Di Stefania Clerici
È uscito a fine di febbraio Dente, il primo disco omonimo del cantautore, al secolo Giuseppe Peveri, e oggi ve ne parliamo insieme a lui, tracciando una lunga chiacchierata di questi giorni. Con la sua faccia in copertina, tante novità musicali e un forte senso di identitario in ogni pezzo, Dente è il disco da ascoltare a Pasquetta, godendoti il sole primaverile sul tuo balconcino, mangiandoti il cioccolato amaro dell’uovo . Ecco l’intervista a Dente in cui parliamo del nuovo album… ma non solo!
ROCKON: Il disco si apre con “Anche se non voglio” una canzone che è un biglietto da visita. Dici: Io sono tutti voi / Sono nessuno /Valgo niente /Sono l’unico / Il peggiore /Un innocente /L’assassino /Il vincitore /L’acqua del mulino /Io sono l’erba del vicino… ma chi è Dente veramente?
DENTE: È la domanda che mi sono fatto quando ho scritto quella canzone… io sono io, ma sono anche come mi vedono gli altri: ci sono tanti me, per come mi vedo io, ma ci sono altri me, per come vengo percepito. Riconosco che è un modo non molto innovativo per interrogare se stessi su chi siamo: noi siamo anche gli occhi degli altri. Spesso quando qualcuno ci dice come ci vede succede che non ci ritroviamo in quel racconto, quindi ci domandiamo: “ma chi sono veramente?” Anche se non voglio è una canzone che parla di questo e si interroga… nel ritornello c’è una sorta di presa di coscienza e di alleggerimento quando dico “sono io quando sbaglio, sono quando piango”, che è un’accettazione di sè. Senza entrare in ambito filosofico, è un pezzo che parla di quello che siamo per gli altri: per alcuni siamo inutili, per altri siamo importantissimi… ma ognuno di noi vive in base alle relazioni che ha e alle persone che incontra. Io credo che ognuno sia diverso secondo ogni persona.
Dente è un disco con molte novità ma anche un disco molto intimo, soprattutto nei pezzi che definirei “minimal” di voce, piano e atmosfere rarefatte… penso ad Adieu, Trasparente, Non cambio mai. Perché sei arrivato a questi suoni e come hai vissuto il distacco dalla tua chitarra?
É stato un distacco voluto e calcolato, nel senso che ho provato a vedere se togliendo quell’elemento sarebbe restato tutto insieme, essendo stato un pilastro del mio lavoro passato. E la risposta è stata: sì, sta tutto in piedi e anche bene! Sono arrivato a questa soluzione musicale dopo un po’ di tempo, vari tentativi e qualche sofferenza. Avevo infatti queste canzoni e volevo fare un grande cambiamento, ma avevo bisogno di aiuto per affrontarlo. Sono stato fortunato e ho trovato le persone giuste nel mio produttore, Federico Laini, e Matteo Cantaluppi che sono riusciti a fare con me questo piccolo miracolo. Dente è sì un disco diverso, ma mantiene la mia identità personale e artistica, e io volevo che fosse così, che si capisse che ero sempre io, come quando esci e hai un nuovo taglio di capelli, la gente ti riconosce e ti dice “ma che bel taglio ti sei fatto!”
Un altro elemento di novità in questo tuo lavoro sono i campionamenti e l’uso dell’elettronica, come in Fra cento anni e Paura di niente. Come sei arrivato a questi suoni?
Uno dei cambiamenti che ho fatto è stato prima personale e poi estetico. Ho cambiato prima di tutto il mio approccio alla musica e i miei ascolti. Io sono sempre stato un amante del passato e un retromane incallito, pensavo che le cose come si facevano una volta erano meglio… e invece no, ho dovuto ricredermi. Ho prima di tutto iniziato ad ascoltare cose più contemporanee e ad apprezzarle. Cambiando il mio gusto è cambiato anche il mondo musicale attorno a me e ho maturato l’idea di fare un disco contemporaneo. Con Federico quindi ho imparato un nuovo modo di lavorare, diverso dal mio. Essendo io retromane, in passato avevo scritto molto in studio, provando pezzi con una band e poi arrangiando, lui invece ha un approccio molto più moderno: usa il computer, i loop, i campioni, scrive le batterie e le ritmiche a mano e riesce a fare in poco tempo cose in cui io ci metterei ore. Con questo approccio diverso è quindi nato il nuovo disco, ho trovato una persona disponibile a creare suoni insieme. Come dicevo è la prima volta che mi approccio al lavoro in questo modo, ho così imparato a lasciare molto spazio agli altri. In questo disco per esempio, non suono nessuno strumento, ho scelto di mettermi da parte e far in modo che che le varie personalità entrassero e si creasse un mix insieme. Quando ho fatto uscire il primo pezzo ero piuttosto ansioso… mi chiedevo cosa avrebbe detto la gente non sentendo più la chitarra ma suoni diversi e “alieni”, ma alla fine la risposta è stata “ma che bella la canzone!”
L’ago della bussola è l’unica canzone d’amore del disco: una scelta in controtendenza rispetto ai tuoi album precedenti. Come mai?
Perché non ne ho scritte… o meglio ne ho scritte meno. In passato ho sempre scritto di amore tragico, perché mi andavano male le cose, ma ultimamente non mi vanno così male quindi non scrivo di “bugie” tanto per scrivere di finte canzoni di amore triste. Ho voluto mantenere una certa sincerità, non mi andava di scrivere una canzone d’amore cinica e quindi ho scritto una sola bella canzone vera, dell’amore che vivo. In realtà nell’album ci sono anche altri argomenti, ho messo in musica altre tematiche: mi sembrava giusto fotografare questo momento della mia vita, perché credo che un disco sia come un grande album di scatti fotografici e questo per me è un album degli ultimi tre anni della mia vita. Tutte le canzoni a mio avviso sono fotografie perché esistono in quel momento: ad esempio una canzone è in un modo quando è registrata in studio, ma magari un anno dopo quella stessa canzone, suonata in altro contesto, con un altro strumento diventa diversa, e così via nel tempo cambierà ancora. Per me le canzoni sono come degli esseri viventi… mutevoli.
Uno dei pezzi che ho più apprezzato è Sarà la musica in cui dici “Sarà la musica a cambiare il mondo”. Vista la situazione che stiamo vivendo da più di un mese a questa parte, lo pensi davvero o ci vuole anche altro?
No, non penso che basterà la musica a cambiare il mondo… mi piacerebbe, ma è un sogno. Cambiare il mondo è molto difficile. Quando parlo di “mondo” in questa canzone parlo anche di vita, di esistenza, perché se non basta la musica a cambiarlo ci devi pensare tu, la canzone si presta a vari significati ed interpretazioni.
Avendo poca fiducia nell’umanità penso che per cambiare in meglio questo nostro mondo e questa nostra situazione ci vorrebbe molto impegno e riunirci in una coscienza collettiva. Potrebbe essere un’opportunità meravigliosa per capire quello che sta al di là di noi e del nostro piccolo. Per esempio, potremmo capire che in natura non esistono i confini. Questo virus si è propagato nel mondo senza passare dogane, controlli di stato in stato. I confini sono concetti che abbiamo inventato noi e crediamo che esistano, in questo momento questo concetto potrebbe essere capito da tutti ed entrare nella coscienza collettiva. Se anche capissimo che tutta la plastica usata in questi anni è una follia perché ha creato dei disastri, forse qualcosa nel mondo potrebbe cambiare. Ma i cambiamenti non si fanno da un giorno all’altro, ci si arriva con il tempo e con promotori di idee positive che smuovano le coscienze ed è una cosa molto difficile. Avendo poca fiducia nell’umanita, sono convinto che dopo tutto questo, la gente continuare a comportarsi come prima senza ricordarsi cosa è successo. A me piacerebbe che si cambiasse… ma temo sarà molto difficile.
Tra questo tuo album e il precedente c’è stato il connubio artistico con Guido Catalano e le sue poesie, insieme alla tua musica. Ci racconti di questa esperienza e se ci sarà un lato B di questo teatro-canzone?
L’esperienza è stata bellissima, è stata un’occasione di incontro con Guido che si è trasformata in una bella amicizia. Guido è una persona che ho sempre stimato artisticamente anche prima di conoscerlo. Quello che più mi ha lasciato a posteriori è stata una grande amicizia . lo spettacolo è stato divertentissimo, tutti e due ci siamo lasciati andare più del normale, non so se ci sarà un seguito… mi piacerebbe fare qualcosa con lui ancora, non so se un altro spettacolo oppure no, di certo quello che abbiamo fatto è andato molto bene ma non vorrei replicarlo con un “bis”, mi piacerebbe fare con lui qualcosa, ma di diverso.
Ho visto sui tuoi social il live di Inri, qualche video con le tue canzoni, ma se ci permetti una domanda più personale: come stai vivendo le tue giornate dell’#iorestoacasa?
Io non sto vivendo in modo molto diverso rispetto al solito, sono un essere molto casalingo e non mi pesa stare in casa. Mi pesa la situazione senza scadenza, perché come a tutti mi piace uscire, viaggiare e quindi per questo soffro. Il consiglio che vi dò è di ricordarsi sempre che oltre a poter essere intrattenuti con contenuti che qualcun altro crea per noi, si può anche noi stessi creare. In questi giorni c’è una corsa pazzesca all’intrattenimento, come se la gente abbia solo a disposizione uno schermo e davanti ad esso debba “passare il tempo”. Per chi aveva un’attività che ora non può più esercitare capisco una certa utilità a passare il tempo, ma non dimentichiamoci che anche noi possiamo fare le cose, non solo subirle… che sia scrivere, disegnare, costruire con il legno o cucire dei vestiti… l’importante è anche fare, perché ognuno di noi sicuramente ha un talento da qualche parte quindi non limitiamoci a subire ma anche a creare, senza per forza dover ostentare o pubblicare le nostre creazioni sui social per farle vedere agli altri. Delle volte non è necessario, basta solo creare, ed è già molto.
