Michele Bitossi è tornato con un nuovo singolo, “Non ho”, uscito per “The Prisoner Records”, label fondata da lui stesso. Un percorso delineato da una pubblicazione libera e senza vincoli di nuova musica: ne abbiamo parlato con lui per capirne di più.
Ciao Michele, “Non ho” è il tuo nuovo singolo. Insieme al tuo precedente “Solo un’idea” apre un nuovo capitolo dopo l’album “A noi due”. Cosa c’è dietro questa scelta e cosa vuoi raccontare con queste due nuove canzoni?
Sì, la mia idea adesso è quella di pubblicare musica quando e come mi va, senza nessun vincolo, senza nessuna scadenza prefissata, senza grandi pianificazioni.
Quando hop per le mani qualcosa che reputo meriti di essere ascoltato anche da altri lo faccio uscire. Può trattarsi di singoli, di ep, di un nuovo album, di una cover.
“Non ho” è una canzone in cui mi metto a nudo ma provo a farlo con una buona dose di leggerezza e ironia. Ho scritto e riscritto varie volte il testo perché non ero mai contento del risultato. Poi un giorno è arrivata la svolta.
In questo pezzo parlo anche di come spesso in Italia si tenda a considerare il ruolo di chi scrive canzoni. Non c’è alcun desiderio di autocommiserazione, ci tengo a precisarlo. Ma un verso come questo mi sembra eloquente: “le canzoni si scrivono da sole, mica sono scemo che mi metto pure a lavorare…”.
“Solo un’idea” invece ha tutte le carte in regola per sembrare una canzone d’amore. Ma così non è. E preferisco non essere più preciso.
“Non ho” vede la produzione di Matteo Cantaluppi, collaboratore di artisti come Thegiornalisti, Ex Otago, Canova, Francesco gabbani. Come nasce il vostro sodalizio musicale?
Con Matteo ci conosciamo da anni, siamo più o meno coetanei. Abbiamo già collaborato in passato su un mio progetto chiamato “Nome”. Lo stimo moltissimo sia come persona che come professionista. Credo sia un produttore sopraffino oltre che un ottimo musicista. Qualche tempo fa abbiamo lavorato insieme a una manciata di canzoni, di idee, che poi ho fatto sedimentare in attesa del momento giusto per chiuderle. Il momento giusto per “Non ho” è arrivato. Credo che a breve verrà quello di un altro brano su cui abbiamo lavorato insieme.
Nel brano evidenzi anche le difficoltà del fare musica in questo Paese. Cosa pensi a riguardo?
Le difficoltà in tal senso nascono purtroppo da molto lontano. Negli ultimi mesi la situazione difficilissima che stiamo vivendo non ha che acuito determinate problematiche.
In Italia si tende a pensare che quello del musicista non sia un vero e proprio lavoro e che, in media, i musicisti siano gente ricca e annoiata che per capriccio strimpella strumenti o scribacchia canzoncine.
Il tutto credo sia alimentato anche dalla scarsissima cura con cui mediamente si affronta la musica nelle scuole. Lo dico da padre di due ragazzi di 8 e 13 anni, entrambi molto propensi all’argomento ma costantemente demotivati da come viene trattato dai loro docenti.
La crisi devastante che ha colpito e colpirà sempre di più il nostro mondo in questo terribile momento ha messo a nudo il fatto che per centinaia di migliaia di operatori del settore, veri e propri “invisibili”, non esiste alcuna tutela seria. Ecco perché molti, nella disperazione, saranno costretti a cercarsi una nuova occupazione o a fare la fila alla Caritas.
Eppure in Francia, per fare un esempio, da sempre esiste uno statuto chiamato “Intermittent du spectacle”. Chi en gode (e si tratta di 250mila tra artisti e tecnici) ha diritto a una sorta di “reddito di cittadinanza creativa”. Una sorta di idealizzazione delle giornate non lavorative. Il concetto, totalmente fuori dal mondo qui da noi è: “chi lavora nel mondo dello spettacolo lavora anche quando non lavora”.
Pazzesco no?
Quanto e come la situazione attuale sta influenzando il tuo songwriting? Hai voglia di scrivere o di mettere in pausa la ricerca d’ispirazione?
Allora. Durante il lockdown di marzo-aprile mi sono imposto, non senza fatica, di scrivere con costanza, di farlo con disciplina praticamente ogni giorno.
Mi serviva non solo per mettere comunque carne al fuoco considerando che faccio an che l’autore per altri e che ho sempre bisogno di sfornare nuove idee ma anche per esorcizzare l’inquiedudine, l’ansia, la paura che ha colpito me come milioni e milioni di persone.
Qualcosa di buono ritengo sia uscito, insieme anche a cazzate impubblicabili. Mi sono però confrontato con tanti colleghi e molti mi hanno confidato di non riuscire assolutamente a creare nulla, di essere vittime di un blocco pressoché totale.
Comprendo bene tutto ciò perché in questi giorni anche a me sta succedendo.
Più che altro mi sto profondamente interrogando su cosa sia giusto scrivere in un momento come questo. E’ un interrogativo complesso. Credo sia venuto il momento in cui mettere da parte il più possibile le canzoni di plastica con le liste dei cocktail, le canzoni finte e scritte a catena di montaggio per essere “playlistate” su Spotify.
Mi piacerebbe si provasse a scrivere qualcosa di veramente significativo. Il momento ce lo chiede e sarebbe un’ottima occasione per dimostrare ancora una volta il significato della parola “songwriter”.
Anche perché, e mi rendo conto di dire una cosa “forte”, hai voglia a difendere la categoria quando poi davanti di trovi decine e decine di canzoni di merda che escono ogni settimana…
Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi mesi di Michele Bitossi?
Qualità, convenienza, cortesia.

