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CAPOSSELA e Brecht: l’arte della memoria 

Vinicio Capossela
Foto di Lara Bordoni

Il nuovo singolo di Vinicio Capossela, “La crociata dei bambini” è uscito il 24 Febbraio, proprio a ricordarci che è già passato un anno dall’invasione russa nei territori ucraini. Un conflitto che ha coinvolto non solo le superpotenze mondiali, in primis gli Stati Uniti ma l’Europa tutta e se per i primi mesi, complici anche i mezzi di comunicazione, questo conflitto è stato raccontato e ci ha immersi in un qualche modo fra le rovine di una Ucraina sotto le macerie e di gente, anziani, donne, bambini e animali in fuga dalla morte, dopo un anno questo coinvolgimento nel dolore e nella guerra, perché pensiamo che sia una guerra degli altri, sembra scemare, come se avessimo preso le distanze, come se ci fossimo abituati.  Ecco perché in un certo senso questa canzone, questa poesia musicata, ha un valore che va oltre l’ascolto. Ad un certo punto ci si chiede anche quale sia il ruolo della musica, se è solo divertimento, se serve per i balli sfrenati, l’armonia di gruppo, la ginnastica, i lustrini e le paillettes per scoprirsi nudi dentro, i fiori e i festival. Ci si chiede che cosa possa fare l’arte, la musica in questo caso, che ruolo può avere. In tv qualche giorno fa, una donna ucraina, rimasta lì, rimasta lì a difendere la sua casa, la sua famiglia, intervistata da un tg italiano in poche ma essenziali parole rispondeva così al trascorrere di un anno dalla guerra “la gente si stanca della guerra, abbiamo paura di essere dimenticati”.

Nessuno sta bene come nella propria pelle” era uno dei cartelli messi in scena in Tamburi nella notte,  opera teatrale di Bertolt Brecht.

Nessuno sta bene come nella propria pelle ed è così che anche noi abbiamo iniziato a pensare alla nostra di pelle, prima ad abituarci, poi a far diventare passato qualcosa che è ancora presente e che purtroppo, per ogni giorno che passa senza vedere una fine è già futuro. In un certo senso quando ritorniamo al passato è già qualcosa che è dentro i nostri ricordi, qualcosa che può venire fuori da un discorso occasionale, così anche la guerra in Ucraina è diventato un discorso occasionale.

Qui però subentra il ruolo dell’arte, dell’artista, di chi mantiene lo sguardo sempre acceso sul dolore del mondo, degli uomini, di chi si dimentica dell’altro. L’arte e in questo caso Vinicio Capossela, ci ricorda perché la memoria è fondamentale e lo fa nel migliore dei modi possibili, utilizzando chi ha fatto della propria arte memoria e del ricordare ciò che ha vissuto l’unico messaggio per le generazioni future affinché non accadesse più, tutta la sua esistenza, ovvero Bertolt Brecht.

Intanto, diciamolo chiaramente, ormai è raro nel panorama musicale italiano, che un artista riproponga a suo modo l’insegnamento che può arrivare dalla letteratura o dalle opere teatrali, utilizzando dunque memoria su memoria, opere in un certo senso dimenticate da non dimenticare per spiegare ed avere luce sul presente e riaprire le coscienze. E poi Capossela non cita Brecht ma entra nel mondo di Brecht, ce lo ricorda in maniera preponderante, cercando di riscoprire e far conoscere un gigante della drammaturgia, del teatro, della poesia, cercando di dare una luce, uno specchio e una lente di ingrandimento all’uomo e alla miseria che porta dietro di sé e anche dell’indifferenza  che è quella degli uomini davanti all’orrore della guerra e della morte. Il lavoro che fa Capossela con questa nuova canzone è raccontare memoria su memoria, pezzi di storia su pezzi di storia, perché la cultura, le arti in genere servano per costruire e non per distruggere come fanno le guerre.

Foto di Roberto Finizio

Per questo il racconto di Capossela è testimonianza di un secolo tanto oscuro quanto aspramente sotto i riflettori, quelli sbagliati, quelli della luce che non produce niente se non svanire con un click.  Quello che Vinicio Capossela è riuscito a portare in scena, e in un certo senso ancora non ce ne rendiamo conto, è quello che Brecht si chiedeva nell’opera Vita da Galileo: “nei tempi bui si canterà”?.

La risposta è affidata all’arte, in questo caso alla musica de la crociata dei bambini, ed è sì, nei tempi bui si canterà, perché è il ruolo dell’artista, dell’intellettuale con tutte le sue difficoltà in una società che più diventa moderna più fa fatica a riconoscerlo. Il ruolo dell’artista è  quello di far conoscere, di divulgare la verità in un’epoca buia. Ma torniamo un attimo indietro. Appena è uscita la canzone, e non me ne faccio una colpa, al primo ascolto, ho avuto un senso di rifiuto. Eppure ascolto album tutti i giorni, a volte cose tremende ( inascoltabili proprio) ma per questa canzone non ho avuto nemmeno il coraggio di ascoltarla fino alla fine. A metà ascolto, nel mio gergo calabrese ho proprio detto “ par na lamentela” ( sembra una lamentela). Addirittura ho avuto l’ardire di mandare una email al mio capo redattore dicendogli che non mi piaceva, eppure non l’avevo nemmeno ascoltata tutta.

Nei giorni a seguire ho pensato a questo rifiuto e sono tornata indietro al mio viaggio a Berlino (per il concerto di Eric Clapton) e per un caso il mio albergo si trovava proprio accanto alla Bertolt Brecht Platz, dove sorge il Theater am Schiffbauerdamm, che  ha ospitato gli spettacoli della compagnia teatrale Berliner Ensemble, fondata nel 1949 da Helene Weigel e Bertolt Brecht e di fatto l’insegna rotonda gigante sopra al teatro porta proprio questo nome “Berlin Ensemble “. Ero molto contenta di essere lì, ho fotografato la statua, il teatro, l’insegna che indica la piazza, ero contenta di svegliarmi la mattina e passare davanti alla storia. La guerra in Ucraina già era scoppiata, e la statua di Brecht non solo mi ricordava che Berlino è una città che è memoria di tragedie dell’umanità all’aperto ma mi ricordava anche di un intellettuale, poeta, scrittore, drammaturgo, di colui che aveva inventato il teatro epico, di un uomo che aveva saputo offendere la guerra, mettersi contro i potenti, di un uomo che aveva raccontato e messo in scena la miseria umana affinché le generazioni successive ne facessero tesoro. Tutto molto bello ma tutto anche molto doloroso perché pur ricordando in un certo senso come tutti percepivo la guerra ma non la sentivo più.

Foto di Graziella Balestieri

Ecco il lavoro enorme di Capossela è quello di far sentire la guerra ancora, anche se non lo vogliamo, se la rifiutiamo.  E anche la definizione di lamentela non è del tutto negativa o errata. Quando ci si lamenta si manifesta il dolore per qualcosa, per quello che ci circonda, lamentare vuol dire protestare anche, esprime insofferenza per tutto quello che accade, un dolore anche fisico e mentale che non si sopporta. L’etimologia della parola lamento si ricollega al latino lamĕntum, a sua volta dal più arcaico clamĕntum = lamento, grido, esternazione sonora di dolore. Andando ancora più a ritroso nel tempo, troviamo la radice protoindeuropea la- (dall’ancora più antica ra-) col significato di piangere, urlare. Il lamento è una forma musicale o poetica che esprime dolore, dispiacere o lutto. La guerra è dolore, è sofferenza, è morte, è lutto. Quindi sì, la crociata dei bambini è un lamento di guerra, non è solo una canzone, è testimonianza di insofferenza verso l’orrore che ci circonda.

Ma Capossela non ha dato solo vita ad un testo che testimonia l’orrore e l’indifferenza ma anche musicalmente lo fa.  Il pianoforte riproduce il cammino, il cammino dei bambini verso una salvezza, il suono del pianoforte ricorda i passi ma poi sono i violini che infrangono con il loro suono struggente e doloroso il sogno verso la salvezza. Il suono dei violini squarcia in due il velo di quella indifferenza di cui ci siamo ricoperti per non vedere e quando facciamo finta che sia tutto degli altri, Capossela ce lo ricorda, attraverso Brecht, attraverso la musica, attraverso l’arte che ha il compito di essere memoria.

Ma noi ci ricorderemo degli ucraini ammassati sotto ad un ponte crollato? Ci ricorderemo che a pochi chilometri da noi la guerra è passato, presente ma ancora futuro? Ci ricorderemo della tragedia di Cutro? Ci ricorderemo dell’uomo che fuori dall’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone urla al Presidente della Repubblica Mattarella “non ci abbandonate”? Una canzone può servire anche a fare tutto questo.

Ecco perché Capossela ci riporta al fatto che se leggi Brecht, se hai un libro  hai una scelta, così anche una canzone può diventare una scelta ovvero quella di non dimenticare.  

“La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente”

(Bertolt Brecht, la guerra che verrà) 

Foto di Andrea Ripamonti
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