Friz, o anche il ragazzo della porta accanto, che esce la mattina con le spalle ricurve e torna la sera con l’aglio sotto le unghia. Ho affrontato l’ascolto di Ballate d’Asporto oltre che certa di dovermi sorbire l’ennesimo disco it-pop vagamente autobiografico tra sigarette, ragazze tatuate e l’ingiustizia del mondo intero, tutto sempre molto bello, ma purtroppo sempre già sentito, della Scuola Indie demogratica che ormai comprende qualsiasi figlio illegittimo di Calcutta. Invece qui dentro c’è molto di più, questo disco è il Kitchen Confidential della musica indie che stavo aspettando pur senza saperlo. La storia è quella di un film che spero che prima o poi avrà animo e fiuto di produrre: Friz che lascia la provincia e le sue contraddizioni, per poi ritrovarsi a Bologna con l’iperattività e il primo entusiasmo di tutti i diversi in una cucina di 4 metri quadrati. E in questo disco c’è tutto quello che ne è derivato, dal vociare confuso di una lingua che sembra un italiano futuristico, al lasciarsi andare alla malinconia di casa sotto i portici.
Per chi ascoltava rap ma adesso si sente troppo adulto per continuare (e ha un po’ paura dei fan di The Supreme), per chi non ha tempo, per chi è stanco, per chi ha mangiato dal kebabbaro per più giorni di seguito, per chi conosce tutti i nomi e le storie dei propri colleghi e stava giusto pensando di inserirli in un romanzo o, perché no, in un EP. Menzione d’onore alle produzioni Fed Nance che ci fanno ballare anche su canzoni tristi, che rendono cinico-romantiche anche i più tristi dei versi. Consigliatissimo, per ritornare alla realtà lontana dalla quarantena, cinico-romantica come l’avevamo lasciata.

