Foto di Andrea Ripamonti | Articolo di Michela Ravasio
Quella del 22 Febbraio è stata una serata veramente calda e non sto parlando della temperatura esterna. Mi riferisco alla temperatura che c’è ai Magazzini Generali fin da prima dell’inizio del concerto. Un’orda di ragazzi dai capelli di colori variegati, con camicie con i volant o maglie a righe orizzontali è lì che spinge contro le transenne da metà pomeriggio, in attesa di potersi fiondare sotto il palco. Dall’interno del locale, si sente qualche urla di chi è riuscito ad accaparrarsi l’entrata vip e sta assistendo al soundcheck. Si capisce fin da subito che non appena tutti riusciranno a entrare, finiremo schiacciati come sardine e moriremo di caldo. Ma il pensiero di questo futuro non mi scoraggia, anzi.
Riesco ad arrivare a pochi metri dal palco e decido di appoggiarmi a una delle colonne del locale, solo dopo essermi procurata previdentemente due bottiglie d’acqua. I miei presentimenti si rivelano corretti nel momento in cui, già dalle prime note della prima spalla, tutti si schiacciano verso il palco e anche io mi ritrovo in mezzo, attenta a non inciampare nelle mie Demonia Creepers con zeppa di nove centimetri – sempre una pessima idea, ma questo genere di autolesionismo fa parte dell’esperienza -.
STARBENDERS
I primi a salire sul palco dei Magazzini, questa sera, sono gli americani Starbenders. Riconosciamo subito il chitarrista Kriss Tokaji e la batterista Emily Moon che ci sono passati più volte accanto in platea, entrambi a torso nudo, e già partono delle urla emozionate. Fa strano vedere sul palco un gruppo glam e sentire urlare i più giovani, ma devo dar credito alla cantante Kimi Shelter di avere un gran appeal e di essere in grado di far scaldare il pubblico – come se non fosse già abbastanza in fermento-.

Dal vivo le canzoni della band suonano completamente diverse da come sono in cuffia e anche se non è del tutto il mio genere, non posso non farmi trascinare anch’io da questo sound vagamente distorto e dalla voce graffiante della vocalist. Devo dire che con la presenza scenica di tutti i componenti e con il loro stile glam, la performance risulta davvero godibile.

YONAKA
Come seconda spalla, mentre le persone continuano ad accalcarsi sempre di più nel locale, arrivano sul palco gli Yonaka, un nome che probabilmente molti avranno già sentito prima. La voce della cantante Theresa Jarvis non vi dovrebbe essere nuova se avete presente la canzone “±ªþ³§” dei Bring Me The Horizon.
Fin dalle prime note si cambia del tutto genere rispetto a prima e dal glam passiamo a un alternative, con dei pezzi quasi rappati in cui la vocalist ci dimostra di avere un gran fiato, soprattutto in Greedy. Theresa dimostra di saperci fare con il pubblico e lo intrattiene fin da subito, mentre il chitarrista George Edwards e il bassista Alex Crosby si muovono al suo fianco, dando anche loro spettacolo. Delle band di questa serata non si può certo dire che non sappiano catturare lo sguardo dello spettatore.

Anche in questa serata, come a ogni concerto in cui vado ultimamente, assisto a quell’emo-moment in cui ci viene ricordato che non siamo soli e dobbiamo essere forti. Fortunatamente a questo giro Theresa sa dosare i tempi e le parole, attaccando quasi subito con Call me a Saint.
Devo dare atto alla cantante di essere stata molto interattiva con il pubblico, sia nel momento in cui ci ha fatto cantare “happy birthday” al chitarrista, sia quando ci ha insegnato le parole di Clique facendoci cantare “All I hear is blah, blah, blah” tutti insieme.

Se prima eravamo carichi, ora siamo accaldati e, soprattutto, assetati. Davvero una fortuna che la folla venga bombardata di bottigliette d’acqua prima che qualcuno abbia un mancamento. E dobbiamo ancora arrivare ai pezzi grossi…
PALAYE ROYALE
Non ci vuole molto per capire il motivo per cui queste persone siano qui stasera. Tra i più giovani che tra una lamentela perché l’indomani devono alzarsi per andare a scuola e hanno la verifica, c’è chi urla i nomi dei componenti della band. Ognuno ha il suo preferito, c’è qualche ragazzo che è così maniacale da fare praticamente cosplay – io mi conciavo come Gerard Way dei My Chemical Romance e quindi non ho il diritto di commentare -. L’attesa è così sfiancante che qualcuno inizia a gridare “fuori” quando la band sembra essersi dispersa nel backstage. Basta però l’intro per scaricare tutta la tensione in strilli e “vi amo”, ma soprattutto per far spostare tutta platea verso il palco come un banco di aringhe.

Quando Emerson Barrett saluta andando alla batteria e Sebastian Danzing arriva al suo microfono con la chitarra in mano già c’è casino, ma quando appare anche Remington Leith, ecco, da lì è puro delirio. Da Nightmare fino alla fine del concerto, non ci sarà mai un attimo di pace o di calo. Solo strilli, salti, cori e qualcuno che ha la voce rotta dall’eccitazione di poter vedere i propri idoli. Di idoli si parla perchè se c’è qualcosa che i tre fratelli provenienti da Las Vegas sono riusciti a fare, è stato creare una solidissima fan-base di adepti. Devo dirlo qui davanti a tutti…? Io adoro quando gli artisti danno vita a un fandom così. Certo, anche se a volte diventa tossico. Però, hey, far parte di un fandom quando sei così giovane è fantastico.

Torniamo comunque al concerto e al susseguirsi di successi che vengono proposti. Tra No Love in LA, Broken e Fucking With My Head non c’è un solo secondo in cui si possa star fermi. Io e la mia amica ci ritroviamo costrette a spostarci a lato per evitare di essere travolte dal piccolo wall of death e così non abbiamo il piacere di poter sostenere Remington quando – durante King of the Damned – fa crowdsurfing con un gommone gonfiabile e spara sulla folla con un fucile ad acqua per rinfrescarlo. Il tentativo di placare i bollori, però, è vano. Sembra che l’eccitazione dei presenti non faccia altro che aumentare.
Ci si calma solo durante Oblivion, dove una luce bianca illumina un Remington solitario che ci regala una performance eccezionale del singolo. Non ho idea di come possa cantare in quel modo anche dopo aver saltato come un ossesso per metà concerto. Devo dare atto che ha un talento immenso, non è solo un gran agitatore di folle. Mentre tutti cantiamo in coro il ritornello, a me vengono un po’ di brividi.

Il vocalist non è l’unico a gettarsi nel pubblico. Durante Mr. Doctor Man è il turno di Emerson. La folla si apre mentre lui ci passa in mezzo come un Mosè un po’ bohémien, con nonchalance, prima che venga completamente travolto da un’ondata. Il bello dei Palaye Royale è che per loro i fan fanno parte dell’esibizione, li rendono partecipi e loro si lanciano tra la gente senza paura.
A esser senza paura è soprattutto Remington, comunque, che mentre gli altri erano occupati as suonare Lonely è salito al piano superiore dei Magazzini e si è appeso alle impalcature dondolando un poco e mostrandoci i boxer neri che portava sotto al kilt. Insomma, anche un momento di gioia per i suoi fan…

Sotto una pioggia di coriandoli e con le scintille alle spalle della band, il concerto finisce con il singolo che da titolo all’ultimo album e al tour: Fever Dream. Ed è davvero come se un sogno stesse finendo mentre gli ultimi coriandoli cadono e la musica scema. I fan aspettano ancora e continuano a urlare perché sembrano non essere sazi. Perché, effettivamente, non è possibile che sia finito, con tutta l’adrenalina che ancora circola in corpo.

Non so veramente spiegare come sia possibile, ma c’era una carica emozionale altissima in questo concerto. Seriamente, i Palaye Royale sembrano essere nati per stare insieme su quel palco, come fratelli, come membri di una band. Una delle esibizioni migliori a cui abbia mai partecipato, sicuramente la più bollente degli ultimi mesi. Se siete delle persone freddolose, quindi, la prossima volta che vengono in Italia, andate a farvi un giro – se non è nuovamente sold-out – e vedrete che ne uscirete davvero infuocati.
Clicca qui per vedere le foto dei Palaye Royale in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).
La scaletta del concerto ai Magazzini Generali di Milano:
Yonaka
Ordinary
Greedy
Punch Bah
Call me a Saint
PANIC
Clique
I Want More
F.W.T.B.
Rockstar
Seize the Power
Palaye Royale
Nightmares
No Love in LA
You’ll be Fine
Broken
Fucking with my Head
King of the Damned
Paranoid
Oblivion
Lifeless Stars
Punching Bah
Mr. Doctor Man
Off with the Head
Encore:
Lonely
Fever Dream
