Questa delicatezza fatta Ep, spezza una lancia a favore di quelle sonorità catchy che divorano – con fame lenta – pop sintetico, fumi trip hop e una accattivante vena sognante, da dopo temporale, cinque tracce dalle varie mutazioni, quel senso clubbing che da benessere all’anima e all’orecchio.
Sono i veneti Klune con il loro lavoro, un intrigante e intelligente universo che vive appieno di suo atmosfere e allunaggi di ottima fattura, uno scapeyng sonoro levigato, poco spigoloso che sebbene alle prime armi è già marchio di fabbrica, un logos che arricchisce oltremodo le falangi di orecchi anelanti voli pindarici e traiettorie verticali.
Con un afflato alla James Blake o il refolo dalle terre rosse di Chet Faker, il trio dei Klune coinvolge nel suo nebbioso standing, l’aria tersa di Hope, il pulse Bristoliano che scorre in Woman, il riflesso intimo di Rainbow, la citazione jazzly hip hop di Cinnamon (in cui fa guest il rapper canadese Emay) o la personalità no border di Saturdays, sono una scoperta che frutta all’underground di gamma, una visione e un lontano dubstep che è specchio e lucentezza per contesti d’alta architettura sonica. Promossi!
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