Articolo di Lorenzo Marchi | Foto di Matteo Scalet
The Offspring – Pennywise – Good Riddance – Rimini – 14 giugno 2016
Mi risulta un po’ strano ed alienante scrivere il live report di questo trio di storiche band californiane, eterne paladine di quel genere in via d’estinzione che è il punk rock (e hardcore melodico, un genere che ha profondamente segnato l’adolescenza di milioni di ragazzini ribelli in tutto il mondo, fornendo loro modelli (in realtà estremamente positivi in molti casi, al contrario del pregiudizio) da imitare in abbigliamento e atteggiamento e da seguirne con religioso fanatismo l’evoluzione musicale. In sintesi, 15 anni fa questo concerto avrebbe rappresentato un sogno ad occhi aperti, oggi diciamo che prendervi parte è più un rito di incredibile potenza nostalgica. E di nostalgici ce ne sono stati davvero tanto ieri, al Rimini Park Rock Festival. Svariate migliaia di punkrockers si sono ritrovati per rendere omaggio ai gruppi “del periodo più spensierato della loro vita”.
I primi a salire sul palco sono i Good Riddance, band di Santa Cruz nata nel lontano 1986 e da sempre caratterizzata dai messaggi politico-sociali molto profondi mischiati ad un sound veloce, ruvido, diretto, degno melodicizzato figlioccio dell’hardcore delle origini, vedi Minor Threat, T.S.O.L e ovviamente Bad Religion. Degni attivisti della dottrina Straight edge (no alcool, no droghe, no sesso occasionale e molto altro), si presentano nella formazione originale e attaccano a suonare precisi come degli orologi svizzeri alle 20.00. Potente il loro sound, con assoluto punto di forza la linea ritmica basso-batteria e la scaletta veramente ben oliata. Scorrono veloci i brani, pescati soprattutto dai gioellini Ballads from the Revolution (Fat wreck chords 1998) e For God and country (1995). La voce e la tenuta del leader Russ Rankin non è quella dei giorni di gloria, ma basta a scaldare il pubblico. Il loro brillante set si conclude con alcuni brani del nuovo lavoro discografico (Peace in your time 2015) e i loro successi Yesterday’s Headlines, Mother Superior e Shadow of Defeat.
45 minuti di veramente pregevole hardcore, suonato ancora con passione, tecnica ed energia.
Cambio set. Tramonto, la luce svanisce, Weezer come colonna sonora del cambio palco per stemperare i toni, tutti i presenti a cercare di ordinare una birra o una piadina, e arrivano i Pennywise. Nome preso dal pagliaccio protagonista del romanzo It di Stephen King e incubo notturno per miliardi di bambini della mia generazione (80) per la rappresentazione cinematografica e una carriera venticinquennale di accordi veloci, cori, testi di accusa politica, circlepit, tanto sudore, stage diving e segnata fortemente dalla morte del bassista Jason Thirsk nel 1996 e dai problemi alcoolici del cantante Jim Lindbergh. Pronti via, si parte con i fuochi d’artificio perché tirano fuori dal cilindro la fantastica Peaceful day. Si intuisce subito che il loro live sarà un tuffo vero e proprio nella loro migliore discografia. E allora arrivano canzoni da About Time, Full Circle e soprattutto Straight Ahead (Fat wreck chords 1999), a mio avviso il loro career-high. La chitarra sorda, ovattata e chirurgicamente precisa ed affiliata di Fletcher Dragge scandisce il ritmo. Siparietti riusciti con il sempre più caldo pubblico riminese, inviti ad avere più coraggio a mandare in culo i governanti politici, un sondaggio per far scegliere a suon di applausi e grida una cover da eseguire: tra Minor Threat, Black Flag, Dead Kennedys, Descendents vincerà (sigh, per lo scarso entusiasmo del pubblico davanti a certe divinità) Territorial Pissing dei Nirvana. I migliaia presenti a Rimini Fiera non vedono l’ora che a salire sul palco siano The Offspring. E allora Pennywise chiude il suo show con l’inno di fratellanza più riuscito della storia del punk californiano, la Bro Hymn dedicata al bassista scomparso.
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Brividi lungo la schiena, il tempo di cercare un rifugio sicuro dove orinare(decisamente insufficiente la presenza di toilette dato il numero di biglietti venduti) e scocca l’ora dei beniamini di Orange county, la fortuna della casa discografica Epitaph, coloro capaci di sbancare tutto con dei singoli dal successo tanto importante quanto imprevedibile: signori e signore, ecco a voi La discendenza, traduzione più o meno corretta del termine The Offspring. A dire la verità, l’impatto con la band di Dexter e Noodles non è dei più entusiastici : You’re gonna far kid, brano recente dai tratti pop che lascia delusi i fan di vecchia data, i quali avrebbero decisamente gradito un inizio con più Nitro (chi ha orecchie per intendere, intenda). Dexter si presenta con una giacchettina sbarluccicante degna del peggior Bon Jovi, Noodles con il solito mood da nerd mezzo rincoglionito, batterista nuovo di pacca che sembra la brutta copia di Travis Barker, l’eterno gregario Greg K. a fare lo sporco basso lavoro.
Arriva I want U bad. No, non ci siamo proprio. La voglia di tirare su nuove leve di fan non può far però scendere il latte alle ginocchia a chi è cresciuto a pane e Smash. Terzo brano in scaletta, ultima chance prima che mi salga la nausea per davvero. L’intro di Come out and Play arriva come manna dal cielo. Peccato l’illusione duri poco, per respirare bisogna aspettare che arrivino i brani presi da “Americana”, Have you ever e Starin’ at the sun. La splendida voce di Dexter sembra avere conosciuto giorni migliori, l’energia non è al massimo, il set non è dei più adrenalinici. Dispiace ammetterlo, ma nonostante la tecnica sublime sembra di assistere ad un concerto di un ex gruppo. I fan sono comunque entusiasti( giovani su tutti), ma l’impressione è quella di un qualcosa di forzatamente fatto andare in onda per pagarsi la (ormai già)ricca pensione.
Un sussulto per Bad Habit, e il suo storico intervallo “But when I show my piece, Complaints cease Something’s odd I feel like I’m god You stupid dumb shit goddamn motherfucker!” furbescamente usato da Holland &co per rifiatare e far caricare il pubblico con un climax proprio su quel verso. Poco altro. Tanti brani obsoleti come Hit that o Head around you. Le hit Pretty fly, Kids aren’t allright e la magnifica perla All I Want salvano la seconda parte dello show. Si chiude con Americana e l’immortale Self Esteem. Tutti a casa, sicuramente molto contenti quelli impegnati durante il concerto a scattare foto e video dai loro smartphone del ciuffo di Dexter e alla coreografia teschiata di contorno palco, un po’ delusi i nostalgici convinti di essere dovuti andare ad un concerto di una punkband ancora in forma.
The Offspring
You’re Gonna Go Far, Kid
Want You Bad
Come Out and Play
Coming for You
Original Prankster
Have You Ever
Staring at the Sun
Long Way Home
Bad Habit
What Happened to You?
Hit That
Kristy, Are You Doing Okay?
Why Don’t You Get a Job?
All I Want
(Can’t Get My) Head Around You
Pretty Fly (For a White Guy)
The Kids Aren’t Alright
Americana
Self esteem
Pennywise
Peaceful Day
Rules
My Own Country
Something to Change
Perfect People
Time to Burn
My Own Way
Same Old Story
Living for Today
Territorial Pissings
Pennywise
Straight Ahead
Society
Fuck Authority
Alien
Bro Hymn
Good Riddance
Letters Home
Disputatio
Last Believer
Heresy, Hypocrisy, and Revenge
A Credit to His Gender
All Fall Down
Half Measures
Without Anger
Weight of the World
Running on Fumes
Fertile Fields
Salt
Yesterday’s Headlines
United Cigar
One For the Braves
Shit-Talking Capitalists
Mother Superior
Shadows of Defeat