Intervista di Giovanni Tropea
LATLONG è il nuovo album di inediti dei CAMPOS. Si tratta del terzo lavoro discografico della formazione nata dalla collaborazione tra Simone Bettin, Davide Barbafiera e Tommaso Tanzini. Latlong si compone di 11 brani, in cui sonorità acustiche e innesti elettronici danno vita a un’ambientazione singolare, frutto di un lavoro di produzione ricco e accurato. Ne risulta un’atmosfera di suoni e colori ben definiti, ma che lasciano spazio a un universo poetico e immaginativo tutto da scoprire. A due anni di distanza da Umani, vento e piante, il trio pisano conferma la scelta della lingua italiana per il nuovo album di inediti, pur mantenendoquel sound dal respiro internazionale che rimane elemento distintivo del lavoro della band fin dall’esordio discografico in lingua inglese con Viva (2017).
Noi abbiamo ascoltato il disco (di cui vi parleremo tra qualche giorno) anticipato dal singolo e videoclip Sonno e ammettiamo di essercene innamorati. Abbiamo quindi fatto quattro chiacchere con loro perchè davvero volevamo saperne di più…
Innazitutto complimenti per il vostro ultimo disco. LATLONG. Siete riusciti a coniare un termine che lascia spazio alla fantasia. Se volessimo scomporre nuovamente questo vocabolo, esiste un modo per calcolare la latitudine e longitudine tra voi e il mondo che vi circonda?
Come dicevi, è l’abbreviazione di latitudine e longitudine ed è attraverso le coordinate geografiche che ci è sembrato simpatico individuare il mood che avevamo cercato di ricreare. Poi, dicendo la verità, è il nome provvisorio che noi avevamo dato ad una canzone, perché spesso succede che quando denominiamo provini o quello che registriamo, mettiamo nomi a caso. É nato così, poi quando ci siamo trovati per decidere definitivamente il nome del disco, questa parola è ritornata e ci suonava bene perché ha anche questo sapore un po’ orientale, se vuoi. Concettualmente rispecchia quello che ti ho detto prima, il significato di mondo e di noi, le coordinate geografiche che individuano un punto preciso… in realtà più di un punto, i punti li siamo andati a cercare noi con le storie dei nostri brani.
Credo che l’inizio di un progetto, che sia musicale o di qualsiasi altro settore, nasca da un’influenza o un’ispirazione nata per caso e condizionata poi da quello che ci circonda e ci fa riflettere. Voi da cosa siete stati influenzati o ispirati per questo nuovo album?
In realtà gran parte della stesura di questo album è avvenuta durante i vari periodi di lockdown, per cui è stato grazie a questo che abbiamo cercato di raccontare vari scenari, varie ambientazioni che non ci appartenevano, che ci siamo immaginati, appunto. E quindi questo è un po’ frutto della nostra immaginazione e anche di storie a cui ci siamo rifatti, vissute, inventate o sentite da altre persone. Noi siamo molto legati all’ambiente naturale, spesso nei nostri lavori, sia nel primo che è inglese, che nel secondo Umani, vento e piante e nel terzo, che sono cantati in italiano, ci ritroviamo sempre l’ambiente naturale, all’interno del quale si muovono i nostri personaggi, interagiscono in conflitto o in armonia con questo ambiente. Questo è il nostro tipo di percorso.
Durante le registrazioni del vostro nuovo disco, vi è capitato di soffermarvi ed esclamare: “ ca**o, questa ci è venuta veramente bene!”? in riferimento ovviamente alla realizzazione di una traccia in particolare del vostro nuovo lavoro.
È difficile, noi siamo anche molto autocritici, quindi è davvero raro che ci si rilassi in quel modo, che si dica “Ah! Finalmente un bel pezzo!”, perché subito dopo viene smontato, all’ascolto successivo iniziamo a trovare delle imperfezioni. Un paio di pezzi che ci hanno convinto fin da subito e che hanno continuato a farlo sono stati Sonno e Paradiso; il primo perché un beat così continuo, a loop, incastrato, era veramente difficile da accostare a qualcosa che lo accompagnasse bene. Quindi quando abbiamo trovato quell’arpeggio di chitarra, che è molto semplice, ci siamo accorti che il pezzo girava, insieme alla voce in contrasto e per noi è stato un super risultato. Paradiso invece, si appoggia su accordi molto essenziali ed è una cosa che noi facciamo raramente. Solitamente, anzi, spezziamo i giri di accordi a metà oppure ne mettiamo parecchi …questo pezzo invece gira su 4-5 accordi e ci ha convinto perché era un brano spontaneo, basato su una struttura molto classica e ci è piaciuto anche come ci si appoggiavano sopra le parole. Questi due pezzi ci hanno portato un po’ avanti rispetto a quello che eravamo noi, rispetto a quello che avevamo provato. E quando ti accorgi che puoi fare cose diverse, che ti convincono e tallontanano da quello che avevi fatto fino a quel momento, è un po’ come stupire sé stessi.
Parentesi live: in relazione all’assurdo periodo storico che stiamo vivendo, quanto vi manca suonare live?
Parecchio, perché il live è un’esperienza irripetibile, unica, ogni live è diverso dall’altro, anche per lo stesso gruppo, è un’esperienza di contatto che sentiamo sicuramente mancare molto in questo periodo. Manca l’adrenalina di quando sali sul palco, la soddisfazione di aver portato un lavoro che ti ha preso tanto tempo. Il riscontro con il pubblico ce l’hai durante il live, lo vedi e lo senti, come se fosse l’esame finale. Una cosa che diciamo sempre durante questo periodo, è che la musica ci può aiutare, è un’ottima medicina. Per questo noi stiamo continuando a vederci e provare, anche se non si sa quando potremo tornare a suonare dal vivo.
Avete pensato a qualche collaborazione, a qualche artista nella scena italiana con cui vi piacerebbe lavorare?
Non ci sono cose che mi colpiscono particolarmente in questo momento, l’unico che trovo interessante è Iosonouncane, sempre per lo stesso discorso di prima, cioè che non sai cosa aspettarti dal suo prossimo lavoro. È questa per noi la cosa interessante del mondo della musica.
Avete iniziato la vostra carriera cantando in inglese. Nel 2018 la svolta italiana con UMANI, VENTO E PIANTE. LATLONG consacra e, credo, concretizzi la volontà di continuare a comporre in italiano. A parer mio siete davvero credibili, nonostante le vostre sonorità, il vostro “vestito compositivo”, sia forse più indicato per la lingua anglosassone. A distanza di due lavori in lingua madre, potete dichiarare di essere soddisfatti della decisione presa? La considerate una svolta inevitabile dovuta alla vostra maturazione artistica?
Sicuramente siamo soddisfatti, inizialmente è stata una sfida. Le cose che stavamo facendo in inglese tornavano, giravano e ci piacevano. Abbiamo provato in italiano anche per vedere se riuscivamo a fare la stessa cosa, però cantando nella lingua che ci appartiene, se riuscivamo a creare le stesse atmosfere. Ci sono delle cose di Umani, Vento e Piante che ci piacciono, ma in Latlong c’è più consapevolezza di questa scelta, ci siamo anche lasciati andare, con meno timore. Che poi questa scelta si ripeta in futuro non lo sappiamo nemmeno noi, questo orizzonte ce lo lasciamo aperto. La nostra idea era proprio di far defluire insieme la parte delle parole e la parte musicale, in modo che arrivassero a tutti.
Quali sono le band ascoltate di recente che il vostro profilo Spotify vi ricorda?
Parlando di cose che sono uscite recentemente Ultra mono degli Idles, è un disco nuovo con dei pezzi molto belli. Tommaso, che è un fan di Bob Dylan, nell’ultimo periodo lo ha mangiato. Altri ascolti comuni a tutti e tre sono gli Smiths, abbiamo ascoltato molto di recente i Flaming Lips , comunque si spazia tantissimo ed è sempre difficile rispondere a questa domanda. Ti posso dire che in generale ci piace la musica che stupisce, che non è troppo rassicurante, che ha un minimo di ricerca sonora dietro, ma che non sia intellettuale e cervellotica. Ci piace molto la roba sporca, nei riferimenti musicali abbiamo messo i Velvet Underground, Psychic TV, Sebastian Tellier, che è più attuale, gli MGMT per quanto riguarda i beat elettronici. Però in generale siamo influenzati da tutti quegli ascolti e da tutti quegli artisti che hanno fatto un tipo di ricerca musicale non indirizzata troppo verso il successo, ma andando un po’ controtendenza anche rispetto ai gusti del pubblico. Ci attirano gli artisti coerenti con loro stessi, che hanno cercato di andare avanti rispetto a quella che era la musica del tempo, a prescindere che siano stati degli anni passati o che siano artisti più attuali.
Mi ha fatto molto sorridere la vostra Ghost Track. È un simpatico regalo che pochi artisti ormai concedono ai loro ascoltatori. Nella vostra si sentono dei CAMPOS pieni di riverbero, distorsioni e tanto, tanto acidi. Musicalmente parlando, s’intende.Era una semplice session nata per caso e con lo scopo di fare casino e divertirsi, oppure questa ghost track è un vostro scheletro nell’armadio, presagio di future svolte più rock?
[ride] È un gioco, anche un po’ nostalgico degli anni ‘90, ci divertiamo ovviamente a fare questo ed è anche uno sfogo perché tutti e tre veniamo da un tipo di esperienza musicale passata, anche di ascolti, che comprende anche il mondo punk. Punk come attitudine, nel senso che non è importante che una cosa suoni bene, ma che trasmetta… è una componente che noi ci portiamo dentro, anche se non si sente nei brani di un nostro album, ci sembra giusto farla sentire.Ai nostri concerti abbiamo sempre un paio di pezzi dove ci sfoghiamo in quel senso lì. Da una parte crediamo nella musica che facciamo, ma allo stesso tempo siamo fatti di tantissime esperienze musicali diverse ed una di queste è proprio il punk, che non vogliamo perdere né come attitudine né come suono. Che sia un presagio di lavori futuri non lo so, chissà…
Io quest’anno a Babbo Natale ho chiesto il vostro ultimo disco autografato. Voi invece cosa sperate di trovare sotto l’albero?
Un paio di scarpe da running, sperando di non usarle [ride]

