Articolo di Adriana Panico
Disclaimer: per volontà manifesta e manifestata a mezzo apposita registrazione audio che precede l’inizio della serata, non si può dire praticamente nulla di “Una Cosetta Così “. La performance di Ghemon, giunta oramai alla sua 46esima replica, non è di certo ai primi appuntamenti del tour, ma se è riuscita a conservare nel mistero la sua struttura è probabilmente anche merito di questa volontà. L’auspicio dell’artista, affidato al monito di non divulgare foto, video, audio, scritti è infatti che nessuno spoiler neghi il diritto all’esperienza e che per ciascuno sia preservata la dose di risate, riflessioni, musica secondo la predisposizione del giorno o l’orientamento dei giorni. A sua misura. Perciò di “Una cosetta così” non si può dire nulla. O quasi.
Siamo a Milano, quartiere Pirelli (proprio quel colosso industriale gommato lì), Università degli Studi Bicocca, Aula Magna. Il tipico assetto ad anfiteatro con le sedute rosse accoglie il pubblico giovane e giù di lì (in Italia ricordiamo che per “giovani” si intende il gruppo di persone under 40 per tutta una serie di ragioni anche discutibili che non tratteremo qui). Naturalmente la pioggia fa da intro battendo sul piazzale. Al centro della scena con Ghemon, Giovanni Luca Picariello all’anagrafe, Giuseppe Seccia alle tastiere e Filippo Cattaneo Ponzoni alla chitarra. Si mescolano per la durata dell’evento note, di brani musicali per lo più inediti, e altre note, appunti e spunti di inchiostro fatto parola e microfono.
Ghemon è il padrone di casa di questo gigantesco salotto. Lui su un divano a tre piazze (immaginario come tutta l’ambientazione citata in seguito), noi su poltroncine singole. Dietro di lui una libreria con un’enciclopedia fatta di pochi volumi tematici disposti in ordine non alfabetico. Tomo a tomo, li sfila dalla mensola e ce ne legge alcuni pezzi in chiave a volte ironica, altre riflessiva, altre cantata, sempre raccontata. Sono volumi di vita, capitoli e capoversi che riguardano anche noi. Li percorriamo nella chiave di lettura di colui che ha fatto tante cose con curiosità e passione, lasciate andare proprio l’attimo prima che spiccassero il volo.
Procediamo in ordine sparso con il primo, volume M: Musica. Diversi gli accenni alla vita musicale a partire dagli esordi. Ghemon scopre il rap (e i graffiti) nel suo paese di origine del Sud per merito di un cugino e comincia a giocare con barre, beat e scratch. Per effetto di un colpo di fulmine per Marvin Gaye e Stevie Wonder, si dedica allo studio matto e disperato del canto confluito poi in quel personalissimo e unico stile che mescola cantautorato italiano, rap, soul. Approda a Sanremo – non una ma ben due volte – e quale Momento Perfetto (era il titolo del brano presentato nel 2021) se non quello di una pandemia con la gente chiusa in casa e l’Ariston senza pubblico per farlo? “Ritenta, sarai più fortunato”, vien da dire. Non è ancora accaduto, viene da rilevare.
Via al Volume S: Sport. Ghemon gioca a calcio, a pallacanestro e ha scoperto di recente l’attrazione per le maratone. Gloriosa quella di NYC (la città in cui ha ritrovato, per sua stessa ammissione, tutto ciò che l’ha appassionato nella crescita – eh, come dargli torto), poi Londra. Se è vero che mens sana in corpore sano, invertendo l’ordine degli addendi il risultato è stato che il metodo della corsa ha portato beneficio anche alla salute mentale di Giovanni- Gianluca- Johnny- Ghemon, che dir si voglia. Non ha mai nascosto di aver sofferto di depressione per molti anni e ne ha parlato da ben prima che diventasse la bandiera di altri personaggi noti in tempi più recenti. Si mostra generosa nella riflessione intima sul tema – accade spesso in questo salotto dove è via via più chiaro che lo sforzo, la fatica, l’amore per qualcosa ti consentono prima o poi di tagliare un traguardo e portare a casa una medaglia: la tua.
Non può mancare il volume F: Famiglia. Quella che da giù ti segue/stalkerizza con i social, quella da cui vengono aspettative light e pressioni soft generalmente concentrate a mo’ di Festival con il prezioso contributo di parenti random nei pranzi e nelle cene di Natale. Quella da cui ti sei dovuto allontanare prima per studio (Roma), poi per fare le tue “cose” a Milano, dove invece vivi con la famiglia che ti sei scelto fatta amici, fidanzata e soprattutto da…Tonino: il cane. Vera e propria istituzione della capitale economica del Paese, sottratto finanche al processo di beatificazione perché la santità è stata già tacitamente e unanimemente riconosciuta. Cane-figlio naturalmente, quella figura ibrida che racchiude la voglia di prendersi cura di altro da sé, di assumersi una responsabilità, di garantire condizioni di vita tra le migliori possibili a qualcun altro ma… “non troppo”, o comunque con la prospettiva di un orizzonte temporale più ridotto, più sostenibile. Tonino, nello specifico, con il suo mondo fatto di dog-sitter e divano, è l’eroe della nostra esilarante ilarità.
Chiudiamo con il volume U: “Una cosetta così”. Pensavamo fosse uno spettacolo, e invece questo è uno spazio libero, creativo e di sperimentazione; è uno stato d’animo, un modo di essere a prescindere dal linguaggio che sia musica, teatro, libro (ne ha scritto uno per davvero), podcast (30 puntate all’attivo), sport. In questo chiarissimo e sorprendente wrap up brilla di luce soffusa e viva la spontaneità del protagonista della storia (che alla fine non muore).