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Reportage Live

Reportage Live: GREENFIELD Festival 2012 (Svizzera) – giorno tre

GIORNO 3

La stanchezza dei due giorni sotto al sole incomincia a farsi sentire ma decidiamo di resistere per non perderci sul palco b la solita prestazione eccezionale degli EMMURE (Voto 8). Il tempo a loro disposizione non è molto, ma la band di New York riesce comunque ad entusiasmare i numerosi presenti che hanno deciso di sfidare il sole cocente dell’una di pomeriggio. Frankie Palmeri è la solita macchina da guerra e riesce a riprodurre perfettamente sia le vocals pulite che quelle in scream raggiungendo a tratti la qualità perfetta delle registrazioni in studio. Una band che oramai ha l’autopilota in fase live, ma se a differenza degli altri ha pubblicato 5 dischi in 6 anni e continua a girare il mondo ci sarà un perché…

Ci spostiamo sul palco principale per vedere all’opera per l’ennesima volta gli americani ZEBRAHEAD (Voto 7) che negli ultimi sembrano aver ritrovato lo smalto di un tempo quando la loro “Playmate Of The Year” impazzava su tutte le radio e i canali televisivi musicali. Forti di un terzetto di album di tutto rispetto con il nuovo cantante/chitarrista Matty Lewis, la band non vive nell’ombra del paio di singoli dell’anno 2000 e mette in piedi uno show divertente ed energico che ha saputo divertire i presenti.  Le varie “Rescue Me”, “Mental Health” “Anthem” scorrono che è una meraviglia ed il pubblico comincia a scaldarsi fino a quando un membro della crew degli Zebrahead prende un canotto per fare stagediving dal palco fino al mixer. In fase esecutiva qualche sbavatura, ma davanti a questa energia glielo possiamo pure perdonare.

Apprendiamo del secondo pacco del festival ovvero quello dei DARKEST HOUR che per problemi di traffico non riescono a raggiungere la location e ci rinfreschiamo un po’ nel nostro bus climatizzato adibito per la stampa in attesa dei LAGWAGON (Voto 7 e ½ )  che ci riportano agli anni ’90 con il loro punk americano senza fronzoli e acconciature. La band si diverte, il pubblico apprezza:  cosa chiedere di più ad una band che in questi vent’anni ha fatto la storia di un certo tipo di punk e ha gettato le basi per tutte quelle band che arriveranno negli anni a seguire e che forse raccoglieranno immeritatamente più successo di loro? Nient’ altro da aggiungere: poco fumo e tanto arrosto.

Cambio di palco veloce ed è il turno dei riuniti REFUSED (Voto 8) che mettono in piedi uno show decisamente all’altezza delle aspettative. Rispetto alla data di inizio giugno a Milano, l’attesa qui in Svizzera è meno sentita ma questo forse è dovuto all’inserimento del loro reunion show in un constesto così vasto come un  festival di 3 giorni con quasi 50 band nel cartellone che ha richiamato 25 mila diversi spettatori. Poco male comunque perché la band svedese ce la mette tutta per rendere giustizia ai  più di 10 anni di attesa dalle loro ultime esibizioni.  Il pubblico si esalta maggiormente con i pezzi tratti dall’immortale “The Shape Of Punk To Come”, disco che ai tempi era 5 o 6 anni avanti a tutti. Dennis Lyxzén è un vero animale da palco e le sue movenze di reminiscenza “Jacksoniana” a volte resteranno a lungo nelle menti dei presenti. Ovviamente l’highlight dell’esibizione è stata la celeberrima “New Noise” che ha scatenato l’inferno sotto il palco. Si sono formati, hanno fatto 3 dischi che hanno ispirato una generazione di band hardcore punk metal, ed ora sono temporaneamente tornati per riprendersi lo scettro di pionieri del genere: bentornati Refused.

Rimaniamo in Svezia con i mitici THE HIVES (Voto 7 e ½ ) che come al solito divertono e colpiscono per caparbietà ed energia. Pelle e soci oramai sono un must per ogni festival rock che si rispetti ed i loro classici  “Hate To Say I Told You So” e “Walk Idiot Walk” vengono cantati da tutti i presenti. Un po’ meno efficaci i pezzi tratti dal nuovissimo “Lex Hives” che non è un disastro ma di certo non è all’altezza dei suoi predecessori.  Pelle canta come sempre bene e intrattiene il pubblico con una raffica di battute e definendosi come “La miglior band del mondo”. Lo show si chiude con la solita “Tick Tick Boom”  che cala il sipario sulla solita prestazione divertente e di qualità che conferma il fatto che in sede live i The Hives sono una vera e propria garanzia.

Curiosiamo sul second stage per lo show dei BLACK VEIL BRIDES (Voto 5), simbolo vero e proprio di come il mercato musicale si stia indirizzando sempre di più verso lidi tristi e poco promettenti. La band sale sul palco b come se fosse l’headliner del festival e viene attesa dai propri fans sfegatati che occupano le prime fila adiacenti alla transenna. I loro look non li aiuta di certo, ma la sensazione è che dietro a quei chili di trucco e mascara di nasconda una band assolutamente mediocre, incapace di accompagnare il lato estetico con quello musicale. Le canzoni sono scialbe anche se confrontate con altri aborti del genere come Avenged Sevenfold o Escape The Fate, che almeno qualche brano originale ed interessante l’hanno scritto. Ci basta sentire la cover di “Rebel Yell” di Billy Idol per capire che è giunto il momento di cambiare aria e tornare su main stage. Esattamente il contrario dei Lagwagon: tanto fumo e pochissimo arrosto.

Finalmente riusciamo ad assistere ad uno show  dei RISE AGAINST (voto 7 e ½) in un contesto adatto alla loro fama internazionale: è triste continuare a vedere in Italia  la band  di Chicago davanti a 200-300 persone, in un contesto intimo ma privo di pathos e scenografie che invece possono sfoggiare in un arena da 25 mila persone.

La band ci sa maledettamente fare e ripaga con una prestazione maiuscola passando in rassegna molti dei loro classici come “Re Education Through The Labour” , “Ready To Fall” e la vecchia “Give It All”. C’è spazio per un po’ di brani nuovi come “Help Is On The Way” “Make It Stop” e “Satellite” che dal vivo guadagnano punti rispetto alla loro versione su disco. Tim McIlrath oggi canta bene e la band appare indemoniata, Zach Blair su tutti autore di una prestazione eccellente. Il concerto si chiude con la solita “Saviour” lasciando i moltissimi fans soddisfatti e contenti.

Ci spostiamo velocemente per l’ultima volta sul palco b, ignari di cosa sta per succedere. Poche note di intro e ci accorgiamo che gli ENTER SHIKARI (Voto 10) salgono sul palco e iniziano a suonare senza il cantante Roughton Reynolds che poco dopo appare in mezzo al pubblico e comincia a cantare la nuova “System…Meltdown” mentre balla e poga con i presenti. Da qui in poi parte il delirio e lo show prende una piega insolita trasformandosi in una festa collettiva che  richiama sempre più presenti in totale visibilio per la band londinese.  La scaletta è incentrata sul nuovo album “A Flesh Flood Of Colour” senza però dimenticare le varie “Sorry You’re Not  a Winner”, “Mothership” e “Juggernauts”. La band è completamente folle e la situazione scappa di mano quando bassista Chris Batten raccoglie la sfida degli altri membri della band e comincia a correre fuori dal palco verso la pineta. Il pubblico istintivamente lascia la platea e si mette a correre dietro al musicista provocando le risate degli altri presenti e del resto della band. Da questo momento in più il tutto diventa una sfida tra i membri della band su chi fa la cosa più pazza: il chitarrista Liam Clewlow prende una cassa e la da al pubblico per poi gettarsi sopra e fare stagediving stando in equilibrio in piedi sulla cassa, invece Reynolds ad un certo punto abbandona lo stage nel bel mezzo di “Zzzznoked” per arrampicarsi su un tir parcheggiato vicino al palco per poi invitare tutti i presenti a seguirlo. La band dopo un’ora abbondante lascia il palco ma il pubblico li convince a suonare un ultimo pezzo per poi congedarsi dopo i ringraziamenti ai ragazzi della security che hanno dovuto fare gli straordinari per mettere un po’ di ordine a questo delirio. Il giusto finale epico per un festival memorabile.

Ah sul palco principale stanno suonando i DIE ARTZE (Voto 8) che, seppur stiano suonando benissimo sotto ad un vero e proprio bagno di folla, non richiamano particolarmente la nostra attenzione. Il loro spettacolo di punk cantato in tedesco è qualcosa alla quale non ci sentiamo invitati anche se risulta altamente professionale e coinvolgente.

Si chiude qua il nostro Greenfield 2012 e si torna a casa consapevolii di aver trovato finalmente un festival eccezionale, organizzato in maniera impeccabile e che ci ha saputo divertire per tutti questi tre giorni di permanenza.

Siete stufi delle solite carenze e disorganizzazioni dei festival rock, punk, metal italiani? Sono sicuro che potrete trovare nel Greenfield la riposta giusta alle vostre esigenze. Pensateci.

Leggi il reportage del primo giorno | Leggi il reportage del secondo giorno

Tutte le foto del terzo giorno del GREENFIELD festival 2012

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