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Reportage Live

ARCTIC MONKEYS e THE HIVES: in the mood for rock

Si chiude l’edizione 2023 degli IDays con un epico finale al gusto di nitroglicerina. Dopo 5 lunghissimi anni tornano in Italia gli Arctic Monkeys per ricordarci quanto siano ancora una delle band più magnetiche al mondo. Ad aprire gli irresistibili spacconi The Hives, il giovanissimo Willie J. Healey e i torinesi Omini, tra i nomi più interessanti della nuova generazione del rock italiano.

Articolo di Serena Lotti | Foto di Federico Buonanno

Se per caso ci sentissimo ancora in debito con la pandemia a causa dello stop forzato che ci tolto per due anni vita, musica e miracoli, quest’anno gli organizzatori degli IDays possono a buon titolo essere considerati tra i promotori più efficaci di una sorta di collettiva concessione sociale che in un mese ci ha restituito il maltolto che non avevamo ancora finito di recuperare.

Sette eventi di altissimo livello che hanno avvicinato il Festival milanese alle grandi realtà internazionali e che, con qualche adjustment (vedi i prezzi dei beveraggi tra cui l’acqua a 3€ con acquisto minimo di 10: ieri la colonnina di mercurio a Milano ha toccato i 35° all’ombra, l’acqua doveva essere gratuita) può davvero diventare il nuovo Coachella italiano (btw le astanti non hanno comunque lesinato in materia di pizzi , trafori e stampe navajo). Per la serata conclusiva presenti 65 mila spettatori, cifra che si aggiunge alle oltre 300 mila presenze già collezionate da questa edizione 2023.

Ad aprire il main act sono gli OMINI, giovane band torinese che si sta facendo strada nella scena rock italiana: dopo la partecipazione a X Factor ed una gavetta iniziata già a tempi delle scuole medie, la band sta provando a prendersi il proprio spazio con una proposta di punk rock sincero, pulito e infervorato, come solo può esserlo l’anima di tre ventenni come loro. Figli d’arte, questi Gen Z sono nati con gli strumenti in mano e vivono il palcoscenico come loro luogo naturale di espressione artistica (ecco più che una cameretta da liceali diciamo). Un palco così imponente non se li è inghiottiti affatto, ad avere avuto un set più lungo avrebbero ridotto lo stage ad una catasta di detriti. Acchiappantissimi.

Passaggio del testimone ad un altro giovanissimo, l’inglese Willie J Healey: ispirato da sempre dalla scuola di Neil Young e al lo-fi, ma più vicino alla stile di Mac Demarco, ha già all’attivo tre dischi e trascorso da supporter per Gaz Coombes. Sul palco milanese si presenta con una jam sensuale in stile anni ’70 che richiama simultaneamente alla mente The Family Stone, Beck e OutKast e scalda bene il pubblico per quello che sarà il prossimo infuocato, surreale e divertentissimo set. Arrivano THE HIVES.

A metà tra un comico che punta al Be Comedy Show ma che non ce l’ha ancora fatta e un frontman totalmente folle del tipo in via d’estinzione, l’irresistibile Howlin’ Pelle Almqvist ci da una grande lezione di stile e di musica. Assolutamente fuori da ogni riferimento che non sia la loro follia, The Hives (musicisti talmente di lungo corso che non hanno proprio nulla da imparare da nesuno), gettano un ponte tra il post punk e l”entertainment terapeutico stilettando alla nostra volta bombe di garage rock con una sicurezza e spavalderia che è qualcosa di irresistibile, qualcosa che non puoi non amare all’istante. Nella formula The Hives tutto concorre ad esercitare un fascino a cui non ci si può sottrarre, dagli outfit elegantemente assurdi, al mood impertinente, fino ad un sound grezzo e immediato che è autentica nitroglicerina. Durante lo show, annullano le distanze tra stage e parterre e ci ricordano una cosa tanto banale quanto vera: divertirsi è l’unica cosa che conta. (Oltre ad un buon antirepellente). Nel metaverso dadaista degli Hives tutto è dannatamente una presa per il culo, tutto è immediatezza e con poche sovrastrutture, zero seghe mentali: tutta carne, sangue e sudore. Hate To Say I Told You So suona come un inno nazionale, Tick Tick Boom ci lacera le orecchie, lo show è un percorso di nuovi e vecchi pezzi Trapdoor Solution, Countdown To Shutdown, Come on! ed è segmentato solo dai siparietti di Howlin’ Pelle che si ferma, scende tra il pubblico per farsi ravanare da gente a caso, saltella sulle casse, si presta ad un improbabile quanto divertentissimo speech in italiano in cui “Battone le mani” è una delle cose che mi ha più accasciato stasera. Un imperativo che non fosse stato per l’assenza della virgola l’avremmo trovato quasi familiare.

Insomma quando vi sentite depressi come Virginia Wolf, con l’autostima nella Fossa delle Marianne e la voglia di vivere di un bradipo del Sudamerica non chiamate lo psicoterapeuta chiedendogli di anticipare l’appuntamento settimanale. Mettete un loop un disco di questa fantastica band. Insomma aiutati che gli Hives ti aiutano.

Mentre aspettiamo gli Arctic Monkeys, l’Ippodromo SNAI La Maura di Milano di colpo diventa la caput mundi della nostra vita di donne piene di problemi esistenziali. Il tempo di riempirci lo zaino di birre e riusciamo ad incontrare amici, colleghi, vicini di casa, ex-compagni di scuola, ex-amanti, ex-friendzonati e parenti di terzo grado: insomma quello che la musica unisce il rancore non separi.

Non è più tempo per gli psicodrammi. Gli Arctic Monkeys sono saliti sul palco ed è così che l’Ippodromo esplode in un lungo, caldissimo, appassionato urlo collettivo. Che la catarsi abbia inizio. Dopo gli ultimi due dischi sulla band aleggia un angosciante big test che mette il carico da novanta alle già altissime aspettative dei 65mila presenti. Saranno i nuovi Arctic Monkeys che si sono mangiati Curtis Mayfield e il Grande Gasby o sono gli stessi di sempre, quelli virulenti e dannatamente alt-rock degli anni passati, quelli che abbiamo amato e idolatrato da Favourite Worst Nightmare in poi?

Ed è proprio qui che la band fa il suo primo sfoggio di grandezza dandoci dimostrazione di non nutrire alcun rancore per i fan a cui piacciono i vecchi AM: la setlist è incredibilmente varia ed ampia che ci capire quanto siano  artisti in continua evoluzione dannatamente consapevoli di chi sono.

Un pick & mix che non scontenta nessuno e che ci trascina in un vortice emotivo senza sosta ne soluzione di continuità. Il live si apre con la batteria infuocata di Brianstorm e da lì tutto non sarà che un commovente, nostalgico, toccante back in the days nelle nostre vite di 10/15 fa: è tutto un ballare stretti stretti, saltare abbracciati l’uno all’altro, cantare a squarciagola, rovesciarci le birre sui vestiti mentre dondoliamo fianco a fianco. Tutto quello che hanno suonato lo hanno suonato entrandoci dentro la pelle, nelle ossa, fino in fondo ad ogni singolo muscolo. Una prima parte che ci riconsegna la storia, una storia chiamata A.M. con Arabella, Do I Wanna Know?, R U Mine?, Snap Out of It, uno storytelling che continua su Favourite Worst Nightmare con le ficcantissime 505, Teddy Picker e Fluorescent Adolescent, mio personale manifesto di vita e malessere.

Le canzoni jazz-pop a cui molti fan hanno appuntato la lettera scarlatta come Perfect Sense, Sculptures of Anything Goes e There’d Better Be a Mirrorbal, Perfect Sense si fondono naturalmente con il sound energico e al contempo raffinato di questo live; è qui che la band ci dà un ulteriore prova del suo genio. Sono i nuovi Arctic Monkeys che suonano come i vecchi Arctic Monkeys. Niente archi, niente manierismi, niente esercizi di stile. Ed è proprio su Body Paint che questa concessione non può essere più chiara di così. Il pezzo si chiude con un lunghissimo assolo psichedelico di chitarra elettrica che è una lezione di storia della musica.

Un sogno che si realizza fino in fondo grazie alla teatralità di Alex Turner, al protagonismo e alla potenza delle chitarre elettriche, alla necessaria declamazione del qui e ora, al bisogno di ricordare che sono una delle band più straordinarie di sempre, alla capacità di creare suoni perfetti, dentro momenti perfetti, che rispondono alle nostre urgenze perfette.

Gli Arctic Monkeys hanno creato una formula capace di tenere perfettamente aderenti tra loro un catalogo di stili diversi, di virtuosismi mai banali, di suoni eleganti e muscolari insieme, di concretezza e sogno, di assenza e presenza, di psichedelia e raffinato indie proponendoci un pattern decadente e galvanizzante allo stesso tempo.

Quindi nella formula live quella che è stata la svolta concettual-jazz-blues di Tranquility Base Hotel + Casino e The Car, vissuta da molti come un alto tradimento, stasera era presente come forma suggestiva, come un’estensione di trascendenza che portava in altre dimensioni di sound, quelle tanto care, confortanti, sicure del passato. Ed è così che l’amore è tornato. Chi si è sentito tradito, deluso, abbandonato ha avuto la prova che a quell’amore gli Arctic Monkey non si sono mai sottratti. Gli hanno dato una forma nuova, forse facendovi soffrire, ma sempre amore era.

Perchè una grande passione può fare anche male. Vi può spezzare il cuore, vi può tradire e nel farlo non vi chiede il permesso. Ma un grande amore, se è tale, non vi lascia mai veramente e può tornare da voi se lo saprete riconoscere. E allora permettemi di citare il nostro caro Antonello Venditti che con Alex Turner ha in comune solo la passione per gli occhiali Aviator, ma che mai disse cosa più vera: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.”

Clicca qui per vedere le foto del concerto degli I-Days Milano (o scorri la gallery qui sotto)

Arctic Monkeys

ARCTIC MONKEYS: la scaletta del concerto agli I-Days Milano

Brianstorm
Snap Out of It
Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair
Crying Lightning
Teddy Picker
The View From the Afternoon
Why’d You Only Call Me When You’re High?
Arabella
For Out Five
Pretty Visitors
Perfect Sense
Fluorescent Adolescent
Do Me a Favour
Cornerstone
There’d Better Be a Mirrorball
505
Do I Wanna Know?
Body Paint

ENCORE:
Sculptures Of Anything Goes
I Bet You Look Good on the Dancefloor
R U Mine?

THE HIVES: la scaletta del concerto agli I-Days di Milano

Bogus Operandi
Main Offender
Walk Idiot Walk
Go Right Ahead
Rigor Mortis Radio
Good Samaritan
Stick Up
Hate to Say I Told you So
Countdown to Shutdown
Come on!
Tick Tick Boom

Written By

Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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