LE NOZZE CHIMICHE è il nuovo progetto musicale di Giuseppe Chimenti, realizzato con la collaborazione di Fabrizio Massara, ex tastierista e arrangiatore dei Baustelle, nel ruolo di produttore artistico.
Giuseppe Chimenti, cantautore calabrese di adozione romana, intraprende una nuova avventura artistica, che segue la sua lunga esperienza discografica sotto il nome di Modì. Un progetto che fonde e riassembla la canzone d’autore con sonorità elettroniche, attraversando territori sonori che spaziano dall’elettropop alle pedalate kraut, dai respiri di aria cosmica alle malinconie twang.
Il disco d’esordio, intitolato “5”, narra in chiave introspettiva il viaggio dell’autore, sia fisico che metaforico. “5” rappresenta simbolicamente il movimento, il divenire e la trasformazione, qualcosa che si svolge sia all’esterno che all’interno di noi stessi.
“Le Nozze Chimiche” è un nuovo inizio dopo anni di carriera musicale. Cosa ti ha portato a fare questa scelta?
Era arrivato il momento di trovare nuovi stimoli, di cambiare percorso artistico ma soprattutto fare qualcosa che non mi racchiudesse in degli schemi, come invece avviene nella forma canzone. Volevo incominciare a sperimentare un nuovo linguaggio (cosa che ho sempre desiderato fare).
Rispetto alla tua esperienza precedente con Modì, come si è evoluta la tua musica in questo nuovo progetto? In che modo la collaborazione con Fabrizio Massara, con cui hai già lavorato, ha influenzato questa trasformazione?
Mettiamola così: con l’uscita di “Tsunami”, il mio percorso artistico ha preso una direzione che mi affascina molto, nel lavoro con i sintetizzatori. L’incontro con questo tipo di strumenti mi ha dato un nuovo entusiasmo, come potrebbe essere quello di un bambino con un gioco mai visto. Dalla collaborazione con Fabrizio ho imparato nuovi modi di pensare e di approcciarmi alla canzone e al lavoro creativo. Come sempre, l’incrocio con un pensiero musicale divergente, come nella collaborazione con Massara, ha influenzato la concezione di strutture e arrangiamenti.
Com’è stata questa volta la collaborazione con Fabrizio Massara come produttore artistico, rispetto alle vostre precedenti esperienze insieme?
Lavorare con Fabrizio è sempre stimolante, ogni volta imparo qualcosa di nuovo. Per ciò che concerne la produzione di “5”, il lavoro è stato più lungo e complesso, dovevamo coprire più spazi dedicati alla musica: la parte vocale, sebbene di fondamentale importanza, veniva in secondo piano. Gli equilibri sono stati molto delicati. Nel mio precedente lavoro, “Tsunami”, l’idea era di riproporre sonorità 80’ rivisitate in chiave odierna. Questo nuovo percorso, invece, presentava idee e soluzioni differenti. Fabrizio è riuscito a tirare fuori il coniglio dal cilindro rifacendosi a sonorità più internazionali.
Il numero “5” è legato a concetti come velocità, viaggio, denaro, comunicazione, inganno e astuzia. Come si riflettono “inganno” e “astuzia” nelle tematiche dell’album?
L’inganno è la vita stessa nella sua intrinseca contraddittorietà. La vita si contraddice andando incontro alla morte, ma è nel contrasto degli elementi che noi esistiamo, e l’una non esisterebbe senza l’altra. Il disco promuove una possibile sintesi fra le tante visioni: non fa che citare le tematiche di morte e vita. L’astuzia o la Metis, così la chiamavano i greci, è quella capacità di sfuggire ai pericoli, è l’esaltazione massima della sopravvivenza che riscontriamo nel mito di Odisseo.
In che modo questo numero si connette con il sound dell’album, caratterizzato da elementi elettropop, krautrock e malinconie twang?
Fondamentalmente in nessun modo. Il “5” è una frequenza numerica che ha delle valenze simboliche ed esoteriche ben delineate. Quello che il numero rappresenta è un concetto che pervade l’intero album. Le sonorità hanno creato l’atmosfera giusta per accogliere i testi e le tematiche.
Sia la traccia “Viaggio di non ritorno” che “Di venerdì tutto succede ancora” affrontano il tema del confronto con la morte. Perché hai scelto di collocarle a metà e alla fine del disco e non all’inizio, dato che l’album rappresenta una sorta di rinascita artistica?
La morte non è altro che una rinascita, in numerologia un numero funesto è l’8, che vuol dire “rinascere più forte dai propri fallimenti”, l’“8” rappresenta anche l’eternità.
Parlo della morte perché fondamentalmente parlo di una nuova vita, del viaggio come esperienza di cambiamento emotivo. Il disco dall’inizio alla fine tocca queste tematiche. Quindi, cambiando l’ordine degli addenti il risultato non cambia…per rimanere in linea con la matematica.
In “Il canto delle cicale”, esplori la natura effimera del tempo. Come ti relazioni personalmente a questo concetto?
Lo vivo, lo studio nei minimi dettagli per poi abbatterlo definitivamente. I surrealisti teorizzavano l’abbattimento del tempo e dello spazio, io sono un seguace, un integralista surrealista.
Bisognerebbe conoscere la differenza tra Kronos e Kairos, ma ve lo racconterò meglio nel prossimo disco.
La numerologia ha un ruolo centrale in questo progetto. Quanto è importante per te e come ha influenzato la creazione dell’album?
Partiamo da un fattore fondamentale: a me piace giocare e in questo caso l’ho fatto con la numerologia, che apparentemente sembra avere un ruolo centrale: ho portato l’attenzione sui numeri, ma il messaggio è nascosto, va reinterpretato: il numero possiede un codice, un significato che ci da la possibilità di cogliere nel segno. Il numero 5 rappresenta Caronte, ma non si poteva chiamare un disco “traghettatore di anime”. Caronte come titolo avrebbe suscitato per ovvi motivi meno curiosità o fascino. La numerologia nella mia vita è una porzione, è uno di quegli argomenti che osservo da studioso, ma non è l’unica cosa a cui mi appassiono. Forse alla fine la scrittura e la creazione di questo disco è stata influenzata più banalmente da fatti di vita vissuta.
Hai scelto di definirlo un album e non un EP. Cosa ti ha portato a fare questa distinzione nonostante abbia “solo” 5 tracce?
Il disco inizialmente aveva otto tracce. Con la NOS Records si è deciso di pubblicarne solo 5: a quel punto, per me era un disco a tutti gli effetti. Il concetto dell’album si è concluso, non avrà più nessuna continuazione: sono cinque canzoni, ma durano come un album.
Cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver ascoltato questo lavoro?
Più che sperare mi auguro un po’ di umanità.