Mentre attendiamo di comunicare tutte le date ufficiali del tour estivo dei Punkreas (le condivideremo martedì 22 maggio, stay tuned!), ripercorriamo i mesi che hanno segnato il ritorno della band di Parabiago, a due anni di distanza da “Il Lato Ruvido” e con 30 anni di carriera ben portati sulle spalle.
Li abbiamo raggiunti un po’ di settimane fa, in occasione del loro live al New Age Club di Treviso, e questo è quanto ci hanno raccontato a proposito dell’EP “Inequilibrio”, prima parte di un lavoro complesso il cui secondo capitolo verrà svelato entro fine anno, e dello stato dell’arte della musica (punk) italiana.
Non possiamo che partire dal vostro EP, che porta un titolo dalla doppia valenza, a seconda di come lo si interpreta. Inequilibrio letto tutto d’un fiato così com’è scritto, che ha quindi un’accezione di equilibrio mancante, di “disequilibrio”, o In-equilibrio, se lo interpreta con il senso opposto…
Per quelli come noi, nati e formati nel secolo scorso, ci sono stati momenti di difficile interpretazione sulla direzione presa dal mondo, l’intero lavoro è frutto di un percorso di analisi prima personale e poi collettiva sul periodo storico in cui viviamo, quello che vediamo tutti i giorni. Le canzoni nate da queste osservazioni ci hanno da subito convinti che i temi trattati fossero condivisi da molte persone e, in modo trasversale tra gli strati della società, ad avere la sensazione che, una volta cadute le certezze del Novecento, la piega degli eventi ci abbia lasciati impreparati, instabili e, mai come oggi, in cerca di un nuovo equilibrio.
Come avete raccontato più volte, la scelta di fare uscire il vostro nuovo lavoro suddiviso in due EP, non è stata casuale. Ora che è passata circa una settimana dall’uscita di questa prima parte, siete ancora convinti della decisione? Come ha reagito il pubblico?
In un periodo in cui la musica viene ascoltata più con gli occhi che con le orecchie, skippando in modo schizofrenico da un genere all’altro sul telefonino, la sfida era di trovare il modo di catalizzare l’attenzione sul nostro nuovo disco. Inizialmente, stuzzicati dalla nostra etichetta Garrincha Dischi, abbiamo valutato diverse opzioni tra le quali anche quella di pubblicare solo singoli, ma siamo talmente legati al supporto fisico che non poter stringere tra le mani il frutto di mesi di fatica ci dava la sensazione di essere incompleti. I due EP sono stati la risposta adatta a dare più forza all’intero concept contenuto in tutto il lavoro. Inequilibio è la prima parte di un viaggio intrapreso alla ricerca di nuove forme che ci definiscano all’interno di una società che ha perso la bussola, che non sa più sognare il futuro e cercare nuove rotte.
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Per la realizzazione di questo lavoro avete collaborato con Olly Riva, che è un vostro amico di vecchissima data. Vi siete chiesti come mai non aveste mai unito musicalmente le forze prima d’ora? Anche il secondo EP lo ha visto coinvolto?
Con Olly ne parlavamo da tempo, ma per gli impegni di uno o degli altri non eravamo ancora riusciti a lavorare insieme tanto che, come battuta, ogni volta che ci si vedeva in giro ci dava il suo biglietto da visita ricordandoci che faceva il produttore! Poi finalmente ce l’abbiamo fatta ed è stato molto interessante lavorare con una persona che ci conosce così bene, e ha saputo valorizzare la nostra essenza. La collaborazione è riuscitissima, lo sentirete anche sul prossimo EP!
I vostri trent’anni di carriera si sono svolti in un momento storico in cui avete potuto vivere moltissimi cambiamenti, siamo passati dalla musica “fisica” incisa su vinile alla musica “liquida”. C’è qualcosa che rimpiangete della “vecchia scuola” e, al contrario, c’è qualcosa che sentite di aver “guadagnato” dalla rivoluzione digitale?
Oggi si parla molto di connessione riferendosi alla rete e ai social network, ma se prendiamo le stesse parole e le trasportiamo negli anni Novanta, assumono un significato diverso, dove per “rete” si intendeva la presenza di centri sociali attivi in tutta Italia e per “connessione” la possibilità di avere spazi di confronto e di cultura in ogni città. Andare ai concerti, partecipare, ci faceva sentire parte di un tutto che non ha confronti con la vita digitale di tanti giovani oggi. Non rimpiangiamo il passato ma cerchiamo di unire le possibilità che la tecnologia ci ha dato, e sono tante, in campo musicale prima tra tutte la registrazione dei dischi, con l’empatia che può nascere solo dalla frequentazione personale.
Oltre al modo di produrre e distribuire musica, è cambiata definitivamente anche la società in cui viviamo, e con lei gli argomenti affrontati, soprattutto da chi inizia adesso a fare musica, e le modalità espressive usate sul palco. Per quanto riguarda la scena punk italiana, esiste ancora con la stessa potenza degli scorsi decenni? Come si è trasformata?
Noi pensiamo che il punk sia un istinto, un’attitudine che si manifesta nelle diverse epoche con i mezzi espressivi del momento. Non sappiamo se le chitarre elettriche resisteranno all’evoluzione tecnologica, se i tamburi saranno la base su cui scatenarsi e ballare, ma siamo sicuri che qualsiasi strumento verrà usato in futuro, quell’atteggiamento, quell’urgenza, saranno la chiave per riconoscere i nuovi punk.
E per quanto riguarda il pubblico? Chi vedete di fronte a voi quando suonate live?
La nostra dimensione è quella del live e viene ricambiata dai fan facendo diventare i nostri concerti delle feste in cui la partecipazione, lo scambio di energia tra palco e pubblico, è la caratteristica che definisce i nostri show, ed è anche il motivo per cui ritornano a vederci. Negli anni la platea si è divisa in fasce dove i più giovani si scatenano sotto il palco e i nostri coetanei restano più indietro con la birretta in mano, spesso mentre guardano i figli pogare! Abbiamo un pubblico caldo e molto eterogeneo.
Parliamo del linguaggio visivo che avete usato per “Fermati e Respira” e “U-Soli”. Entrambe i video sono stati girati e diretti da Paolo Santamaria e possiedono una carica simbolica molto forte ed emozionante, da una parte c’è la figura di un pastore anziano, dall’altra i volti in primo piano di tanti bambini. Avete voglia di raccontarci brevemente qualcosa a proposito di queste due scelte?
Se pensiamo ai modelli imposti dalla società dei consumi, incentrata sulla produzione inarrestabile di un benessere che ha perso la sua spinta propulsiva trasformandosi in schiavitù, nelle città moderne che corrono senza posa ma che non si domandano più in quale direzione, e nelle persone che ci vivono, ci viene spontaneo cercare un’alternativa. “Fermati e Respira” è il nostro inno dedicato alla decrescita felice, alla necessità di ritrovare il tempo da dedicare alla propria vita in contrapposizione al modello imperante che ci vuole tutti consumatori di beni materiali invece che padroni della nostra esistenza.
Ad ispirarci “U-Soli” sono stati i nostri figli, con la loro innocenza e la facilità con cui riescono a smontare stereotipi razzisti, a dare importanza ai gesti, al carattere degli altri bambini e non alla provenienza. Sentiamo l’urgenza di ribaltare i falsi miti di chi odia per ignoranza, paura o, peggio, per interesse e vuole creare chiusure anacronistiche e pericolose, per lasciare alle nuove generazioni la possibilità di vivere nell’unica comunità possibile, quella di tutti gli abitanti di questo pianeta.
Ultima domanda, a chi decide di fare della musica il proprio mestiere oggi, cosa vi sentite di consigliare?
Di essere sinceri.
