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I brani preferiti di VINNIE MARAKAS

Vinnie Marakas è profeta, imbroglione, sciamano, mentitore, poeta e impostore. Alchimista e mago metropolitano, il nome della sua Opera è scritto sul manto delle tigri. Secondo alcuni esegeti non sarebbe un uomo ma un essere demoniaco che da sempre attraversa i secoli presentandosi con diversi nomi: Ermete, Merlino, Cagliostro, Faust, Gurdjeff, ed Elvis Presley. Secondo altri, sarebbe uno degli angeli dell’apocalisse, disertore ribellatosi alla volontà superiore. Per altri ancora, invece, è solo un truffatore.

Non abbiamo resistito, e gli abbiamo chiesto quali sono i suoi brani preferiti. 

Diana Est – Tenax
Forse l’unico pezzo di cui davvero un giorno vorrei fare una cover. Un testo incredibile di Enrico Ruggeri, ogni parola potrebbe essere un manifesto di Vinnie Marakas: “una notte estetica, un inconscio fragile, la finzione scenica”, o “val la pena vivere solo dalle 11” c’è tutto. Diana Est poi è un’icona degli anni Ottanta che mi ha sempre affascinato per l’alone mi di mistero che la circondava e per il fatto che si fosse ritirata dalle scene molto presto senza concedere tante interviste o apparizioni. Un pezzo fantastico della new wave italiana, purtroppo oggi poco considerata. 

Plastic Bertrand – Tout Petit La Planète 
Uno dei grandi artisti della truffa. Plastic Bertrand, al secolo Roger Allen François Jouret, diventò famoso nel ’77 con la hit “Ca plane pour moi”, scritta da Lou Deprijck, e Yvan Lacomblez: un pastiche letterario che si prendeva gioco dei testi e della forma delle canzoni punk di quegli anni. Il brano fu un vero successo in tutta Europa, Plastic Bertrand fu proiettato nel gotha del mainstream e il suo primo album AN 1 arrivò al secondo posto delle classifiche in Francia. 

Nel 2010 Jouret rivelò come nei suoi primi quattro album la voce registrata in realtà non fosse la sua, ma quella del produttore Deprijck. Di fatto lui aveva solo prestato il suo volto e il suo corpo, perché l’etichetta discografica, la AMC, lo considerava più fotogenico.
Un genio della truffa capace comunque di sfornare un immaginario futuristico e un pezzone dance/ new wave come questo, contenuto nel secondo album “J’te fais un plan”, del 1978. Ci sono particolarmente affezionato per una chiusura epica di James Holden al Club2Club di molti anni orsono. Angeli e dragoni, creature meravigliose e abissi spaventosi. 

Giovanni Lindo Ferretti – Polvere 
Amo la parabola contraddittoria di Ferretti, la sua scrittura densa e immaginifica, le sue melodie antiche che toccano l’altezza della preghiera e la profondità della rabbia. Banalmente avrei messo qualcosa come Noia o Depressione Caspica (o B.B.B. che è uno dei miei preferiti in assoluto) ma è nel suo primo album da solista Co.Dex, dove sperimenta davvero con l’elettronica, che mi ritrovo ancor di più. C’è un pezzo come “Codice” che è davvero acid house psichedelica di prima categoria, e poi c’è questa gemma trip hop che è “Polvere”, dove racconta di questo sacerdote Inca che prima di morire profetizza una sorta di apocalisse d’amore che polverizzerà tutti gli uomini, liberandoli. E’ un album ipnotico e bellissimo. 

The Stone Roses – Fool’s Gold
Ian Brown è forse il mio frontman preferito. Mi è sempre piaciuto per le movenze, lo stile già post- rave nonostante fossero proprio quelli gli anni d’oro della Madchester e della Second Summer of Love. Un’epoca di sorrisi sintetici mai vissuta e forse mai accaduta davvero. Comunque anche i testi mi hanno sempre affascinato perché erano astratti, visionari. In “I am the Resurrectiont” c’era un riferimento a Yeats. Altrove si ritrova il Paradise Lost di Milton, in “I Wanna Be Adored” c’è un’eco faustiana. Mi è sempre piaciuto questo fatto che dietro l’apparenza da hooligan “pills n’thrills”, dietro ci fossero delle immagini, dei concetti, delle allegorie tutt’altro che scontate. Tutto il primo album degli Stone Roses è un capolavoro, ma qui il giro di basso di Reni i break di Mani, e le chitarrine di John Squire sono semplicemente poesia. Produzione incredibile. 

Franco Fanigliulo – A me mi piace vivere alla grande
Uno dei cantautori italiani più sottovalutati e purtroppo meno conosciuti. Questa canzone è tra le mie preferite in assoluto, per il testo allucinato eppure lucidissimo, e per l’arrangiamento che fa il verso a una danza viennese. Anche come personaggio di spettacolo ho grande ammirazione per Fanigliulo, è sempre rimasto fuori dagli schemi tradizionali, giocando con i media, e a volte prendendosi gioco del linguaggio usuale. Ma sempre in modo sottile, con grande garbo e con grande misura. “A me mi piace vivere alla grande” è un inno senza epoca all’indolenza e alla fantasia, ed è stato tra le principali ispirazioni per “Disagio Mediterranée”. 

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