Articolo di Marzia Picciano | Foto di Rossella Mele
A Milano è metà ottobre, è tornata la nebbia e io non ci vedo più chiaro. Ci si immerge in una osmotica bianca, concretamente impalpabile stasi, i miei capelli cominciano a invocare sommessamente pietà e la percezione inesorabilmente costante è quella di non essere mai completamente asciutti, ma sempre grevi, perennemente sul punto di sbroccare.
In questa cornice si inserisce Macy Gray, all’anagrafe Natalie Renee McIntyre, 55 anni, la voce neo soul per eccellenza arrivata lunedi 17 ottobre da Los Angeles all’Auditorium della Fondazione Cariplo di Milano, dice, per sentirci cantare, secondo me anche per scoprire un fenomeno che i tipi della sunny California neanche lontanamente immaginano, la nebbia spugnosa di smog, e io guardo i suoi capelli afro perfettamente scolpiti e mi chiedo se anche loro si sentono come una qualche specie esotica trapiantata in una landa dove a un certo punto dell’anno fa buio troppo presto. Si, il concerto di Macy Gray è stato un alternarsi di luminosa piatta nebbia e ruvidi sprazzi di lucidità, concreti quanto squarci di Fontana su tela, che mi ha lasciato in bocca un amaro da smog fastidioso da masticare sulla via del ritorno, in un lunedì sera in cui cercavo soul di scaldarmi.
Macy Gray sarà anche arrivata fisicamente dalla East Cost per presentarci il suo nuovo lavoro, The Reset, e i suoi nuovo compagni di viaggio, i talentuosi fricchettoni California Jet Club, per me è arrivata direttamente dalle 7:30 del mattino dei miei dodici – tredici anni, quando a Pescara facevo colazione tra il TG e la concessione di iniziare la giornata con una carrellata di video di MTV. Allora la Gray irrompeva con The Id, disco della ribalta, nell’imaginifico di quelli che erano gli albori dell’adolescenza, delle prime prese di coscienza della nostra dimensione sociale; inizi di giornata anche lì, nel centro Italia, blindati nella nebbia, e che Macy e la sua musica scombinavano con colori pastello e lilla, a dirmi che in fin dei conti andando avanti non sarebbe andata così peggio, e me lo diceva lei che da quella terra iconica e un po’ assurda dell’Ohio alla fine ha fatto del suo punto debole un cavallo di battaglia. Ieri Macy Gray ha fatto irruzione nei miei ricordi fisicamente, presentandosi sul palco nella concretezza reale della sua voce particolarissima e portandomi brutalmente alla realtà.
But Macy Gray, who are thou? Oltre a essere un mostro sacro della musica, s’intende. Alla prova del palco emerge l’artista, e bisogna essere anche fortunati, oltre che un po’ sfacciati (e per questo, su di lei non abbiamo dubbi). Certe manifestazioni della grazia divina prendono tempo, bisogna avere fede oltre che un po’, cercarle. In un concerto per intimi, nei suoi vestiti di scena, incluso il cambio tra il primo e il secondo tempo, abbiamo assistito a un’evoluzione. Siamo partiti da un’incerta, quasi, Macy, con l’intro di accoglimento I Am Glad You’re Here, forse un po’ a disagio in una sala di auditorium troppo tradizionale e strutturata per un’anima imprevedibile ed esondante come la sua: Caligula e la jazz-issima cover dei Metallica, Nothing Else Matters, arrivano un po’ sottotono, anche la sua voce sembra un po’ troppo delicata. Si muove irrequieta sul palco, a volte sembra stanca, cerca la band e duetta con il tastierista Billy Wes che scherza con il pubblico, si tira le pieghe dell’abito lungo a bolle arancioni e rossecalde, nasconde e arringa il pubblico, un avvocato provocatore protetta dal tulle arancione del colletto. Still è una nota più calda, non quanto la vorrei quando intona Sweet Baby, entrambe in una versione più reggae condita di organetti.
Cambio d’abito, per cui la gestione del pubblico ancora frastornato dal cambio stagione è stata affidata al batterista Tamir Barzilay e soci, con un intermezzo leggermente estraniante di grandi successi pop e una rivisitazione di We Are The Champions eseguita in assolo da Alex Kyhn, e finalmente torna Macy, più sicura e più scura, in abito nero, chiede al pubblico se si è scomodato di lunedi sera per stare seduto in poltrona (Macy, altra scoperta per te: a Nord i Milanesi, se ammazzano il sabato, di lunedi possono comodamente fare uno sterminio di massa da seduti), ci chiede di urlare perche non ci sente, finalmente con Relating To A Psycopath emerge lei. La sua voce torna a graffiare, scortica la patina di nebbia, e il pubblico finalmente si alza, io inclusa, anzi vado ad abbattere l’eterea quarta parete del presente, alzo la teca che protegge i miei ricordi come bambole di porcellana e in uno sforzo che è uno iato tra la mollezza a cui vorrei condannarmi di lunedi sera e il mio disperato bisogno di un rassicurante tepore asciutto raschio il fondo per riprendermi il sapore di una pubertà dedicata all’R&B e ai pantaloni a vita bassa.
Da Do Something, alla più recente e ballerina The Disco Song, passando per il medley che mette insieme anche Sexual Revolution fino ad arrivare al cantico dei cantici di I Try (anticipata da un’intro di colpi di bassi che ha richiamano l’attenzione sull’encore) si scatena la festa, e ora sono tutti in piedi, si dipanano i fumi dell’incertezza: siamo gli invitati dell’esclusivo party di Macy, abbiamo trovato la California tra i divanetti di un teatro tra i Navigli dei radical e l’establishment bocconiano. L’eclettica irriverente queen fa salire il pubblico sul palco, da Regina della corte si fa cantare il suo pezzo da Grammy seduta sul sofà di velluto aranciato, e poi si lancia in una sessione che non sembra finire più da First Time, Thinking of You, Mercy e White Man.
Saluta e lascia il pubblico, che ora la chiama a forza a tornare, ma Paganini non ripete e abbiamo la sensazione che nonostante siamo tutti smorzati da un inverno che incombe piatto e mortificante sulla pianura padana abbiamo preso una bella ditata della marmellata che preferiamo. Alla fine Macy, l’ho pensato mentre tornavo a casa a piedi per una via lunghissima sempre uguale a se stessa, per un attimo che è stato eterno come paradossali tartarughe in corsa nel mio cuore, mi hai scaldato, ma quanto tempo è passato al freddo e quanto ancora passerà, e io davvero non lo so come affronterò il prossimo lunedi di nebbia.
Clicca qui per vedere le foto di Macy Grey all’Auditorium Fondazione Cariplo di Milano o sfoglia la gallery qui sotto
MACY GRAY – La scaletta del concerto di Milano
Glad You’re Here
Caligula
Bad Boyz + Murder (Intro)
Fly Me to the Moon (In Other Words) (Kaye Ballard cover)
Nothing Else Matters (Metallica cover)
Still – She Aint Right – Sweet Baby
Witness
Every Night
Josh DJ Set / We Are The Champions (Bass Solo)
PTSD into Psychopath
Do Something
Disco – Rod Stewart – Sexual Revolution – Mr P.
I Try
Encore
First Time
Thinking of You
Mercy – White Man – The Letter
Enrico
18/10/2022 at 14:42
Però andrebbe detto che l’acustica era pessima e ha pregiudicato la fruibilità del concerto. Un peccato mortale, sono tornato a casa depresso per l’occasione mancata