Closure or Continuation? That is the question
Nel novembre 2021 i Porcupine Tree hanno annunciato la reunion dopo dodici anni di pausa in una formazione a tre e contemporaneamente han presentato il singolo “Harridan”, una vera e propria dichiarazione d’intenti volta ad anticipare l’album ‘Closure/Continuation’ uscito il 24 giugno 2022 attraverso la Music for Nations. Lo show di questa sera al Mediolanum Forum di Assago (Milano) sarà l’unica occasione per rivedere sul palco italico una band simbolo del rock progressivo e sperimentale degli anni ‘90. Per ripagare della lunga attesa ai fan italiani questa sera proporranno un lungo spettacolo, che presenterà in scaletta i nuovi brani del recentissimo album insieme ovviamente ai loro grandi classici.
La prima e unica volta che vidi i Porcupine Tree fu nel 2009 all’Alcatraz e con il successo che ebbero non avrei mai pensato che si sarebbero poi sciolti son sincera, e invece così fu purtroppo. Nel decennio successivo al loro ultimo tour, non c’era certamente alcuna speranza che la band sarebbe mai tornata, tanto meno avrebbe registrato un nuovo album, visto che il leader e deus ex machina della band, Steven Wilson, sembrava interessato solo alla sua carriera solista, peraltro molto fortunata. Ma eccoci qui questa sera in questo Forum gremito e sold out da tempo ad assistere ad uno spettacolo per cui, ve lo anticipo, ne è valsa la pena attendere.
I Porcupine Tree sono ormai orfani del bassista Colin Edwin il quale ha deciso di non partecipare a questo nuovo capitolo del gruppo, lasciando a Wilson il compito di registrare in studio anche tutte le parti di basso. Il trio inglese, supportato in sede live dal chitarrista/cantante Randy McStine e dal bassista Nate Navarro, si è esibito per quasi tre ore con una setlist di 20 canzoni che ha estratto brani dall’ampia discografia del gruppo oltre che, come già detto, dal nuovo album, fornendo un mix perfetto di materiale che avrebbe placato anche i fan più critici. Il loro desiderio di fornire un’esperienza completamente immersiva e coinvolgente è stato immediatamente reso evidente all’ingresso, poiché l’enorme schermo dietro la linea di fondo mostrava il messaggio: “Buonasera a tutti e benvenuti al concerto. Su specifica richiesta degli artisti, si prega di non fare uso del telefono cellulare durante lo spettacolo”. In effetti, la serata è stato ancora più piacevole senza la distrazione delle persone che puntano i loro smartphone sul palco per tutto il tempo. Molti più artisti dovrebbero palesare questo loro pensiero e volontà, visto che le persone spesso son più concentrare ad immortalare il momento e condividerlo sui social, piuttosto che godersi appieno l’esperienza di un Live che tanto ci è mancata negli scorsi anni.

Ad aprire la serata, alle h 20.30 puntuali come preannunciato dai social negli scorsi giorni, ci pensa “Blackest Eyes” dal riuscito album del 2002, ‘In Absentia’: brano apertamente melodico che mostra subito due facce differenti della stessa medaglia, che si ritrovano spesso nelle loro canzoni, ovvero un armonioso giro di accordi acustici che accompagna la voce pulita e riecheggiante di Wilson all’interno di un guscio più duro, che ne affida apertura e chiusura ad un riff di stampo decisamente metal. Ci immergiamo poi nelle prime tre tracce della loro ultima uscita: una linea di basso potente e instabile introduce la labirintica “Harridan“, la complessa melodia malinconica di “On The New Day” e la fieramente prog “Rats Return”, con i suoi incastri e folgorazioni ritmiche che hanno entusiasmato tutti gli amanti del genere accorsi questa sera e che rappresentano il marchio di fabbrica del combo inglese. Da questo punto in poi, è stato un mix di nuove canzoni e classici tra cui “Even Less“, “Drown With Me“, “The Sound of Muzak” e “Last Chance to Evacuate Planet Earth Before it is Recycled“. Quest’ultimo è stato tra i momenti salienti del set, poiché la band ha suonato l’epica sezione strumentale mentre sullo schermo veniva riprodotto un video della narrazione del testo, effetto visivo molto presente nel loro show con una resa davvero meritevole, perché si sa anche l’occhio vuole la sua parte, e l’unione dei sensi vista e udito questa sera ha davvero raggiunto l’apice. Menzione particolare per l’acustica e sognante “Dignity“, brano molto melodico con un grande uso di suoni evocativi creati dalle tastiere di Barbieri. A chiudere la prima parte il frenetico vortice di “Chimera’s Wreck”, con la sua alternanza fra quiete e ritmo, forse il brano più significativo del loro ultimo album e sicuramente una delle preferite dai fan in sede live. Dopo una pausa di circa 20 minuti, a riaprire le danze nella seconda parte dello show la title track dell’album “Fear of a Blank Planet”, seguita a stretto giro all’inquietante “Buying New Soul”, con armonie vocali di Randy McStine e Steven Wilson particolarmente potenti e incisive. Da sfondo a questi pezzi vediamo immagini a rappresentare i testi molto potenti delle loro canzoni che parlano di innocenza infantile estirpata nonché dei disturbi comportamentali che affliggono i ragazzi del ventunesimo secolo, come la bipolarità o il disturbo da deficit di attenzione/iperattività e di come l’avvento di internet ed il sovraccarico di informazioni causato dai mass media spingano gli adolescenti a rifugiarsi nelle droghe e a rinchiudersi nelle loro camere come segno di ribellione ad una società di cui non sentono di appartenere ancora. Wilson lo vedremo alla tastiera per le successive due canzoni: “Sentimental” e “Walk the Plank”, in cui il canto che sembra come sospeso nel nulla si muove su un tappeto di suoni elettronici un po’ inquietanti a tratti futuristici. In questi minuti che scorrono fluidi l’intensità è salita sempre più di livello fino a raggiungere il climax con il trittico finale: “Herd Culling”, dall’inquietante intro Son, go fetch the rifle now/I think there’s something in the yard con il suo incedere ostinato ed esplosioni metalliche ad introdurre l’epica “Anesthestize” e a chiudere l’angosciante “Sleep Together”.

Dopo aver proposto la solita manfrina della finta fine del concerto, com’era logico che accadesse, la band risalita sul palco pochissimi istanti dopo accolta da applausi mai finiti, sfoggia le carte migliori e va a pescare nel passato più lontano ma glorioso. In “Collapse the Light Into Earth“, ritroviamo Wilson alla tastiera in centro al palco immerso in una luce violacea e un cielo di stelle sullo sfondo riproposto poi live con i flash dei cellulari (per questo motivo va benissimo usarli) dei migliaia di fan accorsi da ogni dove in questo Forum gremito a creare un’atmosfera magica e surreale di luci scintillanti; la texture disturbata annuncia “Halo” con il suo solido, ciclico basso di stampo britannico e la quasi subitanea ampiezza vocale a proporci varie definizioni di un Dio scritte a caratteri cubitali sullo schermo alle loro spalle: God is freedom, God is truth, God is power, God is proof, God is fashion, God is fame, God gives meaning, God gives pain. A voi la scelta di quella che preferite, non vi dirò la mia. E, naturalmente, per chiudere in bellezza, l’ennesimo e ultimo viaggio fisico-mentale della serata con la melodia psichedelica di “Trains” che ci accompagna verso l’uscita e manda tutti a casa con un po’ di nostalgia che il tutto sia davvero finito. Non si può certo dire che il gruppo si sia risparmiato: sono le 23.20 circa e i cinque musicisti inglesi, ineccepibili da un punto di vista tecnico e scenografico, han suonato quasi tre ore senza perdere un colpo ne annoiarci. Tuttavia, bisogna riconoscere che nelle corde dei Porcupine Tree non c’è la creatività e l’originalità di altri gruppi loro contemporanei a cui troppo spesso rimandano le loro sonorità, uno su tutti i Tool che personalmente adoro e ritengo maestri indiscussi di questo genere.
A onor del merito dobbiamo riconoscere che durante lo show di questa sera, Steven, non si è limitato ai sussurrati grazie del passato, ma ha parlato spesso e sembrava davvero godersi lui per primo la serata immersa in un’elettricità che si poteva sentire fisicamente tagliare la folla di fan accorsi per rivedere l’albero del porcospino, che non punge affatto, anzi, accarezza l’animo con le sue atmosfere multicolori come le foglie che cadono in questa stagione (concedetemi la metafora naturalistica). Forse il decennio lontano dalle scene è stata una buona cosa in quanto la band sembra aver ritrovato la gioia di suonare insieme e l’armonia di un tempo, apportando una dose di calore in più a livello di comunicabilità con il pubblico alla faccia di chi ha sempre considerato gli inglesi poco comunicativi e distanti. Una band può fare ottima musica pur camminando sulle sue stesse impronte, e i Porcupine Tree con il loro album di ritorno l’hanno sicuramente dimostrato.
Il mondo della musica è migliore riavendo l’albero del porcospino a dare ossigeno. Speriamo tanto che questa sia una continuazione e non certo una chiusura.
PORCUPINE TREE – la scaletta del concerto di Milano
Parte 1
1. Blackest Eyes
2. Harridan
3. Of the New Day
4. Rats Return
5. Even Less
6. Drown With Me
7. Dignity
8. The Sound of Muzak
9. Last Chance to Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled
10. Chimera’s Wreck
Parte 2
11. Fear of a Blank Planet
12. Buying New Soul
13. Walk the Plank
14. Sentimental
15. Herd Culling
16. Anesthetize
17. Sleep Together
Encore
18. Collapse the Light Into Earth
19. Halo
20. Trains

Italo
25/10/2022 at 13:46
Nessuno parla dell’acustica terribile del Forum a cui i tecnici non sono stati capaci a porre rimedio, anzi, ne hanno amplificato l’effetto “impastato” e saturo alzando I volumi a dismisura? Soprattutto basso e grancassa, che sovrastavano tutto e creavano rimbombi e vibrazioni fastidiosissimi. Così non si riesce a godere alcun concerto. Ingiudicabili! Saluti