Impressioni che diventano suoni, attimi fugaci che rivelano dopo un attento ascolto emozioni intense, rivissute e trasfigurate attraverso virtuosismi tecnici, melodie delicate, testi semplici ed immediati che non sono altro che pretesti per lasciare spazio all’armonia musicale ed alla sperimentazione.
Un’alba, un tramonto, una carezza tra 2 amanti che vengono dipinte sullo spartito attraverso variopinti intrecci sonori che scorrono immediati dall’animo gentile sensibile e naivè dell’artista in questione, seppur
cinico in apparenza e superficie,per sfociare diretto al folto e vasto pubblico estasiato dall’opera dello stesso.
No, non sto per proseguire a fare un elogio sommario alla musica impressionista d’inizio ‘900 di Claude Debussy, ma qualche affinità con Steve “Thundercat” Bruner l’ho comunque annotata in pieno brainstorm sul mio phone durante questo concerto trentino del poliedrico musicista nativo di Los Angeles.
Perché il Gatto che Tuona, raccoglie momenti, impressioni, osserva sornione ciò che lo circonda e lo spaventa per poi trasformarlo, spogliato dal pathos all’improvviso trasformato e denaturato in chiave fipnoticamente densa ma ironica, nel linguaggio a lui più consono, un ibrido musicale tra elettronica e generi black, principalmente mediante lo strumento a lui più familiare,il basso elettrico.
Thundercat ci fa rivivere quel “That moment”, in cui alle “3AM” si ritrova completamente “Drunk” gridando al mondo “I am crazy” perché la vita è un “Inferno” quando ci si continua a chiedere al mondo da ubriachi se
“Is this Love?” o “Where i’m going?”, mentre l’unico sogno della sua vita è vivere protetto dalla placenta come fosse “The life aquatic” od evadere dallo stress cercando rifugio in una calma metropoli come “Tokyo”.
Un eccentrico paradosso.
Come la carriera musicale di Steve Bruner, iniziata presto come bassista del gruppo punk-hc Suicidal Tendencies, poi proseguita con miliardi di collaborazioni/tournée con artisti eclettici come Erykah Badu, Kendrick Lamar, Kamasi Washington e soprattutto Flying Lotus, produttore(casa discografica Brainfeeder) dei tre album solisti del Bruner (The golden age of the Apocalypse/2011, Apocalypse/2013, Drunk/2017).
Bassista ricco di talento,virtuoso, delicato ricamatore vocale, influenzato tanto dal trash-metal come da Mogwai e Miles Davis per sua stessa ammissione/provocazione all’interno di un bizzarro ironico siparietto col pubblico avvenuto sul finale di concerto, Thundercat si presenta puntuale alle ore 21.15 in quel del Teatro Auditorium di Trento, all’interno della stagione/rassegna “Jazz About”, per concludere in bellezza il tour europeo (iniziato l’11 novembre a Groningen) davanti a circa 700 persone molto curiose, interessate ed eccitate dall’evento.
Un pubblico eterogeneo, per età e sicure differenze di background d’ascolti.
Sul palco, oltre al basso a 6 corde di Bruner, la sua soave soffusa voce in falsetto, un violino elettrico, un set di keyboards e synth, una batteria.
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Si comincia un po’ in sordina, intro ambient e 3-4 brani un po’ spenti,in chiaro scuro, forse troppo lineari per una serata jazzistica. Terminato il “warm-up”, il gatto sornione si scatena.
Assieme alla band d’accompagnamento, c’introduce nel suo repertorio più sperimentale e tecnicistico, un sound-trip tra soul, r’n,b, jazz, elettronica e le più disparate contaminazioni: spesso si parte dalla forma-base delle sue tracks presenti in discografia (di durata breve, forse ricordo dell’esperienza punk) per poi variare sul tema, aggiungere, improvvisare lunghe cavalcate jazz-prog sempre conservando gelosamente il mood ovattato, ipnotico ed onirico espresso nelle composizioni di Thundercat.
La voce raffinata ed il basso magnetico di Bruner fanno vibrare gli animi, il violinista crea dissonanza e pone accenti interessanti, tastiere e parti elettroniche ineccepibili, unica nota stonata solo il batterista che eccede spesso in foga peccando in sensibilità di tocco.
Qualità sound generale forse non al massimo livello, forse colpa dell’acustica del teatro o qualche scelta non azzeccata da parte del fonico,ma compensata da un lavoro minimale ed elegante sulle luci di palco, emotivamente affine al sound ed amplificatore delle sensazioni sonore espresse e percepite.
Episodi più riusciti della setlist, a parer mio, sicuramente l’intensa “Heartbreaks+Setbacks”, la meravigliosa straniante “Lotus and the Jondy” e la funkeggiante “Them Changes”, apprezzata e degna conclusione di questo viaggio durato poco più di un’ora. (si poteva forse con un piccolo sforzo far perdurare un poco più la performance, ma lo si perdona essendo l’ultimo sforzo del tour).
Un plauso a Thundercat, a tutti coloro che hanno lavorato per portare la data a Trento (il curatore della rassegna Denis Longhi in primis), e al folto pubblico che (di lunedì sera) ha dimostrato come anche una piccola cittadina di montagna può apprezzare e dar valore alla musica contemporanea di qualità
Articolo di Lorenzo Marchi | Foto di Matteo Scalet

