Incontro Federico Marras Perantoni, cantautore di Porto Torres, città sul mare in Sardegna, un ragazzo che sembra aver fatto i conti con la sua dimensione. Cresciuto con l’arte in tutte le sue forme, quando mi incontra mette subito le mani avanti dicendomi: “io non mi promuovo mai più di tanto, non lo so fare e forse non mi interessa”.
Fare pace con se stessi, capire dove proprio non si vuole cadere: un’impresa ardua. Nulla però è impossibile se ci si guarda dentro con onestà. Questo ragazzo di cose ne ha da dire, il suo non è un tributo al silenzio :Federico nutre un forte interesse per le cose lontane dalla fama, dal mainstream. Lontano dai tanto ambiti tour. Federico però suona, canta e compone, mi viene spontaneo chiedergli il perché di suo questo distacco. Al cantautore turritano non importa prendere lo scettro e portare chissà quale messaggio alla massa, non interessa essere il mito di nessuno, non vuole rischiare di mettersi in situazioni critiche dove sa già che potrebbe crollare vittima di tentazioni difficili da arginare. La musica è per Federico davvero un’arte che funge piuttosto da cura psicoterapeutica, un qualcosa che lo tiene equilibrato nella maniera più forte possibile. È maledettamente sincero. Un anarchico nel senso più puro del termine, la sua versione della vita non prevede che ci sia qualcuno che gli dica come essere felice, e lui da parte sua ha capito che non è necessario andare oltre con certe dichiarazioni. Spesso si trova in lotta tra ciò che vuol dire e le conseguenze che non ha voglia di affrontare.
Il suo album “Canzoni di Mari” è scritto in lingua sassarese, questo esprime il suo desiderio più importante: dare valore ad una lingua minoritaria, una lingua che ha una base poetica sublime, ora invece inscatolata troppo spesso in contesti musicali che di sublime hanno ben poco. Da ascoltare a parer mio ad occhi chiusi, “Canzoni di Mari” racconta le gesta del guerriero Hassan-Aga che aveva sconfitto Carlo V, diventando così re di Algeri. Il giovane e splendido ragazzo, entrato nelle grazie di Barbarossa, è un esempio di audacia e fierezza. I suoni dell’album trasportano l’ascoltatore nell’ambiente piratesco, nel mondo del mare, del quotidiano, della guerra e della soddisfazione. Una ricerca della storia quella di Federico, ma anche linguistica, a volte persino non compresa da alcuni pubblici del sassarese, non sempre a conoscenza di alcuni termini caduti in disuso. Mentre parla del suo album Federico Marras Perantoni è fiero, è un qualcosa su cui ha investito ed è palesemente felice di averlo fatto. Distribuito da Tronos Digital con gli arrangiamenti di Alessandro Zolo, Giancarlo Murranca e Maurizio Pulina, l’album di Federico esprime a pieno la sua particolare personalità: un passo avanti, con calma, il ritiro, l’ironia, l’evasione. Blues, Jazz e folk, due brani hanno ottenuto la menzione al miglior testo al Premio Parodi e il primo premio al Festival della Canzone Inedita Sassarese.
Essere diretti è difficile, specie per un ragazzo così, innamorato di Jim Morrison da giovane, al punto di aver compreso a pieno il ritiro dalle scene del leader dei Doors, troppo vecchio e stanco a 27 anni per essere una rockstar. Per trovare Federico ci vuole una lente di ingrandimento, e io ci sono in qualche modo caduta sopra. Nonostante un conflitto dentro se sembri regnare costantemente, quando all’angolo giusto le nostre strade si separano mi è evidente che mi sono interfacciata con un artista che di canonico ha ben poco, un ragazzo che vuole tenersi la musica come rifugio, condividendola con chi ha interesse, anche se davanti a se dovesse trovarsi solo due persone. La vanità fine a se stessa, tiene a precisare, porta solo alla distruzione.

