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Intervista a KUBLAI, musico conquistatore

Abbiamo incontrato Kublai, nuovo progetto di Teo Manzo che deve il suo nome all’omonimo imperatore mongolo del XIII secolo, nipote del più celebre Gengis Khan. L’immagine che il titolo vuole suggerire è dunque quella di un “figlio d’arte”, chiamato a dimostrarsi all’altezza dei suoi predecessori, e qui raccontato attraverso l’amicizia con Marco Polo, che lo ha conosciuto nei suoi viaggi orientali. Due personaggi, Marco e Kublai, nati agli antipodi, ma uniti dalla stessa solitudine. Marco, però, è sempre in viaggio, mentre Kublai vive segregato nei giardini del palazzo imperiale e non conosce le meraviglie del suo regno sterminato. Marco, ogni volta che ritorna nella capitale, gliene racconta una. Così, parafrasando il loro rapporto, l’intero album non è altro che un dialogo tra due amici che passano una serata insieme. L’uno irrequieto e sempre in movimento; l’altro inerte, al punto di preferire, infine, il suicidio.

Il suo primo singolo si intitola Orfano e Creatore.
Ecco cosa ci ha raccontato!

Ciao Teo, piacere di conoscerti. Hai voglia di raccontarci in che modo sei arrivato ad usare il rapporto tra Marco Polo e Kublai, imperatore che deve il nome al tuo progetto?
Piacere mio. Ho scelto questa immagine per ragioni personali, qualche anno fa mi sono trovato a dover comunicare la mia vicinanza ad un amico in difficoltà, e a non trovare le parole o le azioni per farlo. Così ho messo tutto in musica, e mi sono lasciato aiutare da Kublai e Marco Polo, nel cui rapporto (quello raccontato da Calvino ne Le città invisibili) ho trovato delle analogie utili al mio scopo. Poi tutto questo è diventato prima un disco, poi un progetto musicale.

In definitiva, di cosa parla Orfano e Creatore e in che modo ci introduce nel tuo mondo?
Questo pezzo è un omaggio a un’amicizia improbabile, tra due persone nate agli antipodi. L’orfano e il creatore sono un po’ gli archetipi in cui si riconoscono i due protagonisti, ma i ruoli si confondono: l’orfano Marco Polo, che viaggia senza fissa dimora, e il creatore Kublai, che costruisce un impero immane; ma anche l’orfano Kublai, erede di una grandezza ingombrante, e il creatore Marco Polo, che inventa città impossibili, solo per compiacere il suo amico. Da un punto di vista musicale poi, è un brano abbastanza rappresentativo di questo progetto: c’è l’intenzione melodica, c’è un’armonia compiuta, ma disposta a salti inattesi, c’è il non essere per forza fedeli a una struttura canonica. C’è un po’ di eterodossia, diciamo.

Ci elenchi 5 brani ispirazionali e ce li commenti?
Non ho la lucidità (né voglio averla!) per dirti che questi brani siano ispirazionali per il mio progetto, ma te li elenco perché mi girano in testa in questo periodo:
• Seasong di Robert Wyatt
• I Fell in Love with a Dead Boy, Antony and the Johnsons
• Nuova Luce, Verdena
• Cloudbusting di Kate Bush
• As I Lay My Head Down, Other Lives

In effetti sono tutti pezzi che hanno elementi che mi interessano. In Robert Wyatt c’è spesso una scrittura della linea vocale articolata, quasi vincolata alla sillabazione; e così anche nel pezzo degli Other Lives. Mi piace quando testo e melodia danno l’idea di essere “nativi”, sorti all’unisono e già formati.

Del pezzo di Antony and the Johnsons c’è poco da dire, più che una canzone è una scuola di vita (insieme a tutto il disco live Turning). C’è il bel canto, ma c’è soprattutto un’intimità elegante, che impedisce all’emozione di disperdersi. È un concentrato di bellezza, intenso e mai melenso, nonostante l’intenzione emotional. Cloudbusting mi piace perché quando Kate Bush apre bocca le cose succedono in quell’esatto momento. È sempre una diretta. Ma questo spesso, non solo in questo pezzo. Qui mi interessa soprattutto la coda, che di solito è concepita come un’appendice o un filler, mentre qui invece pare imprescindibile. Imparare a cantare vuol dire soprattutto imparare da gente come Antony e Kate Bush, a far succedere cose mentre si canta.

Infine i Verdena sono un amore che arriva da lontano, ti dico Nuova Luce perché ha ciò di cui parlavo prima: una linea ordinata, ma disponibile a modulazioni sul piano armonico.

In generale, della musica mi interessa il canto, al suono mi adatto. Mi interessa che il testo sia organico rispetto al contesto e non strabordi. E poi mi piace comporre armonie composite, non cervellotiche, ma nemmeno scontate.

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