Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Ripamonti
Che Fatimah Nyeema Warner, in arte Noname, rapper su neo-jazz e poetessa secondo il nozionismo mainstream, la terza anima del super gruppo Ghetto Sage (insieme a Smino e Sage), sia un’artista complessa che vada ben oltre un’etichetta, è abbastanza chiaro. Del resto, sono complesse tutte le persone di talento e naturalmente, dai grandi ideali (o aspirazioni di tali), pertanto la sfida più grande degli stessi è sopravvivere ai propri ideali (a volte, anche fisicamente). Fatimah non fa eccezione alla regola. Come notava un recente (e molto ben scritto) articolo del New Yorker dell’anno scorso che ne ha rappresentato il ritorno con il terzo album, l’esegetico Sundial, Noname è ambivalente e trionfale nel suo porsi nella scena, e non possiamo dargli torto.
Artista quasi per dono naturale, attivista per vocazione, ingaggiatrice di dissing su X (Twitter per chi non si è ancora arreso). Ha alternato la produzione di versi taglienti e dal sapore provocatorio di una pasionaria con un’estrema predisposizione alla prosa cantata a quella di una rivoluzione studiata, approfondita, iniziata con il blues a la libreria di sua madre a Chicago, l’Afrocentric Bookstore a Bronzeville, e poi portata avanti come sfida personale con il Noname Book Club. Allo stesso modo alterna una morale e finalità artistica ben precise, dedicate alla sua gente (progetta e realizza eventi gratuiti per la propria comunità) a grandi momenti di exploit in cui si concede il lusso di vedere “altra” gente, quella del Coachella o altri festival che la portano anche fuori dal ghetto americano (che poi gli americani sono tutti americano-centrici, di qualsiasi etnia essi siano).
Quindi quando ho saputo della sua esibizione al Magnolia del 31 gennaio come parte del suo tour promozionale di Sundial non ho esistato a portare proprio lì (e non dagli Slowdive) il mio grosso privilegio bianco per vederla. Attese ed aspettative – come da sopra – assolutamente non deluse.
Ci troviamo in quello che è il banco di nebbia dell’Idroscalo calato in una situazione quasi alla Twin Peaks, decisamente freddo. Lo pensano anche Lizzie Berchie e la sua socia sul palco che aprono il concerto, in una sala che sembra quasi vuota, anzi lo chiedono proprio se Milano è davvero così fredda a gennaio o dovevano venire qualche settimana dopo (spolier: loro sono in tenuta da Blue Note, senza il riscaldamento peró). Lizzie, lascia stare, credimi: il climate change non ci dà tregua, a giugno saresti stata mangiata viva dalle zanzare. Invece il mood si scalda, la Berchie mette su una serie di basi e ci incanta con l’r’n’b -soul che ci meritiamo per questo clima orribile, ci sciogliamo dentro perchè impossibilitati fuori, vuoi dal gelo, dallo smog o da una serie di convenzioni sociali che ci fanno venir voglia di andare a salutare il sole tutti i giorni a Bali. Lizzie è dolce, lei e la sua corista sono deliziose. La sala si riempie piano piano, la folla si compatta, era evidentemente nascosta nella nebbia, ancora un pó spaesata soprattutto da tutta questa dolcezza, considerando la botta di verità che stanno per prendersi con Noname.
Ed ecco che arriva sul palco lei, ed è subito acclamazione, quella che la segue dal 2016 con il primo lavoro, Telefone, e poi con Room 25. Fatimah sale insieme alla band (basso, batteria, tastiere), per cui chiede un grando applauso, ha un vestito nero leggero, una felpa altrettanto nera sopra (per scena? Sicuramente per il freddo), calzettoni di lana sopra le ginocchia nude e Nike ai piedi, è appena uscita da scuola insieme ai suoi incredibili capelli ricci. Alta e sottile, manda via i fotografi quasi subito che la imbarazzano, quasi fatichi a credere che si possa scagliare contro il pubblico facendolo impazzire. Perchè è andata così. Attacca subito con Self, mettendo le cose in chiaro su quello che puó o non puó fare una donna (Y’all really thought a bitch couldn’t rap huh?) o in generale una donna come lei (My pussy teaches ninth-grade English/My pussy wrote a thesis on colonialism). La fan base di Noname in Italia è solida: canta con lei, tanto che pure lei stessa sembra sorpresa, soprattutto quando chiederà luce per vedere chi c’è e insomma, si trova davanti il tipico campione demografico italiano. Capirei la sua delusione ma non sembra scoraggiarsi.
Fatimah è ipnotica, la verve a volte contraddittoria che sembra muovere se non motivare la sua arte è palpabile e concreta. Si muove sullo stage con un carisma che pochi, davvero pochi hanno. In Potential non le stacchi gli occhi di dosso. Passa da sorrisi larghi e compagnoni a pupille che sembrano tremare sotto la forza di alcuni versi che sono sentenze di morte. Si toglie le scarpe e prosegue per tutto il concerto cosi, camminando con i suoi calzettoni da un lato all’altro, testando il suo pubblico. Lo fa su namesake istruendo il pubblico sull’hook. Ci riprova su Song 32, sul suo yippie-yay-ke. Esatto, lo testa, controlla il livello di comprensione, e quello risponde come il primo della classe – sono sopresa anche io. Tanto che ‘fa rime’ con lei su Diddy Pop (senza la band, dato che è usa fermarla per andare in una sorta di poetry slang solo) e poi lo premia nell’encore permettendo una canzone su “special request”, ovviamente il pezzo che l’ha lanciata nello star-system del rap, Yesterday.
È davvero bello poter vedere un’artista come lei in Italia. Sarà anche senza nome, ma ha una risonanza importante quando si parla di un certo tipo di musica, rap si, ma davvero impegnata e certamente, di talento. Non vorrei cadere nel luogo comune che mi tenta da dietro l’angolo di dire: No Name ci porta un pó di Spike Lee vero nella città più capitalista d’Italia. Ma dopo questa abile e un pó banale preterizione, sono proprio per dire che in fondo, si, qualcosa di così autentico dal vivo difficilmente lo vedi. E probabilmente non sarà lo stesso se non calato li dove è nato, ovviamente. Ma Fatimah si presta bene a questo esperimento sociale, da brava studiosa o da poco-più-che-trentenne che cerca disperatamente di portare avanti un messaggio in un mondo in cui i soldi valgono ancora tanto. Speriamo di sentirla presto, di nuovo, in Italia.
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Lizzie Berchie – La scaletta del Concerto di Milano
Growth
Don’t Get Ahead Of Yourself
Where Did All My Friends Go
We Found Love
Flaws&All
Dhope
Pass Time
Noname – La scaletta del Concerto di MilanoSelf
Song 33
Rainforest
Afro-futurism
Toxic
Namesake
Oblivion
Boom-Boom
Bye Bye
Reality Check
Potential
Song 31
Song 32
Hold Me Down
(Yesterday)
Ballons
Beauty Supply