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Reportage Live

GEORGE EZRA a Milano: antidoti contro la dittatura del virtuosismo esistenziale

Nella data del 24 febbraio al Mediolanum Forum di Assago l’artista dell’Hertfordshire porta il suo ultimo lavoro Gold Rush Kid e ci ricorda che essere semplici non è facile ma se ci riesci è un successo assicurato.

C’è da dire che George Ezra Barnett, più semplicemente George Ezra, è un tipo sorprendente. La mia intenzione ieri 24 febbraio, al Mediolanum Forum di Assago dove il cantante dell Hertford si è esibito nella sua unica data italiana sotto la regia di Live Nation, era proprio quella di capire cosa ci fosse dietro un artista che pur preferendo il suo villaggio alle metropoli in trent’anni di età e tre album è riuscito a piazzare, uno dopo l’altro, singoli o melodie che chart o classifiche, nella loro celerità warholiana, incensano ma difficilmente dimenticano. O il pubblico, almeno, non dimentica. Bene, sono stata sorpresa.

La parola d’ordine è semplicità, che – attenzione – non va confusa con “banalità”, perché essere semplici è tutt’altro che banale. In un’era storica in cui sia tu l’artista sul palco o l’ultima matricola arruolata in un pachiderma di società, ti verrà sempre chiesto di motivare il tuo successo o merito, essere semplici, autentici, e riuscire a comunicarlo è uno sforzo immane. Direi, una chimera, o una corsa verso la tua personale nemesi, roba da giustificare abbonamenti a vita a un bravo analista. E il pubblico, al netto di essere oggi sempre più sofista (piuttosto che sofisticato), opera ancora secondo criteri di una semplicità brutale: quando sa che qualcosa gli piace, allora pollice su, e sei salvo; se no, allora dritto nella fossa dei leoni.

Il concerto di George Ezra è semplice. Semplice nella struttura: palco ampio, con arrangement strumentale da professionista (nota di merito per i fiati-coristi, tromba trombone e sax) e un arco a mo’ di cornice luminoso, non banale, semplice. Lui, Ezra, quanto di più semplice si possa pretendere da un ragazzone biondo, semplice come il jersey dell’abito di scena (di tutta la band, nb) e la scritta gialla Gold Rush Boy che richiama il suo ultimo lavoro in presentazione in giro per il mondo. Insomma la semplicità di chi si, insomma, è qui per un tour internazionale, ma ti canta e parla con la stessa tranquilla sicurezza dei pub di paese che frequenti da tutta la tua vita. La voce di George è calda, baritonale e intensa, esattamente come la senti, amichevole. Che ti stia cantando quelli che in poco tempo diventano leitmotiv per grandi e piccini come Green Green Grass o Manila o la più chitarrosa All My Love, l’eroe dello sprawl londinese le affronta esattamente allo stesso modo, da professionista o natural leader, comunque come qualcuno che a sua detta, dall’inizio del tour sta vivendo “the most fun I’ve ever had”.

Che poi, semplicità appunto non vuol dire ripetersi. Dall’apertura con la nuovissima e accattivantissima For You (Tiger Lily), si è passati subito a un pezzo più storico della sua produzione, su un piano completamente diverso, con quell’inno da bar misto a line dance di Cassy O’ in cui la voce di Ezra risuona in tutta la sua britannicità da cadrega. Se da Wanted on Voyage a Staying At Tamara’s l’artista ha man mano maturato una coscienza più pop, con Gold Rush Boy ha voluto celebrarla, attingendo anche a tonalità più mainstream (l’attacco di Dance All Over Me in encore ha ricordato non poco Nothing Bleeds Like A Heart, come anche qualcuno mi ha fatto notare), ma mai scontate. In ogni caso, il pubblico (inclusa me) ha apprezzato il passaggio da Pretty Shining People all’introspettiva Barcelona fino ai sound più dark in questa resa live di Saviour e la prettamente rock Did You Hear The Rain, per sbucare nel solo piano e chitarra da limone di Hold My Girl. I presenti sono stati rassicurati in chiusura con l’appassionata Blame It On Me (con lunghissima chiusura strumentale, incluso assolo di batteria), la flagship track di Ezra Budapest e la conclusione con la piaciona Shotgun.

Un concerto ben fatto, che ha centrato le aspettative di chi era lì; un pubblico non da sold out, ma a differenza di tanti altri da pienone motivato, attivo e soprattutto empatico dall’inizio alla fine, anche con l’altro inglese, Passenger, che ha aperto il concerto con l’ironia un po’ paracula di chi si professa famoso per una sola canzone (Let Her Go) e poi ci incarta come Baci Perugina con una brand new cover di Sound Of Silence.

Ecco, ed è qui la vera nota di merito di Ezra e della generazione di ascoltatori che la sua musica ha generato o contribuisce a mantenere. Persone semplici, e Dio le benedica. Siamo a Milano, in piena Fashion Week, metà della città si sta contendendo scettri inarrivabili di virtuosismo e visione sul futuro della moda, la performance più sorprendente, più avveniristica, quella che fa dire WOW, e la sensazione è che si finisca sempre tra le righe di redattori mai del tutto convinti con una valutazione di “interessante” – che è un po’ come prendere un 7 a scuola, quella sensazione di messa in sicurezza dalla disfatta mista a “ma perchè non 8?”. Dovuto disclaimer: non si legga in queste righe una critica. Osservo e vengo rassicurata dal calore di questo ciuffo biondo che osa vestirsi interamente di jeans nella settimana della moda e dice che ha trovato l’essere umano più dolce che esista mentre tutto intorno a me sembra suggerirmi che no, non sarò mai abbastanza (per cosa, poi?). E allora la me che nella città più eclettica d’Italia viene bombardata da tutto quello che dovrebbe, appunto, sorprendermi, e onestamente poco ci riesce, viene sorpresa nel trovarsi semplicemente colpita nell’apprezzare quello che anni di spregiudicata ricerca del “di più” hanno lasciato dietro. Se piace a così tante persone, un motivo ci sarà. Mi sa che l’ho capito.

Foto di Eleonora Stevani | Foto 2019

GEORGE EZRA – la scaletta del concerto di Milano

Anyone for You (Tiger Lily)
Cassy O’
Get Away
Gold Rush Kid
Pretty Shining People
Barcelone
Saviour
Did You Hear the Rain?
Hold My Girl (Acoustic)
Sweetest Human Being Alive
In the Morning
Manila
All My Love
Green Green Grass
Blame it On Me
Paradise
Budapest

Encore
Dance all Over Me
Shotgun

Written By

Dall’Adriatico centrale (quello forte e gentile), trapiantata a Milano passando per anni di casa spirituale, a Roma. Di giorno mi occupo di relazioni e istituzioni, la sera dormo poco, nel frattempo ascolto un sacco di musica. Da fan scatenata della trasparenza a tutti i costi, ho accettato da tempo il fatto di essere prolissa, chiacchierona e soprattutto una pessima interprete della sintassi italiana. Se potessi sposerei Bill Murray.

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