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Interviste

Intervista ai BENEFITS: “Lefty Woke Shite” 

Un commento ricevuto tempo fa su Twitter, traducibile con qualcosa del tipo “merda sinistroide”, campeggia fiero e sarcastico sulle nuove t-shirt dei Benefits.

Perché loro, se la ridono. Perché loro, vanno avanti a testa bassa (o alta, dipende da come la si voglia guardare). Perché loro, a lettere cubitali, citano testualmente sulla loro homepage: 

WE ARE BENEFITS, WE ARE A BAND, WE SHOUT.

Il quartetto proveniente dal Nord Inghilterra (precisamente dal Teesside, North Yorkshire) mischia, infatti, influenze post-punk con atmosfere elettroniche e soprattutto con frasi, talvolta parlate e talvolta urlate, cariche di rabbia e dolore, contro le ingiustizie della società e contro una dilagante cultura dell’odio.

Se potessimo descrivere il loro primo album, NAILS – pubblicato dalla mitica etichetta Invada Records, di proprietà di Geoff Barrow (mente e membro dei Portishead e dei BEAK>), non potremmo che fotografare un tornado che si abbatte su un Paese sonnolente, a risvegliare le coscienze sopite di cittadini omologati e svogliati, che nulla fanno per cambiare ciò che succede attorno alle loro vite.

Pezzi come “Warhorse”, “Flag” e “Shit Britain” sono già dei classici, con le loro chitarre distorte a creare un muro del suono al limite del noise puro.

Metal teeth” e “Traitors” fondono sapientemente noise ed elettronica. E il tutto è condito da messaggi chiari e diretti come dei proiettili dritti al cuore ed alle menti.

Leggete i loro testi, e capirete da dove vengono e soprattutto dove vogliono andare questi ragazzi. E proprio grazie alla loro rabbia – musicale e verbale – i Benefits, seppur relativamente giovani nell’ampio panorama della musica d’oltre Manica, sono già considerati una band da ascoltare e vedere assolutamente, pronta a sventrare orecchie, casse e locali dove si esibiscono.

Non per niente, Black Francis (Pixies), Steve Albini e Sleaford Mods li supportano pubblicamente; e, con un solo album all’attivo, sono già stati inviatati a suonare ad uno dei più importanti Festival al mondo – il Glastonbury Festival 2023.

Abbiamo avuto la fortuna di poter scambiare due chiacchiere con il frontman e cantante della band, Kingsley Hall, in attesa di un loro concerto nel nostro Paese, che siamo certi succederà presto.

Ciao Kingsley, grazie mille per il tempo che ci dedichi a quest’intervista.
Grazie mille a voi! Per noi è un onore!

Vorremmo iniziare innanzitutto a chiederti: chi sono i Benefits?
I Benefits sono la colonna sonora di un’età difficile. Non stiamo cercando di sottrarci a questo e nemmeno di essere “una distrazione”. La band è nata proprio come reazione alla situazione attuale. Cerchiamo di scrivere delle cose che ci riguardano ORA e per farlo dobbiamo lavorare velocemente. A questa età non c’è tempo per cazzeggiare.

Sono tempi difficili, non si può negarlo. Il nostro Paese (Regno Unito) sembra che stia sorridendo casualmente e in modo furbo al fascismo e per noi sarebbe assolutamente sbagliato ignorare o evitare questa situazione. Sarebbe disonesto non scriverne, in qualche modo. 

Il nostro nuovo e primo album, NAILS, è proprio il suono della frustrazione, della rabbia e dell’impotenza, ma forse anche di una piccola speranza. 

Ci sono infatti germogli di bellezza che emergono dalla merda o, come direbbe un vostro famoso cantautore e poeta, proprio dalla merda nascono i fiori. È corretto?

L’album ha lo scopo di ispirare chi ci ascolta, nel senso che possiamo davvero cambiare le cose se vogliamo e che possiamo davvero seguire i nostri sogni ( del tipo “guarda, se NOI possiamo farlo, se NOI possiamo creare questa cosa incredibile nelle nostre camere da letto senza dormire e senza soldi, allora puoi farlo anche TU se ci credi davvero ..”

L’album, come la nostra band, sono proprio una reazione contro l’ignoranza che sta dilagando.

Come vi giudicate, come band?
Questa è una domanda che ci poniamo spesso.

Siamo una protesta? Una grande dichiarazione politica? Si tratta di esporre le nostre vulnerabilità? Riguarda il potere del collettivo? Siamo anche una band in senso convenzionale? Siamo ambiziosi o semplicemente siamo destinati solo a “sconvolgere”? 

Probabilmente è più facile dirti cosa NON siamo. I vantaggi non riguardano l’ego da rockstar. Cerchiamo di abbattere alcuni dei vecchi cliché ormai sorpassati. C’è stato un tempo e un luogo per le rock star egocentriche, ma quel momento non c’è adesso. 

I Benefits non riguardano la postura, la spavalderia o il mettere le persone su piedistalli. Si tratta di cercare di convincere le persone a credere in sé stesse. 

Parlare tra di voi delle vostre paure e ansie. Si tratta di forza. Di apertura. Si tratta di sollevare le persone dalla merda. Riguarda il potere del collettivo.

Prima hai accennato ad una cultura dell’odio che sta avanzando nel tuo Paese. Pensi che questa situazione vada oltre ai confini del Regno Unito? 
Sappiamo che il nostro Paese è in un completo disordine. Tutto il Regno Unito lo sa. 

Nessuna quantità di “Giubilei” o “Incoronazioni” o “Eurovision Song Contest” possono mascherarlo e nemmeno distrarci da ciò che vediamo tutti i giorni. 

Siamo governati dall’atteggiamento di idioti gonfi ed egoisti.  Ma non siamo i soli a sentirci così, ci sentiamo parte di un grido di battaglia universale contro l’incompetenza, la corruzione e la crudeltà. Sentiamo di far parte di un movimento che vuole ispirare le persone a organizzarsi. 

Il nostro punto di vista e i contenuti non sono di certo una novità: la protesta fa parte della musica popolare sin da quando è stato strimpellato il primo accordo, ma il nostro approccio potrebbe farci risaltare.

In che senso?
Non siamo una band certamente “da party”, ma non credo nemmeno che siamo così cupi o oscuri come alle volte veniamo percepiti. 

Abbiamo una reputazione, che forse abbiamo sfruttato per attirare l’attenzione su di noi, data dal fatto che siamo una band che dal vivo fa un gran “casino”, rumoroso ed assordante.

Ma non è vero. O per lo meno non è solo quello. Lo spettacolo dal vivo, come l’album, è un po’ un mixtape – salta tra generi e stili – anche se il nostro nucleo rimane: la rabbia, il fuoco, l’intensità. 

Siamo astratti, nel nostro realismo. Le canzoni sono state messe insieme quasi come fosse un collage, non sono pensate per essere comode da ascoltare e nemmeno hanno un “fil rouge” che le accomuna. 

Ma per noi sono un bene l’evoluzione e l’imprevedibilità: è bello essere considerati una band non facilmente identificabile o catalogabile.

Parliamo un po’ della band e delle vostre influenze: ne avete? Da cosa partite quando scrivete? 
Personalmente, non sono un famelico consumatore di musica, non voglio essere (o pretendere di essere) un esperto di nessun genere o artista. Trovo le persone che sanno tutte quelle cose “opprimenti”, senza offesa naturalmente.

Semplicemente mi piace quello che mi piace. Quando le persone menzionano certe “influenze” che potremmo avere, di solito annuisco e sono d’accordo nonostante non sappia di chi o cosa stiano parlando. Niente di ciò che facciamo è un omaggio o un tributo. È semplicemente puro. C’è innocenza, impavidità ed un accenno di caos. Senza i quali, non ci sarebbero i Benefits probabilmente.

Amo la musica ma non la studio. Mi appassiona, senza musica io non sono niente, ma non ho mai avuto la concentrazione per poter imparare a suonare correttamente uno strumento. 

Ho idee su come dovrebbero suonare le cose, ma non ho l’esperienza per crearle. 

Robbie Mayor (synth), suo fratello Hugh Mayor (basso) e Cat Myers (batteria) sono tutti dei geni per me. Hanno il potere di creare immagini straordinarie solo con il suono.  Io se volessi potrei anche imbrogliare, usando solo le parole, per spiegarmi ma loro non possono farlo. 

Sono in soggezione verso la musica che creano. E la rispettano senza limiti. Quando realizzavo l’album, scrivevo a Robbie nel cuore della notte per chiedergli di creare un drone o un ritmo con un’istruzione del tipo “deve suonare come un esercito invasore che colpisce la riva di un mare incantato ricoperto da un cielo grondante sangue” e nel giro di un’ora ricevevo un file musicale che suonava ESATTAMENTE come le immagini che stavo evocando nella mia testa. 

È lo stesso con i beats. Non so assolutamente NULLA di batteria ma la trovo sempre affascinante. 

Se chiedo a Cat di suonare qualcosa come “John Bonham, cresciuto con i Sex Pistols e finito a suonare nei Nine Inch Nails invece che nei Led Zeppelin“, beh lei in pochi secondi ha sviluppato qualcosa di MAESTOSO!

Ecco, parliamo di Cat Myers ( Mogwai, Texas, KT Tunstall, Honeyblood ) che è entrata subito dopo la conclusione del vostro primo album. Cosa ci puoi dire sul suo coinvolgimento nella band?

Cat ha galvanizzato la band più di quanto lei possa pensare.  La fiducia che ci ha dato suonando al suo fianco è fenomenale. Onestamente non credo che molte persone ci avrebbero dato “una seconda occhiata” se lei non fosse stata lì. 

Si è unita in un momento strano. Il nostro vecchio batterista se n’era andato, l’album era finito, avevamo prenotato dei concerti, mio padre era purtroppo morto inaspettatamente e non credo che avessimo molto morale. Eravamo davvero in un momento molto basso. 

Nonostante le cose entusiasmanti che stavamo facendo con Invada Records, per organizzare l’uscita del disco, sentivamo ancora che non eravamo all’altezza della situazione.

Cat ci ha trasformati fin dai primi beat che le abbiamo sentito suonare a Glasgow. Capisce perfettamente cosa stiamo cercando di creare e ha reso tutto di nuovo eccitante.

Per concludere, parlaci un po’ dei vostri live e tour. Cosa ci possiamo aspettare da un concerto dei Benefits?
In termini di arte scenica, impariamo continuamente. Non credo che smetteremo mai di imparare queste cose. Sono stato a così tanti concerti in passato che hanno capovolto ciò che pensavo fosse possibile nella performance. 

Quando ho visto gli Sleaford Mods nella mia città natale nel 2015, la mia testa è quasi esplosa. Era la cosa più punk rock che avessi mai visto in vita mia e trasformò completamente la mia idea di cosa potesse essere una band. 

Più recentemente ho visto bands come Enola Gay e Deadletter ad Amsterdam (quando abbiamo suonato a un festival al Paradiso) e mi hanno lasciato senza fiato per diversi motivi. 

Gli Enola Gay erano di un potere brutale, fenomenale ed assoluto. Sembrava che il pavimento stesse per crollare, è stato fantastico. 

I Deadletter avevano un controllo straordinario del loro spettacolo, è stato davvero fantastico da vedere, ed ero super invidioso! 

A causa dei miei nervi e dell’ansia, infatti, tendo a perdere quel controllo. Se le cose iniziano ad andare male, esagero. Se le cose iniziano ad andare alla grande, esagero. Non c’è via di mezzo. 

Lascio degli appunti per me stesso sul palco dicendomi di calmarmi, rilassarmi e respirare. Voglio assorbire tutto, mettere in pausa il tempo e godermelo, ma è un tale vortice. Prima che tu te ne accorga, è finita. 

La nostra performance porta tutto al limite. Deve avere il potenziale per crollare in qualsiasi momento per funzionare. Siamo amanti dell’improvvisazione, del caos e dell’astrazione. 

Non vogliamo che i nostri spettacoli siano identici tra loro. Penso che ci sia bellezza e purezza in tutto questo.  Non c’è niente di più banale di un’esibizione in facsimile, quindi proviamo sempre a caricarci vicenda, per spingerci oltre il limete e renderlo elettrizzante. 

Di recente ho letto una recensione sul nostro primo concerto francese in assoluto, che diceva:”se l’intensità del loro album pensi sia un po’ troppo per te, allora forse non sei pronto per un loro spettacolo dal vivo”.

 Non sono ancora sicuro se fosse inteso come un complimento o meno!

Comunque, c’era una splendida recensione del nostro album sul quotidiano francese “Liberation” che diceva che sembravamo intrappolati in una betoniera con un magazziniere inglese arrabbiato, che la betoniera era in fiamme e che cadeva da 75 rampe di scale. È stata una recensione così brillante. Perfetta!!

Possiamo creare una pentola a pressione di forte intensità quando suoniamo. È qualcosa che non puoi ottenere da un vinile, da un download o da un tweet. È magico.

Poi però, come tutte le cose stupende, c’è una fine. E in questo caso è la fine del concerto. L’esperienza rimane confinata in un ricordo. 

Non mi piace niente dopo uno spettacolo. E’ come se tutto crollasse.  Non bevo e non faccio feste, non sono un ragazzo particolarmente divertente o spiritoso, non conosco nessuna buona barzelletta e non so ballare. Sono nervoso in grandi folle e preferirei davvero sedermi con una fetta di pizza e passare il tempo a fare videocall con la compagna e la mia bambina. 

I miei “party days” sono finiti!

Grazie mille Kingsley, ti aspettiamo presto in Italia!

Speriamo di venirci presto!!! Amiamo davvero il vostro Paese e infatti -personalmente- ho una sconfinata collezione di maglie da calcio italiane anni 90!!! VIVA L’ITALIA!

Un ringraziamento speciale a Enzo Lorenzi

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