Diverse migliaia di miglia di oceano possono dividere gli azzurri cieli del deserto dei Tinariwen e l’autentica musica country dell’America rurale, ma i legami restano tanto palpabili quanto romantici.
Per Amatssou, il loro nono album in studio, i Tinariwen hanno iniziato ad esplorare queste connessioni utilizzando banjo, violini e pedal steel, e mescolandoli perfettamente con il marchio di fabbrica della band Tuareg. Linee di chitarra serpeggianti e groove ipnotici.
14 Giugno – Ultravox – Firenze
15 Giugno – Triennale – Milano
16 Giugno – Hiroshima Mon Amour – Torino
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Nei due decenni trascorsi da quando i Tinariwen sono fuoriusciti dal deserto africano per girare il mondo, hanno avuto modo di fare la conoscenza di molti rinomati musicisti country, folk e rock americani, tra cui Kurt Vile, Cass McCombs, Micah Nelson (figlio di Willie Nelson), Cat Power, Wilco, Bon Iver e Jack White. La storia di Amatssou inizia nel 2021 quando proprio Jack White li invitò per una session a Nashville nel suo studio di registrazione privato. White è un fan di lunga data e già aveva “prestato” ai Tinariwen il proprio ingegnere del suono Joshua Vance Smith per mixare l’ultimo album del gruppo, Amadjar nel 2019.
I Tinariwen sono sempre stati caratterizzati dal loro grande coraggio – e come disse una volta Bob Dylan, è il potere del rock’n’roll che ci rende “dimentichi della paura” come la musica ci dà la forza e la resilienza per confrontarci con le avversità.
La cultura tuareg è antica quanto quella dell’antica Grecia o di Roma, ma fondendo gli stili tradizionali dell’Africa occidentale e quella araba, con influenze blues, country, folk e rock, le canzoni di Amatssou finiscono per parlare della realtà attuale e spesso dura della vita tuareg di oggi.
