Articolo di Philip Grasselli | Foto di Andrea Ripamonti
Quello di Madison Beer al Fabrique di Milano è stato un vero e proprio tripudio della generazione zeta e alpha internazionale. Se già con VillaBanks il gap anagrafico era palese, in questo contesto si arriva al punto di sentir dire “mia sorella è del millenovecentonovantacinque”: quel “millenovecento” è tremendo come un cartone sui denti.
Scherzi a parte, è stato uno show completo, ricco di musica e con un ottimo roster di opening acts per i fan della cantante statunitense.
L’apertura porte è avvenuta più tardi del previsto, intorno alle 19:30, con la fatidica caccia al posto più vicino possibile al pit – una corsa all’ultimo sangue con “Chariots of Fire” di Vangelis in sottofondo – e con i continui ammonimenti della sicurezza sul non correre che mi ha ricordato un po’ scuole superiori.
Jillian Rossi come prima apertura
La prima a salire sul palco, alle 20:15, è Jillian Rossi, cantautrice del Long Island, con un album fresco di uscita, “Never Fully Loved”. Interessante è la coincidenza delle iniziali dell’album con la situationship personale: NFL, esattamente come la lega di football americano, come la relazione piuttosto negativa che ha avuto con un giocatore.
Imagine the things that I could forget
Like growing apart you were 40 yards away
I threw a Hail Mary, my last pass and play
We would fight on like an overtime game
Jillian Rossi – NFL
Infatti, il testo di “NFL”, la prima traccia del disco, è una metafora di una vera e propria partita di campionato, tra difese forti, attacchi disperati e Hail Mary tirati (definiti così perché sono quei lanci del quarterback, di decine di yard, all’ultimo secondo, per riuscire a pareggiare o ribaltare la partita tramite un touchdown).
Dal punto di vista più tecnico, l’assetto è molto semplice, con base, chitarra elettrica e la sua voce, che a tratti ricorda una versione ancora più pop di Olivia Rodrigo, tipo in “Give Me a Reason”, o anche Taylor Swift in “Hurt Again”.
Jann come secondo opening act
Welcome to the party, I know it’s kinda funny
That everyone is acting like they know you personally
Just play along, be nice and all
You won’t get far being on your own
Jann – Gladiator
Alle 20:50 circa è il turno del secondo concerto di apertura, ovvero del polacco Jann, da Lubiana, che porta tanto “Charisma” (il singolo del 7 dicembre scorso) e musiche che spaziano dal pop all’indie polacco e che regala vibes da Eurovision Song Contest. Per poco non è stato selezionato lo scorso anno per l’edizione ucraina a Liverpool con il brano “Gladiator”. Degna di nota la notevole presenza di pubblico polacco, che non ha mai smesso di cantare ogni singola parola delle sue canzoni.
Base, chitarra e batteria accompagnano, anche qui, la sua voce che a tratti mi ricorda ricordato Bronski Beat nell’album “The Age of Consent” del 1984. Limpida, imperiosa e carismatica per tutte le otto canzoni in scaletta. Lo vedremo sicuramente in giro per i festival estivi che oramai sono imminenti (anche considerata la temperatura che c’è a Milano in questi giorni…).
Madison Beer al Fabrique è il top
Finito il live di Jann, i tecnici di palco provvedono a “strappar via” l’enorme telo nero per rivelare il palco del Fabrique e, pertanto, la scenografia per il turno di Madison Beer.
L’assetto, di per sé, non è troppo complesso, con i due palchetti sopraelevati, a sinistra per il batterista Tyler Johnson, a destra per il chitarrista e tastierista Connor Sullivan, e con una larga scalinata che porta verso un ulteriore podio. Un imponente ledwall semicircolare va a completare la scenografia.
Si parte con “Home to Another One”, la decima traccia del suo ultimo album, “Silence Between Songs”, che parte con quest’arpa stile Florence + The Machine: l’ingresso di Madison Beer è accolto, naturalmente, da un’ovazione assordante; presenza scenica carismatica, spesso che indica le persone del pubblico e che legge i messaggi dei vari cartelloni, in perfetta simbiosi con i suoi fan.
Una grande interazione con il pubblico del Fabrique
Tra una canzone e un’altra ci ricorda del suo ritorno sullo stesso palco del Fabrique (l’ultima volta il 1° aprile 2022), ma stavolta con un’atmosfera molto più distesa e senza più strascichi della pandemia. Dalla platea parte un enorme coro, inaspettato per la cantautrice americana: “Sei bellissima”, intonata allo stesso modo dell’omonima canzone di Loredana Bertè del 1987. Ha dovuto istantaneamente glissare con delle classiche parole in italiano (“I don’t know what to say!”) perché probabilmente sarebbe stata “stroncata” dall’emozione del concerto.
You put the “over” in lover, put the “ex” in next
Ain’t no “I” in trouble, just the “U” since we met
‘Cause you’re toxic, boy
I ain’t even gotta try to find the
G-O-O-D in goodbye
Madison Beer – Good in Goodbye
I brani scorrono veloci, senza soluzione di continuità, da “Good in Goodbye” dall’album “Life in Support”, passando per l’unica traccia del suo primo disco (“As She Pleases”), “Tyler Durden”. La qualità canora è solida, le armonie non sono banali per il pop (l’esempio più chiaro è “Spinnin”), i ritmi sono sempre ben tenuti.
Nel frattempo, il mio metro quadro di spazio gradualmente si dimezza da quanto pubblico è in visibilio, il caldo sale e la sicurezza inizia a distribuire acqua al pubblico assetato e accaldato.
Le ballad e il fiume di lacrime
Dopo l’avvio molto ritmato, giunge il momento delle ballad, e si potrebbero riempire bottiglie di lacrime: “Envy the Leaves” ha quello stile molto “Getting Older” di Billie Eilish, con quel synth solenne all’inizio, che ci fa capire che stiamo entrando in un altro mood. Il culmine si palesa quando Madison Beer piange durante “Ryder”, la canzone dedicata a suo fratello: i passaggi armonici sono anche qui decisamente corrispondenti al messaggio d’amore incondizionato per Ryder Beer.
Just two kids caught in the crossfire
Close your eyes, I know you’re so tired
Just kids, you and I, I know it’s hard sometimes
But you’ll be alright, we’ll be alright
Madison Beer – Ryder
Nella terza e ultima parte, dopo il video con lei protagonista su un letto e la canzone “I Want a Little Sugar in My Bowl” di Nina Simone di sottofondo, si torna al mood allegro e festoso con l’esplosione dei coriandoli in “King of Everything” e il grande appagamento del pubblico.
Due sorelle, due generazioni
In uscita, riesco ad intercettare due sorelle, Ornella e Jessica, giunte ad hoc da Ancona, di due generazioni decisamente diverse e con la seconda con un mazzo di fiori in mano. Nasce spontaneamente una conversazione, obbligatoria anche per colmare un po’ questa sensazione di essere l’unico Millennial nei 300 metri quadri intorno a me.
Phil: Quali sono le vostre sensazioni alla fine di tutto questo live, che sicuramente saranno piuttosto diverse?
Ornella: Ho iniziato a nutrire una certa simpatia nei confronti della main artist, ovvero Madison Beer, dopo il suo singolo “Dear Society”, forse perché il brano mi ricorda un po’ “Hide and Seek” di Imogen Heap. Dal vivo l’ho trovata ugualmente molto piacevole, una bella voce angelica accompagnata da un’ottima presenza scenica, ma, soprattutto, mia sorella si è emozionata e divertita tantissimo. Posso dire, quindi, che è stato un successo!
Jessica: Ventitré canzoni che sono durate quanto un battito di ciglia: quanto è vero che i momenti in cui ti senti bene volano! Ho avuto un contrasto di emozioni davvero fortissimo, non mi sono mai ritrovata in una situazione simile. Per sedare questa infinità di emozioni provate senza un filo logico, mi sono messa ad urlare tutti i testi a squarciagola. Le avevo anche portato dei fiori, ma in quel momento non riuscivo a pensare, lo aspettavo da così tanto: appena mi ci sono ritrovata dentro sono finita in un calvario di emozioni. Quest’ultime si sono infuocate ad ogni suo sguardo nei miei confronti, perché per la prima volta potevo cantare insieme a lei.
Lo rifarei all’infinito. Devo ancora realizzare bene quello che ho provato, al momento so descrivere la situazione in linguaggio matematico: un’incognita.
Clicca qui per vedere le foto di Madison Beer, Jann e Jillian Rossi a Milano (o scorri la gallery qui sotto).
MADISON BEER – La scaletta del concerto al FABRIQUE di MILANO
Home to Another One
Good in Goodbye
Showed Me (How I Fell in Love with You)
17
Sweet Relief
I Wonder
Silence Between Songs
Dear Society
Nothing Matters but You
Envy the Leaves
Tyler Durden
Homesick
Selfish
At Your Worst
Ryder
Reckless
Make You Mine
BOYSHIT
Baby
Follow the White Rabbit
Spinnin
King of Everything