con l’aiuto di Nadia, il piccolo o forse già grande Glen, ha deciso di guardare in faccia quella strega, che inaspettatamente, gli ha sorriso. Tutto questo ce lo racconta per presentarci una versione particolare di Ghost e soprattutto per consigliarci di guardare in faccia le nostre paure, non sai mai cosa può celarsi davvero dietro l’inconscio di un sogno.
Partono poi le immancabili note delicatamente malinconica di Bird of Sorrow e Bearing Witness, brano decisamente più ritmato e trascinante, in cui Glen da nuovamente sfoggio delle sua abilità rockeggianti; una personalità ed un carisma che arricchiscono ulteriormente i live del nostro irlandese preferito.
È finalmente arriva il momento della meravigliosa Falling Slowly, vincitore del premio Oscar nel 2008 come miglior canzone originale tratta dal film Once, per me punto di incontro con la sua musica; uno dei brani più emozionanti dell’intero suo repertorio, un’interpretazione che ci regala pelle d’oca e il cuore stretto in una morsa struggente, cosa che personalmente si è ripetuta molte altre volte questa sera.
La struggente I’ll Be You,Be Me, il brano con cui si apre This Wild Willing, lo dedica alle donne della sua vita e in particolare, a quella che oggi ha incontrato in un caffè, dal nome ignoto ma di cui ricorderà per sempre il viso e ha piacere di condividerlo con noi.
Lascia per il finale Her Mercy, tra le sue canzoni più belle e rappresentative, con la sua dolcissima melodia iniziale che raggiunge un livello di intensità emotiva davvero devastante.
Glen Hansard, in una dimensione intima come quella del Teatro dal Verme questa sera, è perfettamente a suo agio, riuscendo a creare una fortissima empatia con il suo pubblico, tra cui son certa ci sono molti fan anche dei Pearl Jam e Damien Rice come la sottoscritta.
Prima di congedarsi definitivamente da noi propone una delle canzoni in assoluto più apprezzate del suo repertorio, This Gift, in una versione esplosiva, davvero irruenta e fuori dagli schemi, che ci risveglia definitivamente da questo torpore di emozioni struggenti in cui siamo stati immersi nelle ultime ore. Un Glen Hansard che sale di corsa le scalinate del teatro per eseguire il pezzo in cima a questo tempio della musica milanese, e le riscende poi avvolto da una calorosa standing ovation tributatagli giustamente dai suoi fan accorsi da ogni dove questa sera nell’unica data italiana di questo tour.
Finisce così, tra gli applausi scroscianti, con il congedo di chi sa che tanto tornerà presto a farci visita, e noi, non vediamo già l’ora.
Un concerto che conferma una volta di più che Artisti come Glen Hansard, nel panorama musicale contemporaneo, rappresentano una specie in via d’estinzione: lontani da qualunque logica commerciale e discografica, il cui processo creativo è mosso da esigenze molto personali e non scandite dal tempo del successo.
Un’esperienza da brividi, emozionante dall’inizio alla fine, per chi come me ha la musica come passione primaria, che la ascolta costantemente e nelle parole delle canzoni ritrova la propria vita, questa è una delle serate migliori che si possano desiderare.
Mi avvio così verso la metropolitana e mentre passeggio per le vie del centro di Milano, avvolte nel buio e nel freddo di questa domenica sera di metà novembre che giunge al termine, ho già la nostalgia di quel che ho appena vissuto: un racconto di storie d’amore e amicizia ma anche della vita di tutti i giorni di ognuno di noi, che fatto tramite le canzoni di Glen Hansard è tutt’altra storia.
A Tender Mercies Glen per questo meraviglioso viaggio attraverso le nostre emozioni, e se potessi, ti darei un enorme e caloroso abbraccio, come fossimo vecchi amici ritrovati, io, te e le tue meravigliose canzoni.
Words fall through me and always fool me
And I can’t react
We’ve still got time
Raise your hopeful voice, you have a choice
You’ll make it now
Falling slowly, eyes that know me
And I can’t go back
Clicca qui per vedere le foto di Glen Hansard al Teatro dal Verme (o sfoglia la gallery qui sotto)
Glen Hansard + Mark Geary | Flickr
Glen Hansard: la scaletta del concerto al Teatro dal Verme di Milano
Sure As The Rain
Between us there is music
The Feast of St. John
Down On Our Knees
Time Will Be the Healer
My Little Ruin
When Your Mind’s Made Up (The Swell Season song)
The Moon (The Swell Season song)
There’s No Mountain
Ghost
Bird of Sorrow
Talking With the Wolves
Don’t Settle
Falling Slowly (The Swell Season song)
American Townland (Interference cover)
Leave a Light
Didn’t He Ramble
I’ll Be You, Be Me
Bearing Witness
Fitzcarraldo (The Frames song)
Her Mercy
Wreckless Heart
This Gift
Gabriele
16/11/2023 at 01:02
Ciao. Bella recensione, molto sentita e partecipata.
Anche io l’ho conosciuto con Once, ho visto i suoi concerti con Eddie e poi l’ho visto da solo a Roma prima della pandemia.
Nella scaletta se non erro hai dimenticato Winning streak come pezzo.
Grande anche la band che lo ha accompagnato.