Probabilmente è giunto anche per Thurston Moore il momento di riportare tutto a casa. Dopo i tuffi acustici di “Demolished thoughts” e le improvvisazioni del progetto “Chelsea light moving” l’ex Sonic Youth riavvolge il nastro e recupera gran parte delle sonorità del suo ex gruppo. Affiancato da un altro ex Sonic Youth, il batterista Steven Shelley, dalla bassista dei My Bloody Valentine, Deb Googe e dagli altri tre dei Chelsea Light Moving, vale a dire Samara Lubieski, John Moloney e Keith Wood, Moore si lascia andare al noise-pop frenetico e coinvolgente che ha reso immortali i Sonic Youth.
Tuttavia, ascoltandolo con attenzione, da queste otto tracce emerge la necessità del nostro di lasciarsi andare a lunghe svisate chitarristiche, che se non stupiscono, basta, infatti, andarsi a riascoltare la produzione della metà degli anni ’90 dei Sonic Youth, dall’altro Moore sembra che voglia seguire il solco tracciato da Neil Young.
Mi riferisco in particolare al Neil Young dell’ultimo decennio, quello delle cavalcate chitarristiche chilometriche. A parte l’esplosiva sonica “Detonoation”, che dura poco meno di tre minuti, gli altri brani vanno dai quattro minuti e mezzo di “Vocabularies” agli undici minuti e tredici secondi di “Foervermore”. È proprio in quest’ultima che aleggia il fantasma del rocker canadese, brano che fa il paio con gli otto minuti e mezzo di “Speak to the wild”, in cui Moore ha riportato a casa anche la sua passione per i Velvet Underground, in una cavalcata psichedelica, ma lucida. Una lucidità disarmante che ritroviamo nelle reminiscenze dei Sonic Youth della title-track, come nelle schegge soniche su un’altra cavalcata noise di “Grace lake”.
Mi dispiace non aver ascoltato prima questo disco, altrimenti sarebbe entrato nella mia playlist del 2014.

