Potrebbe essere un bruttissimo lunedì a casaccio tra quelli proposti dal calendario ma oggi, in realtà, c’è qualcosa di speciale nell’aria. Con un occhio mezzo chiuso (e l’altro pure), sono reduce dalla prima edizione italiana del WOMAD Roma.
Ho promesso a me stessa che dopo un weekend così avrei dovuto metter nero su bianco il prima possibile tutte le cose che sono successe. L’obiettivo è raccontare nel modo più fedele possibile quella che non è nient’altro che una storia davvero molto bella. Una storia fatta di emozioni, colori, suoni e tanto (infinito) calore. Quando si parla di World Music, qual è la prima cosa alla quale pensate? Non so voi ma a me vengono in mente i peruviani. Quando ero ragazzina e andavo al mercato con mamma, tra una bancarella di ortaggi ed una di pigiami, ai lati della strada spuntava sempre un gruppo di peruviani. Non importa se c’era la neve o se il sole spaccava le pietre, gli abiti erano sempre quelli: un poncho di lana sulle spalle ed un chullo in testa (tranquilli, ho dovuto cercare su Google il nome del loro cappello tipico). Da piccola ho ascoltato così tanta musica andina che se ad oggi sento un siku (il flauto di Pan) faccio la fine di Proust con le madeleine.
Ma arriviamo ai giorni nostri. Da un anno si vociferava che a Roma sarebbe arrivato il WOMAD, ovvero il festival internazionale dedicato all’arte ideato (niente popò di meno che) da Peter Gabriel. WOMAD nel mondo è un evento ormai rodato, una macchina che cammina da sola e attira migliaia di spettatori. Essendo un festival dedicato alle arti, non quindi focalizzato solo sulla musica, l’offerta a livello culturale è a 360° e la proposta musicale naturalmente variegata. Si tratta ovviamente di World Music, ovvero un incontro fra suoni tradizionali e contaminazioni, e a cosa ho pensato io? Che sicuramente sarebbe stata un’ottima occasione per andare alla scoperta di artisti che abitano dalla parte opposta del mondo. Ma, anche, che forse avrei incontrato qualche band peruviana. Ho sempre pensato alla World Music come ad un qualcosa che se chiudi gli occhi ti fa viaggiare in posti lontani. Ma se invece gli occhi li tieni aperti, ti riscopri ad esser parte di qualcosa di più grande e che riesce a smuovere la parte più ancestrale del nostro essere. Bene, a WOMAD Roma ne ho avuto la riprova. Per semplificare quello che altrimenti rischia di diventare un romanzo a puntate, il racconto del festival desidero dividerlo in giornate: siete pronti a stringere la mia mano e fare il giro del mondo con me? Cominciamo con la serata dell’8 giugno, definita a cartellone come un’anteprima del WOMAD Roma. Siamo nel luogo più istituzionale che ci sia, un luogo nel quale da un paio di anni è arrivato anche il rock ma che altrimenti, sino a poco tempo fa, era il tempio sacro della musica classica.
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Ebbene sì, siamo all’Auditorium Parco della Musica e la stella della serata è lei, Mariza. Nata in Mozambico, terra che porta nel cuore e che nominerà diverse volte durante la serata, Mariza è cresciuta a Mouraria, uno dei quartieri a Nord di Lisbona, confinante col più turistico Alfama. Da piccola si appassiona al canto ma prima di approdare al fado esplora generi quali il jazz, il soul ed il gospel. È solo un dettaglio, ma quando canta si percepisce perfettamente tutta l’ampiezza del suo spettro vocale e se ne intuiscono le inclinazioni. Al fado si avvicinerà in un secondo momento, diventandone in epoca moderna il nuovo volto raccogliendo il testimone della strepitosa Amália Rodrigues. Come molti generi legati alla musica popolare, anche il fado nasce in un contesto di povertà e malavita. È un incontro puro, spoglio e al contempo intenso tra due elementi in costante dialogo tra loro: la voce e la chitarra.
Usando un termine tecnico, Mariza è dunque una fadista che sul palco si fa accompagnare da due chitarristi, un baixo (basso portoghese), una batteria ed una fisarmonica. Sale sul palco della Cavea con un abito lungo a sirena che ne mette in risalto il corpo statuario e, voltandosi di spalle, è impossibile non notare la scollatura profonda che mette in risalto la schiena nuda. Per un attimo penso che no, non può essere, ma quando inizia a cantare arriva la conferma: non c’è dubbio, siamo davanti ad una Dea. Mariza appare timida, si muove in modo sinuoso avanti e indietro per poi fermarsi, di nuovo, al centro del palco. Un palco buio con un occhio di bue che la illumina dall’alto, interrotto ogni tanto da qualche accenno di luci blu e rosse. L’inizio della serata scorre piacevole con l’interpretazione di brani tratti dal suo repertorio ma ciò che tutti aspettano arriva, di fatto, dopo una mezz’ora abbondante. Il fado è dialogo, lo dicevamo prima, e i due interlocutori sono la fadista ed una guitarra portuguesa. Nel silenzio di una notte di prima estate ecco che si scatena la magia: di colpo sembra di essere in una tascas, a bere ginjinha e ascoltare il canto drammatico di un racconto di povertà ed immigrazione. Eccolo qua, il potere traslatorio della musica: siamo a Roma eppure tutto intorno a noi è prepotentemente Lisbona. Il primo viaggio in compagnia di WOMAD Roma lo abbiamo concluso, prendiamo il nostro passaporto immaginario e segnamo le prime due crocette: abbiamo visitato il Mozambico (in onore del paese natale di Mariza) ed il Portogallo. State pronti, questo nostro viaggio insieme è appena iniziato.

