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Reportage Live

La celebrazione del dolore e l’ossessione dell’esplorazione interiore. NADA a Milano

Articolo di Serena Lotti | Foto di Oriana Spadaro

Ma che freddo fa. Nada è arrivata in un’inaspettata fredda serata di primavera per la tappa milanese del tour di È un momento difficile, tesoro!, ultima fatica della cantautrice livornese che vede il ritorno alla produzione di John Parish (collaboratore storico di Pj Harvey).
Stasera sembra che anche le condizioni metereologiche vogliano adattarsi allo scenario melodrammatico e un pò decadente che ci aspetta: il Magnolia offre il suo meglio d’estate si sa ma noi nell’attesa giochiamo a biliardino, beviamo birra e confrontiamo il nostro carico di aspettative vicendevolmente ingannando l’umidità e l’attesa.
Nada sale sul palco insieme ai suoi musicisti ed è innegabile, riempie tutto il locale in una frazione di secondo. Ma non di presenze, quelle sono copiose, siamo in totale sold out. Avete presente quando si dice “riempire una stanza”? Quella è Nada. La personalità che emana è magnetica e sarebbe necessario uscire in giardino perchè non erompa in maniera devastante. Cosa che succede, perchè noi non muoviamo un passo. Outfit severo quando basta (camicia puntellata di piume e un paio di scarpe che chiamavamo Clipper negli anni 90) e capelli selvaggi sciolti sulle spalle.

Nada attacca con tre pezzi da novanta del suo ultimo lavoro, Un angelo caduto dal cielo, Disgregata e Stasera non piove. Fino da subito è evidente quanto questa artista sia incredibilmente fisica, drammatica, carica di un phatos che non smetterà mai di calare o vedere momenti di stanca.
Ci fermiamo solo un attimo per dare a Nada la possibilità di darci le istruzioni per il concerto. Questa sera, ci spiega, compiremo un viaggio esplorativo dentro tutti i nostri codici emotivi più frangibili e drammaticamente diversi tra loro. Il suo è un messaggio chiaro: non sempre sappiamo vederli. Insieme, però sarà più facile e facile sarà anche accettare di far entrare la tristezza e il dolore. E cercare. Perchè cercare e l’unica ragione.

E subito ci sbatte il faccia un corpo che userà come una tavolozza, come un tamburo, un corpo che è strumento, utensile, un imbuto dal quale fare erompere passione, dolore, strazio. Nada si aggroviglia su se stessa, le braccia non sono più braccia ma un’ estensione fisica di quella voce che graffia, che strappa che dilania. É fondamentale conoscere tutti i lati più oscuri del proprio io per poter trovare la strada, lo sapete? Nada ce lo ricorda, ce lo spiega se serve, sollecita tutti noi a farlo. E lo fa girando vorticosamente su se stessa, picchiandosi le anche, tormentandosi il viso.
Quell’angelo caduto dal cielo che presenta in apertura non è altro che lei. Una Nada che si autocita e che si rivela nella sua fragilità, nella sua commovente e teatrale autenticità.

Sui testi erosivi e il sound sensuale di Guardami negli occhi e l’impertinenza punk della famosissima Senza un perchè (rientrata nelle classifiche di vendita l’anno scorso grazie alla fiction The Young Pope che l’ha inserita nella colonna sonora) picchi di teatralità e ironia, nonsense e ancora lampi di fisicità sgorgante, strappi scenici e sonori, dimensioni sconosciute.

Su Lavori in corso Nada racconta del suo diffcile tentativo di ricominciare, riprendere il cammino interrotto, cercando di imboccare nuovamente quella via che, spesso, non riesce a trovare e ci chiede “Dove siamo adesso?” e dal pubblico si alzano un Firenze! Milano! Ma no, ma no. Il luogo fisico non è che una menzogna, è un luogo un non luogo. Non siamo veramente dentro quella stanza. La risposta che ci da, alla fine, sta nella ricerca di se stessi come unica soluzione per sopravvivere.

Il pezzo che segue, il singolo di lancio Dove sono i tuoi occhi, è uno straordinario urlo disperato rivolto a chi non può essere più presente a chi non c’è più, tema che si realizza pienamente con Madre.
Questo, uno dei momenti più strazianti e toccanti del live. Mutuando dagli insegnamenti freudiani che ci raccontano di conflitti irrisolti e muovendosi nel buio di un’assenza feroce, Nada scomodando l’archetipo e smuovendo i nostri dolori più profondi ed intimi (chi non ha un conflitto con la propria madre alzi la mano), attraverso quella che non può essere semplicemente definita una canzone, ma una preghiera, un’invocazione, un’esperienza tradotta da una magistrale prova interpretativa, ci racconta del viaggio doloroso, devastante, violento alla ricerca del grembo materno, uno spasmodico viaggio verso un calore uterino dove ritrovare, finalmente, se stessa. Le mani si ritraggono e si abbandonano come fossero possedute e rovistano quel corpo aperto alla ricerca delle zone del dolore fisico del parto, gridando qui, ancora qui. Il ventre è la risposta e la domanda. E’ il centro. Assistiamo cosi ad una nascita al contrario che si conclude in un’esplosione liberatoria, un ricongiungimento catartico che riappacifica. Il grembo sicuro. L’unico luogo dove la figlia diventa madre di se stessa.

Stiamo assistendo a qualcosa che è più di un live, la musica viene relegata ad elemento quasi secondario. La potenza interpretativa e la capacità di trasformare un concerto in un autentico spettacolo teatrale, un’opera performativa in cui Nada sta al centro, lei sola, sensuale, drammatica e dove si prende tempo e spazio per danzare come uno sciamano e fermare il tutto.

Bisogna conoscere tutti i lati più oscuri del proprio Io per poter trovare la strada, ci ricorda ancora. È questo il messaggio che emerge da È un momento difficile tesoro title track e pezzo dalla fortissima connotazione blues. Ancora una lezione. Ancora una domanda e ancora risposte copiose, eloquentissime.

Siamo in chiusura con Amore Disperato e Ma che freddo fa: stiamo cantando tutti, siamo un tutt’uno senza cesure, senza forma, senza differenze anagrafiche. Le gridiamo a squarciagola quelle strofe, siamo in una collettiva e delirante immedesimazione: siamo noi a ballare tra le stelle accese, alziamo le braccia per aria, sentiamo che s’alza il vento, un vento freddo e da qui è un attimo diventare angeli caduti dal cielo e siamo sempre noi adesso ad essere tutti li sul palco con Nada, che ci lascia cantare, ci accompagna come una madre e i musicisti ci regalano due versioni non certo pop melodiche ma graffiate da chitarre pesanti ed una batteria forsennata. Brani che hanno resistito alla prova del tempo e che ancora oggi sono in grado di unire e unire e unire ancora.

Nada stasera ci ha fatto vedere quando liberatoria è stata la sua discesa negli abissi e lo ha fatto urlandocelo in faccia, strappandoci la pelle con la sua disperazione e con le sue urgenze espressive. Ma mai parca di sorrisi, di gioia, di morbidezza. La sua non è stata solo la celebrazione di un’ossessione, ma anche dell’esaltazione dell’amore, uno smisurato e finalmente confessabile amore. Un amore senza vergogna.

Nada ha creato per noi un’opera libera da ogni categorizzazione, uno straniante manifesto all’amore, un’esperienza pura ed autentica intessuta di sonorità minimal, mood dark, richiami all’espressionismo teatrale e ironia usando la voce come uno strumento, trasformandola nella materializzazione dell’abbandono, della purezza del dolore e dell’esperienza vissuta.
La fascinazione della sofferenza sta tutta qui. In una personale quanto contemporanea tragedia greca.
Nada ma questa vita cos’è, se manchi tu?

Clicca qui per vedere le foto di Nada a Milano (o sfoglia la fotogallery qui sotto).

NADA – La setlist del concerto di Milano

UN ANGELO CADUTO DAL CIELO
DISGREGATA
STASERA NON PIOVE
GUARDAMI NEGLI OCCHI
LUNA IN PIENA
CORRERE
SENZA UN PERCHE’
LAVORI IN CORSO
E’ UN MOMENTO DIFFICILE
PIANTAGIONI DI OSSA
O MADRE
MACCHINE VIAGGIANTI
DOVE SONO I TUOI OCCHI

ENCORE 1
TI STRINGERO’

ENCORE 2
AMORE DISPERATO

ENCORE 3
MA CHE FREDDO FA

Written By

Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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