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Interviste

A lezione di stile con Tananai: un debutto iconico al Circolo Magnolia

Il nome Tananai, forse, può suonare nuovo a qualcuno, ma in realtà non si tratta di uno sconosciuto: Alberto Cotta Ramusino, classe 1995, si era già fatto un nome come producer, con un progetto chiamato Not For Us. Ha recentemente deciso di dare una svolta alla sua carriera musicale e il nome che ha scelto per il suo futuro, Tananai, oltre ad essere un tenero ricordo del nonno che lo chiamava proprio così in maniera affettuosa, è anche, ci auguriamo, una speranza: abbiamo bisogno di nomi nuovi, di cose fresche, di qualcosa che davvero crei una gran confusione (è questo il significato dello pseudonimo di Alberto) nel panorama della musica italiana.

Insomma, è con queste belle parole che salgo in auto e mi dirigo verso il Circolo Magnolia, curiosa di sentire l’esordio live di Tananai in apertura a un big come Dutch Nazari, accompagnato per l’occasione da Frah Quintale e Willie Peyote.

Il circolo si riempie lentamente ma quando decido di spostarmi nella sala concerti per monitorare un po’ la situazione, noto che, per essere il primo concerto di un ragazzo poco conosciuto e con all’attivo solo due singoli, la gente non manca, anzi, riempie gran parte della sala e aspetta trepidante. Questa cosa mi lascia piacevolmente stupita e mentre mi perdo a riflettere su cosa possa significare, Tananai sale sul palco, accompagnato dalla sua band e da due coriste.

Il pubblico grida, esulta, ancora prima che Alberto inizi a cantare: è evidente che la mia curiosità verso il nuovo è condivisa anche dal resto del pubblico presente che, quando l’artista esordisce con un “è il mio primo live” tra un brano e l’altro, strabuzza gli occhi.

La caratteristica che più resta impressa di Tananai è la voce: calda, profonda, elegante, si accompagna benissimo con le sonorità orecchiabili sì, ed evidentemente curate – l’esperienza da producer, in questo caso, deve aver aiutato non poco.

Oltre ai singoli che già avevamo ascoltato sulle varie piattaforme, ovvero Volersi Male e Ichnusa, ci vengono presentate anche le altre canzoni che fanno parte del disco. Abbiamo Tananai, un pezzo chiaramente autobiografico con cui il cantautore si apre e ci svela teneri e amari ricordi d’infanzia, ma non manca anche un bel brano romanticone, Il Seno Sinistro, che ovviamente non avevo mai sentito prima della serata ma dopo due minuti mi sono ritrovata a cantare insieme al resto del pubblico. Potremmo considerare questo fatto la cartina tornasole di un pezzo ben riuscito.

Fra un brano e l’altro non noto imbarazzo in Alberto che sorride, è sarcastico, talvolta ammiccante. È incredibile quanto sia a suo agio sul palco: invita ad applaudire, ride, poi ringrazia sorpreso quando gli applausi arrivano più numerosi e convinti del previsto, dandoci prova che, di certo, non gli mancano carattere e personalità da sfoggiare sul palco, soprattutto se si considera che per lui si tratta del primissimo live.

Abbiamo fatto due chiacchiere post concerto, ecco cosa mi ha raccontato.

Com’è andato il tuo primo live? Dicci le tue sensazioni a caldo.
Ue, direi benissimo, sinceramente non mi aspettavo un responso così positivo, la cosa incredibile è che c’erano molte persone che cantavano insieme a me le due canzoni che ho già fatto uscire. E’ stato fantastico, non vedo l’ora di farne altri diecimila.

Ti conoscevo già come Not for Us: qual è per te la differenza tra i tuoi live con quel progetto e questo? Hai notato qualche cambiamento anche nella reazione del pubblico?
Beh sono due cose profondamente diverse, come Not For Us ho calcato diversi palchi importanti e avuto di fronte molte persone, ma mettere i dischi non è la stessa cosa che cantare i tuoi pezzi davanti ad un pubblico attento a ciò che dici. Da un punto di vista puramente performativo, per esempio, è molto più semplice steccare una nota, non riuscire a comunicare col pubblico piuttosto che avere a che fare con un problema tecnico che faccia sì che la musica si fermi durante un dj set.


Come mai la scelta di scrivere in italiano? Sono cambiate le tue influenze musicali oppure deriva da un’esigenza personale? Ora chi ascolta capisce immediatamente ciò che vuoi comunicare. Ti senti più esposto?
Ho scelto di scrivere in italiano semplicemente perché è la mia lingua, credo di esprimermi al mio meglio soltanto così. Certamente mi sento più esposto, ma credo sia uno stimolo che mi permette di potermi dedicarmi al 100% in quello che faccio, se l’esposizione fosse il mio territorio di comfort zone non credo che risulterebbe lo stesso.

Con il tuo precedente progetto da producer lavoravi con Universal; com’è ora lavorare in maniera indipendente?
Diverso, sicuramente. Ovviamente ci sono molti meno soldi e ti devi occupare personalmente di diverse cose che esulano dalla pura produzione artistica, quindi è sicuramente più faticoso e rischioso non avendo l’aiuto di un’intera discografica al tuo fianco, ma sicuramente la soddisfazione nel vedere le cose andare bene è di gran lunga maggiore e più appagante.

Se non avessi fatto il musicista, quale sarebbe stato il tuo piano B? Avevi altri sogni nel cassetto?
Beh, ho studiato Architettura al Politecnico di Milano per oltre due anni, per poi capire che non era un contesto in cui mi sentivo adeguato né stimolato, quindi ho deciso di abbandonare gli studi e dedicarmi esclusivamente a ciò che mi rendeva felice, completamente alla musica. Se dovessi però scegliere un altro mestiere, direi assolutamente il critico gastronomico.

Ultima domanda, che ti faccio visto che nel tuo percorso da artista hai sperimentato diversi generi e mood, quindi sicuramente avrai una conoscenza estesa del panorama musicale: consigliaci due dischi imprescindibili, che non possiamo proprio perderci e che magari ti hanno anche influenzato mentre scrivevi e componevi!
Difficile citarne solo due, però che i dischi che hanno segnato di più il mio gusto sono The Life Of Pablo di Kanye West e Minutes To Midnight dei Linkin Park.

Articolo di Anna Signorelli | Foto di Gregorio Broggi

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