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Reportage Live

THE DARKNESS: vent’anni di Permission To Land

All’Alcatraz Justin Hawkins guida la sua band attraverso un revival completo del primo album: uno show nostalgico da cantare a squarciagola.

Articolo di Alessandro Cebrian Cobos (Milano) | Foto di Tommaso Notarangelo (Roma)

Io mi ricordo il divano blu su cui ero seduto, vent’anni fa, e la televisione accesa su MTV, e mi ricordo il video di I Believe In A Thing Called Love: un’ assurda space opera nella quale mostri cosmici giganti venivano sconfitti con il potere di un assolo di chitarra. Avevo dieci anni, ma non mi sfuggiva quanto fosse fuori luogo in quel contesto questa band inglese, i loro riff revivalisti, la loro estetica camp; ed era anche chiaro che proprio per questa loro ironia erano i più sinceri, i più divertenti e divertiti, i più seriamente rock and roll che avrei mai visto sul canale.

Nel tour dell’anniversario del primo album Permission To Land passano dall’Alcatraz di Milano per la seconda di tre date italiane, per suonare le 10 tracce dell’album originale con qualche extra. Sono passati vent’anni da quell’enorme e improbabile successo: i Darkness si sono sciolti, rimessi insieme, hanno cambiato formazione, ma quello che non è cambiato è la convinzione, l’energia con cui salgono sul palco.

Le plettrate che aprono il concerto sono quelle di Black Shuck: il riff tagliente ti sveglia, la batteria con un piccolo inganno batte il suo one dove non te lo aspetteresti; la voce non si risparmia, facendo subito parkour da un’ottava all’altra. Uno dei migliori pezzi d’apertura di un album hard ‘n heavy di sempre. 

La personalità di ogni membro della band si esprime con il loro outfit. Dietro la batteria Rufus Tiger Taylor (stesso cognome del batterista dei Queen: è il figlio) indossa un gilet nero e picchia sui rullanti in maniera frugale e precisa. Frankie Poullain al basso veste un completo viola e psichedelico, e passeggia per il palco con passi eleganti, sicuri. Il minore dei fratelli Hawkins, Dan, con la sua giacca di pelle nera sembra il più riservato: capelli lunghi, sguardo profondo, focus sulla sua chitarra, pochi fronzoli.

E poi ovviamente c’è Justin Hawkins, che porta con nonchalance una tutina bianca con un motivo a righe nero e una scollatura che gli arriva fin sotto all’ombelico, e salta e si muove come un felino mentre caccia i suoi acuti. Dopo il secondo ritornello di Get Your Hands Off Of My Woman fa una verticale sulla pedana della batteria e inizia ad applaudire a tempo aprendo e chiudendo le gambe tese: ma del resto la rockstar non la può fare chiunque, ci vuole il physique du rôle.

A quasi cinquant’anni Justin ha mantenuto sia quello che la sua voce, che poi è una delle caratteristiche principali del loro sound. Non ha mezzi termini, le tracce suonano esattamente come in studio, nessun compromesso melodico. Noi ci proviamo a stargli dietro in Growing On Me, facciamo quel che possiamo ed è sinceramente una goduria cercare di raggiungere le note del ritornello, cantando in falsetto. Quando mai ti ricapita di poter fare una cosa del genere, così liberamente?

Certo, come prevedibile per un tour così nostalgico, l’entusiasmo scema un po’ quando si esce dal seminato: ci sono tre o quattro b-side prese dai singoli di allora, che suonano un po’ come dei riempitivi tra una I Believe In A Thing Called Love da arena e un doppio assolo finale di Love Is Only A Feeling (a Justin si è incastrato il braccialetto nelle corde, quindi alla fine del pezzo propone di rifarlo). Una scelta coerente, ma che lascia fuori dalla setlist pezzi succosi come One Way Ticket.

Intendiamoci, non per questo la band si smentisce: per il bis tornano sul palco con indosso delle vestaglie e in mano un bicchiere di bourbon, e chiudono con il riff metallaro di Love On The Rocks With No Ice: Justin si fa caricare a spalle dal roadie e si spara un assolo lunghissimo mentre passa attraverso la folla entusiasta.

Insomma, in fin dei conti i Darkness mantengono ciò che promettono: un concerto come non se ne vedono tanti, con un’estetica glam e un sound intenso e accattivante. Un hard rock decisamente passato di moda che loro portano avanti impeccabilmente, senza fingere che non ci siano stati mille cambi nella scena musicale in vent’anni (date un ascolto a Justin Hawkins Rides Again su YouTube), ma restando fedeli a se stessi. Non è poco.

The DARKNESS – la scaletta del concerto di Milano

  • Black Shuck
  • Get Your Hands Off Of My Woman
  • Growing On Me
  • The Best of Me
  • Makin’ Out
  • Giving Up
  • Love Is Only A Feeling
  • Love Is Only A Feeling (solo reprise)
  • Curse of the Tollund Man
  • Stuck In A Rut
  • How Dare You Call This Love?
  • Street Spirit (Fade Out) (cover dei Radiohead)
  • Holding My Own
  • Friday Night
  • I Believe In A Thing Called Love

Encore:

  • I Love You 5 Times
  • Love On The Rocks With No Ice
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