Articolo di Chiara Amendola | Foto Emanuele Tixi Palmieri
È difficile descrivere la differenza tra ascoltare una registrazione degli M83 e vederli dal vivo. In cuffia i loro album avvolgono e alienano l’ascoltatore dal mondo esterno, scorrendo senza soluzione di continuità tra un pop teso e sintetico e un’orchestrazione epica, con una qualità cinematografica che spesso sembra una colonna sonora. Quella di una vita felice che non è propriamente la mia.
È come se il controllo degli M83 sul ritmo dell’album creasse un denso isolamento che blocca tutto il resto.
Dal vivo, la musica non è meno avvolgente, ma in modo completamente diverso. Più forte, più veloce e più intensa. Quando le loro canzoni riempiono lo spazio condiviso la reazione non è tanto personale quanto collettiva. La folla si muove all’unisono come se Anthony Gonzales tirasse migliaia di fili di marionette invece di suonare la tastiera.
Questa sera il Circolo Magnolia ha un’aria quasi surreale e parte del merito va a una scaletta pressoché perfetta; sbarazzandosi di quasi tutte le canzoni atmosferiche “riempitive”, gli M83 creano un’energia ansiosa che sembra raggiungere il picco più e più volte nel corso del loro spettacolo. Sono le 20:45 ma c’è ancora la luce di un tramonto che si sta pian piano spegnendo. Il mood è rilassato, il parterre vivibile quanto basta per bere in tutto relax una pinta ghiacciata in una delle venue dai prezzi più onesti. Faccio due chiacchiere con gli amici occasionali, quelli che incontri per caso e con cui scambi qualche parola solo perchè uniti fugacemente da un interesse comune. Individui che non riuscirei mai a chiamare per nome – perchè si tratta di un’ informazione che non ho mai richiesto.

Stranamente non percepisco morti di FOMO ma solo persone realmente interessate a quello che sta per accadere, decisamente un buon inizio.
Quando arriva il momento, la pineta esplode in un fragoroso applauso, gli M83 prendono posizione sul palco aprendo lo show con la celestiale Water Deep, la band conferisce immediatamente tono alla serata attirando il pubblico nel suo universo etereo. La miscela perfetta di melodie synth-driven, ritmi pulsanti e voci oniriche avvolge il parterre creando un’esperienza immersiva a dir poco magnetica.
Eseguito dal vivo, Fantasy potrebbe essere una compilation di greatest hits della storia alternativa della band, poiché tocca i suoi suoni chiave: l’euforico head-banging di Ocean’s Niagara, la solenne Amnesia e l’oscuro hook disco della title track. Gonzalez struttura chiaramente la setlist in modo da far scorrere l’album, rinunciando a molti dei suoi successi per inserire brani più profondi e tematici come Sunny Boy e Solitude.
L’esibizione attraversa senza sforzo la loro vasta discografia, tessendo un arazzo di paesaggi sonori che evocano contemporaneamente una miriade di emozioni come se la musica stessa avesse assunto una vita propria, trasportandoci in un viaggio attraverso i regni della gioia, della nostalgia e dell’introspezione. Mi perdo in questa dimensione alternativa e mi lascio condurre dalla leggerezza, dimenticando totalmente il pessimo lunedì appena trascorso.

Il concerto diventa man mano bellissimo anche a livello visivo: i ragazzi sono circondati da un’infinità di LED, alcuni sporgenti nell’aria, laser, proiezioni, tante macchine del fumo e, naturalmente, un grande schermo sullo sfondo che viene utilizzato con un sofisticato gusto.
La sinergia del gruppo sul palco è impressionante, Gonzalez domina l’attenzione con la sua voce ammaliante, colpendo ogni nota con precisione e passione. I musicisti di supporto sono altrettanto straordinari e si manovrano abilmente attraverso arrangiamenti complessi, mantenendo un’innegabile chimica che eleva la performance a vette sempre nuove.
La morbida Wait concede al pubblico una momentanea pausa dall’agitazione dei corpi. Il suo synth, deliberatamente in crescita, riporta il contesto a uno stato più calmo. Peccato vedere la prima parte del brano attraverso gli schermi dei telefoni degli altri, tutti puntati sul palco. Per fortuna un inguaribile romantico rivolge un accendino al cielo, seguito a ruota da altri impavidi, e ripristina il tutto a una formato analogico, appagando finalmente i sensi. Anche il groove di Dismemberment Bureau, prosegue questa sensazione di sollievo alleggerendo la tensione del primo tempo più scatenato.
A questo punto, la folla è perfettamente preparata per Midnight City: i presenti vengono irradiati da una pioggia di raggi laser che si muovono in sinergia con gli effetti sonori sull’introduzione del pezzo. Gli M83 prendono quella che potrebbe essere una delle migliori canzoni pop dello scorso decennio facendone puro trip musicale, con il sax live, sulla parte finale, che rende la performance irraggiungibile. Ho la percezione che tutti i presenti stiano rivivendo, proprio in questo istante, un ricordo speciale, un sentire individuale che però diventa unanime.
Difficile fare di più dopo un’interpretazione così clamorosa ma la band sceglie di dare i saluti con la strumentale Outro che congeda i presenti dopo una lunghissima ovazione.
Siamo tutti emotivamente destabilizzati.
Il problema di avere aspettative molto alte è che, a volte, offuscano completamente il tuo giudizio, costringendoti in una scatola che ti impedisce di goderti l’hic et nunc. Altre volte, invece, si sperimenta la gioia di quelle aspettative che si rovesciano come un domino.
Stasera ho goduto di meravigliosi colpi di scena e sono così gelosa di questo stupore che non so se vorrò ripetere l’esperienza o rendere irripetibile una preziosa “prima volta”.

M83 – La scaletta del concerto di Milano
Water Deep
Oceans Niagara
Amnesia
Earth to Sea
Us and the Rest
Run into Flowers
Gone
Fantasy
Laura
Don’t Save Us From the Flames
Noise
Wait
Solitude
Sunny Boy
Sunny Boy part 2
Dismemberment Bureau
Teen Angst
Asterisk
We Own the Sky
My tears are becoming a sea
Encore:
Midnight City
Mirror
Outro
