È un tranquillo mercoledì sera quello dell’Ohibò di Milano, pronto per accogliere How To Dress Well per la prima data milanese (il pubblico si ricorda di una precedente tappa programmata ma poi annullata) di sempre. Forse a causa della contemporanea esibizione dei Canova all’Alcatraz, forse perché l’ultimo The Anteroom lo ha portato in una situazione più concettuale e meno pop rispetto ai precedenti lavori, fattosta la situazione presente è ben diversa dalla folla gremita che abbiamo potuto osservare anni fa al Pitchfork Festival di Parigi nel 2014, nonostante l’orario di esibizione comunque anticipato rispetto agli headliner di giornata. Ne consegue che il tema della serata, oltre alla sua prova, consisterà anche nel vederlo calato in un ambiente decisamente diverso da quello che anni fa aveva raggiunto con i precedenti lavori.
Dopo avere perso Old Fashioned Lover Boy (ma che già avevamo ammirato in apertura di show di Wild Nothing, ne avevamo parlato qui) ed una breve attesa ecco uscire Tom Krell. Il palco è sobrio e spoglio, non c’è la band ad accompagnarlo: al suo fianco si notano solo un paio di campionatori, davanti a lui due microfoni per la voce pulita e per parte degli effetti, completati da un terzo attaccato direttamente a macchine per modularne l’uscita manualmente.
È nella prima parte, profondamente legata a The Anteroom, che vediamo la reale natura attuale di Krell: arrivato ben oltre le soglia dei 30 ed abbandonate le velleità artistiche che lo vedevano strizzare l’occhio verso suoni commerciali, ora il suo focus è sul lato narrativo-informativo; l’espressività facciale e il suo esibirsi con visual che lo sovrastano del tutto restituiscono il succo della sua indagine sociale degli ultimi due anni statunitensi.
I fan di vecchia data non rimangono comunque delusi nella seconda parte del set, meno ruvida della precedente, più permeata sul suo lato soul elettronico dei primi lavori. Se Face Again – seppur accennata e fusa con la recente Love Means Taking Action – è il buon viatico d’apertura di sezione, è l’intro di Repeat Pleasure a farci rizzare le antenne: l’esecuzione, senza cassa e solo sussurrata, prima ci smarrisce ma poi ci rapisce col suo carico emozionale.
Si giunge così a fine set senza sapere cosa aspettarci, avendo visto entrambi i lati del suo repertorio. La partenza con Nothing, che fa il verso alle produzioni degli Xiu Xiu che si esibiranno il giorno dopo nella stessa location, ci fa presagire un finale muscolare, ma di colpo il caos si fa quiete con la successione di Suicide Dream 1 cui fa seguito una Words I Don’t Remember da lacrimoni, a chiudere la trilogia di What Is This Heart? da cui è stata estratta una splendida serie di video a puntate. E saremmo felici anche solo per quelle tre, ma il finale con la cassa di Hunger è la parte dancey ciliegina della torta.
Ritornando al quesito dell’inizio e a come Krell abbia potuto vivere un’esibizione più intima rispetto al suo standard, la risposta è semplice: meglio della gran parte dei musicisti che avrebbero considerato la serata un flop. Si può tranquillamente affermare anzi che abbia volutamente cercato di “scremare” la propria fanbase cambiando suono e intenti di produzione artistica. Ritrovatosi davanti ad un pubblico rispettoso, ad ogni pausa si è soffermato per diversi minuti (anche troppi) discorrendo della sua vita, del suo viaggio verso Milano dove ha fatto conoscenza con un paio di furetti, del suo essere in tour tra soddisfazioni e ritmi frenetici, e della divertente telefonata di una parente che lo ha invitato ad esibirsi al matrimonio di suoi cugini, scendendo poi tra la gente a fine esibizione per fare due chiacchiere. Ad avercene di più, di artisti così.
HOW TO DRESS WELL: scaletta del concerto di Milano
Humans Disguised as Animals • Nonkilling 1
Body Fat
Lost Youth / Lost You
Nonkilling 3 • The Anteroom • False Skull 1
Vacant Boat
Nonkilling 13 • Ceiling for the Sky
Face Again
Love Means Taking Action
Repeat Pleasure
Nothing
Suicide Dream 1 (Orchestral Version)
Words I Don’t Remember
Nonkilling 6 • Hunger

