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SOCIAL DISTORTION: il racconto e le foto del concerto al Carroponte di Milano

Foto di Matteo Scalet | Articolo di Costanza Garavelli

Il Carroponte di Sesto San Giovanni a Milano, ribolle nuovamente, a poco più di una settimana dal successo del Punk in Drublic, ospitando nel suo enorme stomaco di ferro, un altro importantissimo appuntamento punk-rock. Dopo sette anni di assenza, i Social Distortion tornano a calcare il palco nel Bel Paese, due anni dopo rispetto al previsto, come tutti purtroppo ormai sappiamo.

La serata comincia già alle 18.50 con il primo dei tre gruppi in apertura: i Viboras, unico gruppo nostrano della serata, formatosi a Milano nel 2003. Capitanato dalla voce femminile di Irene, conquistano il loro meritato spazio nella scena italiana e vengono ben accolti dalla prima fedelissima fetta di pubblico. In successione due band inglesi, prima i giovanissimi Lovebreakers, band che nasce a Birmigham nel 2017 e che già si vede aprire concerti ad artisti del calibro dei Social Distortion.

In ultimo i Grade 2, trio inglese formatosi nel 2013 che ad oggi vanta un contratto con la Hellcat Recordos di Tim Armstrong, frontman dei Rancid, dei quali si possono apprezzare le influenze. Due voci, ben distinte dal tiro più ruvido di Jacob Hull, anche bassista della band, che ha l’effetto di un taglio nel vetro e quello più melodico di Jack Chatfield, chitarrista. Con sullo sfondo un cielo non proprio terso, ma tinto di una suggestiva luce rosa, dedicano al pubblico un’ora scarsa di un punk-rock abbastanza spinto, con inflessioni hardcore ben assestate, che scalda gli animi degli appassionati i quali si lanciano in un pogo che, seppure di piccole dimensioni, sembra soddisfare la voglia di stare dentro la musica, viverla con il corpo, riducendo le distanze alle quali forse non ci eravamo mai abituati. Al termine dello show ci sono una quarantina di minuti per riprendersi e viversi lo spazio che il parco offre, in un’atmosfera che chiama a gran voce le serate estive spese dietro la musica, bevendo qualche birra nel prato e godendo dei giochi di luce sul palco che squarciano l’ormai brunito cielo sopra l’area concerti. 

Sono le 21.30 ed è il momento più atteso della serata, prendono la scena i Social Distortion, incitati a gran voce dal pubblico ormai acceso. Non si fa attendere Mike Ness, ora sessantenne, storico frontman della band, unico rimasto della line-up originale del ‘78, anno di esordio nell’epoca tumultuosa del fiorire del movimento punk. A dispetto della sua età e della vita segnata da una moltitudine di eventi controversi e drammatici, si presenta in scena con un’evidente voglia di esserci, su quel palco. Con in testa una coppola nera e con il volto coperto da una bandana dello stesso colore, apre il concerto senza perdere un attimo con “Road Zombie” traccia contenuta nell’ultimo album del 2011, accolto dal boato del pubblico. Spara i primi pezzi senza tregua, senza tradire alcun segno di cedimento nella voce e nel suono dopo oltre 40 anni di carriera, ripercorrendo la storia della sua musica con un flashback ai suoi successi degli anni ‘80/‘90 come “Bye Bye Baby” e “Bad luck”, partoriti negli anni inquieti dello sviluppo della scena alternativa americana, dove la necessità era quella di esprimere attraverso i testi e la musica atti di anticonformismo e ribellione. Dopo la prima accelerata rallenta e saluta i suoi fan, ringraziandoli di dargli l’occasione di essere qui ora, in un’altra fetta di mondo. Interagisce, scherza col pubblico, gran parte non più giovanissimo e con una buona quota di teste bianche, ma comunque caldo e ricettivo, che risponde a suon di cori e braccia tese, dimostrando che il valore sovversivo della musica alternativa non ha età. Le influenze del sound anni ‘70 dei suoi pezzi più caldi arrivano come una cura nei cuori sottostanti al palco, in suoni rotondi e puliti, mentre lui offre a tutti la sua interminabile relazione d’amore con la sua Gibson, lasciandosi andare a nostalgici assoli, che lo vedono coinvolto come se il mondo attorno d’improvviso sparisse.

Dietro le pelli dei Social dal 2010, David Hidalgo jr. non perde un colpo, macinando rullate profonde che fanno vibrare le viscere dell’intero parco che si stringe sulle note del singolo dell’ultimo album “Machine gun Blues” in una successione di cori e sguardi d’intesa. Proseguono proponendo qualche altro pezzo storico, virando poi sulla cover di Chris Isaak “Wicked Game”, grande classico della fine degli anni ‘80, in una rivisitazione più graffiata, ma mantenendo la morbidezza romantica del pezzo. I Social Distortion chiudono lo show con altri due grandi classici, “Story of my life”  e “Ring of Fire” uno dei brani portati al successo planetario negli anni ‘60 da Johnny Cash e scritto da sua moglie June Carter assieme a Merle Kilgore. Un’ora e mezzo abbondante di storia del punk melodico, che fornisce la sua personale interpretazione dell’epoca più calda dei movimenti alternativi, con un sound dalle contaminazioni blues e country dell’America rurale, ad ammorbidire quello che è il punk appuntito e tagliente dell’epoca, senza però perdere mai lo spirito rivoluzionario dei suoni e dei testi, che arrivano, sparati come una cannonata, ben saldi e consapevoli. 

Clicca qui per vedere le foto dei Social Distortion in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).

Social Distortion

SOCIAL DISTORTION – la scaletta del concerto di Milano

1 Road Zombie
2 So Far Away
3 Bye Bye Baby
4 I Wasn’t Born to Follow
5 Bad Luck
6 She’s a Knockout
7 The Way Things Were
8 Another State of Mind
9 Machine Gun Blues
10 Tonight
11 California (Hustle and Flow)
12 99 to Life
13 Don’t Drag Me Down
14 Born to Kill
15 Wicked Game (Chris Isaak cover)
16 Dear Lover
17 Story of My Life
18 Ring of Fire (Merle Kilgore cover)

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