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Interviste

DOG BYRON: “Non avere un sound catalogabile è un grande complimento”

Open” è il titolo del nuovo album del progetto Dog Byron, band del musicista romano Max Trani, pubblicato a inizio aprile per Tiny House Records. “Open” è una raccolta di canzoni scritte e registrate tra agosto 2019 e ottobre 2021 a Roma, Berlino e Amburgo. Frutto di esperienze, incontri e collaborazioni internazionali maturate nel corso degli anni di tour in Europa. Questo nuovo lavoro mostra una naturale evoluzione dalle sonorità grunge rock più aggressive verso atmosfere più riflessive fatte di chitarre folk, ritmiche profonde e qualche insert elettronico.

Che rapporto c’è tra Dog Byron e Max Trani?

Dog Byron nasce come una band nella quale ho cantato, scritto e spesso prodotto canzoni. Nel tempo si è poi evoluto come un mio progetto solista, nel quale però musicisti straordinari danno e hanno dato il loro contributo fondamentale al sound (come ad esempio Marco De Ritis cofondatore presente dagli esordi) radicando in questo modo la loro appartenenza alla band.

Da cosa deriva questo moniker?

Nulla a che vedere con l’amatissimo poeta, si tratta invece di una bizzarra idea nata a San Pietroburgo. Eravamo in viaggio in Russia con Marco, e una notte ci ritrovammo ad una festa. Sotto la spinta del padrone di casa, il siberiano Andrey, cominciammo a suonare qualcuno dei brani di questo nascente progetto ancora senza nome, il pubblico era entusiasta, felice. Ad un tratto un piccolo inglese timido si avvicina a noi e si presenta e ci chiede di potersi unire e noi lo accogliamo con piacere. Ma il giovane è stonato, così stonato che raggela la festa lasciando tutti in silenzio. Il giorno dopo a passeggio sulla Prospettiva Nevskij decidiamo di dedicare il nome della nostra band all’incontro con questo giovane chiamato Byron.

Partendo dal singolo “Around”, raccontaci com’è nata la collaborazione con i Turin Brakes?

L’incontro con i Turin Brakes è avvenuto nel 2016 quando abbiamo cominciato ad aprire concerti per loro in Europa. È stato un passo importante per Dog Byron, perché questo ci ha permesso di confrontarci con un pubblico molto ampio e apparentemente diverso dal nostro. Loro hanno una carriera enorme alle spalle e sul piano compositivo sono dei giganti: abbiamo imparato molto sul piano artistico. L’anno scorso stavamo lavorando al brano “Around” e improvvisamente ci è parso potesse essere adatto al loro sound, e così abbiamo proposto loro una collaborazione da cui poi è uscito in modo molto spontaneo questo singolo di cui siamo inevitabilmente fieri.

Tralasciano l’estero dove il tuo genere sicuramente ha vita più facile, ci sono dei colleghi italiani accostabili alla tua proposta artistica?

Onestamente non saprei fare degli esempi, oltretutto non siamo mai stati identificabili in una specifica scena: ciò da una parte ci ha penalizzato, perché l’appartenenza ad una scena è un motore di immediata riconoscibilità; d’altra parte però questo ci dice che abbiamo un sound non facilmente catalogabile e pertanto molto personale e trovo che sia un grande complimento.

Nei testi parli più delle tue esperienze personali o ti riferisci a concetti universali?

Parto da un elemento spesso concreto e formulo poi una narrazione, a volte in una chiave onirica e immaginaria; certamente ciò che scrivo mi riguarda ma non necessariamente si tratta di qualcosa di personale nel senso di “veramente vissuto passo passo”, anzi tutt’altro. Per quanto riguarda il nuovo disco “Open” ad esempio, in generale, i testi evocano naturalmente l’esperienza dell’esposizione al sentire tutte le cose che ci circondano e del respiro come elemento di congiunzione immediata tra le emozioni più profonde e il corpo. “Rock ‘n’ Roll show” racconta l’immagine del giorno in cui nasce una figlia; “Again” l’amore incondizionato che un genitore prova al di là del tempo; In “Around” Il testo racconta i momenti di solitudine dopo la fine di una relazione e la speranza di un nuovo inizio; “Breakfast at Sunrise (Hotel room)” è una preghiera in cui l’amore profondo si mostra come l’energia che ci permette di lasciar andare. “Berliner Traum” è il racconto di un sogno effettivamente fatto e poi rielaborato nella forma di una canzone. “The end claim” è l’ultima speranza di poter rimanere insieme. “Love from a Distance” racconta il sentirsi profondamente al di là della presenza, al di là del contatto; in “7 Stars” le costellazioni diventano un punto di riferimento che unisce da lontano.

Il sound del progetto è cambiato da un’atmosfera più rock grunge ad una più rock folk, come sei arrivato a questa situazione?

È stato un percorso naturale, siamo artisticamente liberi e pertanto liberi di sperimentare cose diverse nelle forme che vogliamo e questo è il risultato. Mi rendo conto che le cose del passato sono molto diverse dalle nuove produzioni, ma ritengo che questo possa essere un percorso artistico naturale per chi ha la possibilità e la voglia di sperimentare. Inoltre, scrivendo in libertà, sia stilistica che tempistica, siamo molto legati alle “cose della vita” che cambiano, si evolvono, e una scrittura sincera ne è lo specchio. Mettici anche che sentiamo “tanta musica” per usare un eufemismo e questo condiziona molto. Credo che questa evoluzione eterogenea sia un valore e che la cosa importante sia mantenere a nostro modo “personalità” e “sincerità”.

È stato difficile gestire la produzione del disco così dislocata in tutta Europa o alla fine è stato un valore aggiunto?

No, anche in questo caso è stato un processo naturale, frutto d’incontri, collaborazioni e la voglia di fare cose diverse. Il fatto che sia stato un processo lungo nel tempo mi piace perché ogni brano ha una sua storia sia compositiva che produttiva, ma anche una sua evoluzione ed è localizzato in uno specifico luogo geografico e spesso anche le fasi lo sono (la scrittura, la registrazione, il mix, il master, ecc.) e questo in qualche modo giustifica anche l’eterogeneità del sound del disco. È l’esatto opposto di entrare in uno studio 2/3 settimane e realizzare un intero album in un unico luogo con un metodo e una squadra.

Forse anche per questo che questo disco s’intitola “Open”?

Il titolo è dedicato ad una questione sentimentale, una predisposizione d’animo, aperti al sentire a sentire tutto ciò che ci circonda, restituire pertanto valore e vitalità alle cose, tutte, piccole o grandi che siano considerate.

L’artwork delle tue copertine ha qualcosa di spaziale, come sono nate?

Marco Puppini amico e artista visionario ha espresso liberamente il suo punto di vista sulla nostra musica e questo è ciò che ne è uscito. Inoltre l’aspetto “lunare” è sempre stata una caratteristica che a mio parere si addice al nostro sound, pertanto le sue proposte mi hanno subito colpito. Già aveva realizzato il nostro logo e il disco precedente rendendoci molto soddisfatti.

Hai in cantiere qualche videoclip?

Ad anticipare questo disco sono usciti, oltre al singolo Around, due videoclip molto diversi tra loro e che amo molto: il primo per “Breakfast at Sunrise (Hotel Room)” e l’altro per “The End Claim”. Per il prossimo futuro abbiamo in mente una sorpresa e siamo già a lavoro. 

Parlando di live, hai già qualche data di apertura per i Turin Brakes o altre tue date da headliner?

Siamo reduci da un bellissimo concerto a Romano che ci ha richiesto mesi di preparazione ed energie, a mio parere ben spese. Pur essendo molto soddisfatti e appagati è proprio in queste occasioni che la voglia di riprendere a girare come un tempo si fa sentire: abbiamo in progetto di esplorare il Portogallo, meta ancora mai raggiunta dai nostri tour e di riprendere il prima possibile in Germania, in entrambi i casi come Headliner.

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