Articolo di Marzia Picciano
Cosa rimane di un concerto di cantautori? Un paio di chitarre, tastiere, un violino, una fisarmonica, tutti sul palco, di nuovo in attesa. Immagine romantica e decisamente nostalgica, soprattutto se ci si pensa sul palco rosso velluto e bianco calci dell’Arci Bellezza di Milano, con tanto di tavoli e sedie, nella penombra, ancora – in attesa.
Era quello che ci attendeva ieri, nella serata del 14 marzo organizzata da Altini Cose, una sfilata di alcune tra le realtà più interessanti della scrittura d’autore di questi anni, giorni, in Italia, anche perché sono un calabrese, un romano, un siciliano e un bergamasco, insomma il mix perfetto per iniziare ogni barzelletta che si rispetti, e invece vedi che storia ci hanno detto, o che storie, diciamo.
Il main stage prevedeva Ettore Giuradei, artista del nord Italia, quello montanaro nel senso di schietto e diretto e dal sentore vagamente hardcore (è un’eccezione culturale difficile da eliminare e che invero dà spunti non scontati) e la rappresentanza del centro Italia di Emanuele Galoni, quella che nella pancia della provincia sembra prendersi tutto il mondo e infatti il suo ultimo Cronache Di Un Tempo Storto sembra abbracciarlo tutto dalla stanza della sua mente a Velletri (ma di questo ne parliamo qui, in un’intervista dedicata). Due figure diverse, in fila per la stessa missione o vocazione: suonare, cantare, fare i cantautori (e soprattutto essere dei veri duri e puri in materia). Ad aprire Le Rose E Il Deserto, il progetto musicale di Luca Cassano accompagnato dalla fisarmonica di Fabio Greuter e Cesare Livrizzi che ha fatto della data il release party del suo nuovo lavoro, Speciale (ed entrambi oggetto di indagine, più o meno recente, della nostra Serena Lotti).
Per l’insano gioco del mercato discografico si parla di emergenti, in realtà abbiamo dei professionisti con anni e diversi dischi alle spalle, ma è qui che va a incagliarsi l’algoritmo dell’esploso indie italiano che rischia di presentarci pezzi tutti ameni ed estremaente uguali, con l’effetto di farci perdere quello che il vero cantautore fa: trovare e mostrarti, farti vivere il guizzo di realtà in un gioco di riflessi che poi è, alla fine, la nostra vita. Questo per dire che, ad esempio, sia Giuradei che Galoni sono due penne e voci appassionate e fin troppo fini per rientrare nei nuovi canoni stilistici fatti da tutti e per tutti. Ed è il momento in cui mi dico: si, evviva la democrazia, ma non saremo vittime di troppa democratizzazione? Lungi da me entrare in un discorso dai risvolti reazionari, ma per dirla brutalmente, il pensiero è lampante: in tutto questo pullulare di prodotti chitarra&voce e di offerta che supera veramente la domanda, come facciamo a distinguere il bello? Che fine hanno fatto i miei gusti? Cosa mi piace? E soprattutto, chi diavolo è un cantautore?
Che poi è la domanda a cui Emanuele ha provato a rispondere nella nostra chiacchierata telefonica: siamo tutti cantautori se suoniamo, componiamo e poi mettiamo in musica, ma abbiamo la fortuna nella nostra storia musicale di aver incontrato diversi esponenti di quella che è la canzone d’autore, che ha una sua storia, un suo arrangiamento, una serie di Maestri o Professori (De Gregori primo tra tutti) inarrivabili, ed è questa anche la sua principale condanna, o sfiga. Un perenne memento mori di essere all’ombra dei giganti, oltre che inghiottiti nella dittatura dell’autotune e della cassa dritta o dell’hype perenne, più o meno colto, e sembra non esserci spazio per altro, se non una nicchia, piccola, per pochi, a meno che non fai il botto. E alla fine dei conti, forse meglio.
Perchè anche se sono sicuramente annebbiata dal quantitativo e qualitativo di musica che posso ascoltare, serate come quella di ieri mi fanno pensare che posso ancora fidarmi dell’istinto e dire questo mi piace, questo meno, e riconoscere che in ognuno di questi artisti c’è lo sforzo non tanto di raccontare una storia propria, ma di dirci: un altro modo è possibile. Senza artefizi o altro, con una fisarmonica come ha fatto Le Rose E Il Deserto, con un cappuccio e una chitarra di Livrizzi, il violino che ha accompagnato Giuradei e la batteria (oltre che alla voce) di Galoni. C’è anche da dire che quattro in una serata sono impegnativi: non sono qui a ballare, ma a sentire ed ascoltare, e qui ogni ascolto ti impone una imponente analisi del testo, si arriva alle undici e mezza che sei pronta a consegnare il foglio protocollo in bella alla prof e dirigerti al bancone a chiedere un meritato birrozzo di consolazione, perche se hai fatto bene i conti, in due ore di pensieri profondi hai probabilmente riaperto tutti i cassetti della tua coscienza che decisamente non volevi aprire. Personalmente, ho pianto, dopo e durante la birra, ma dopo una sveglia alle 5 e la dolcezza della chitarra su Stachanov di Galoni ho sentito l’urgenza (dell’Esercizio Fisico) di piangere.
È anche complesso mettere su una serata con voci diverse, è vero che sono tutti cantautori ma anche profondamente diversi. La calma profondamente contemplativa delle riflessioni perse nel tempo de Le Rose E Il Deserto alla fine si legano all’indie giovane ma non per questo omologato di Livrizzi che ci racconta il suo personale percorso dalla Sicilia, al romanzo di formazione dell’universitaria Bologna, al rapporto di odio e amore con Milano, quello insomma in cui ci scontriamo noi tutti forestieri che ci avventiamo in una capitale europea che sappiamo essere casa e non lo è (chissà Cesare cosa ne ha da dire sulla parabola dell’amore di Bianconi e Bastreghi). Giuradei non è, ma gioca a fare l’outsider, quello che riporta un pó la caoticità (da osteria) del Nord ovest più rock (lo slancio di Below Sea Level arriva comunque attutito dato l’ambiente, anche se ci direbbe di ribaltare le sedie). Più arrovellato delle corte arricciate di una delle chitarre, la butta letteralmente in caciara (alla faccia del violino). È un personaggio, il suo personaggio, quello di Nevrotica Politica. Infine si arriva a Galoni, con tutto l’amore che ha mosso alcuni appassionatissimi fan capaci di cori appassionati. In quale altro caso arrivi cosi, dopo tutte queste emozioni, dopo tutte queste parole, con la forza di cantarne altre?
Sarà che per apprezzare certi elementi, certi argomenti, e certi generi, bisogna essere portati e superare il mare magnum di proposte seguendo un istinto che per chi ne è ghiotto, puó essere una sfida, ma se è buongustaio, è una scelta incondizionata di prodotti di un certo standard. Sarà che siamo pochi, ma non per questo si perde la fiducia ne(-l gusto de-)lle persone. Viva il cantautorato, viva il perdersi un giovedì, stanchi morti, nelle parole di altri. E viva Milano che mi permettere di commuovervi o piangere in questo conforto, al buio. Tra tutte queste parole.
LA SCALETTA DEI CONCERTI della serata di ieri
LE ROSE E IL DESERTO – La Scaletta del concerto
Un Terzo
Salgari
Australe
Rumore Di Fondo
CESARE LIVRIZZI – La Scaletta del Concerto
Giganti
Tu Mi Guardavi
I Migliori
Male Che Vada
Inverno Nucleare
Milano Non Contiene Amore
Che A Milano Si Sta Bene
L’Amore Che Perdi
Speciale
ETTORE GIURADEI – La Scaletta del Concerto
GALONI – La Scaletta del Concerto
Le Rovine Di Pompei
Mare Magnum
L’Esercizio Fisico Di Piangere
La Strada Di Casa
Banksy
Gino
Stachanov
In Mezzo Alla Fretta
Buoni Propositi Per l’Anno Prossimo