Articolo di Roberta Ghio | Foto di Giorgia De Dato
Poche settimane dopo l’uscita di Doom Days, il loro terzo album, arrivano al Fabrique di Milano i Bastille, per la loro unica data italiana. La serata non è delle migliori e raggiungere il locale di Via Fantoli è un’impresa, visto l’improvviso e violento temporale che si abbatte sulla città nell’orario di punta, cogliendo molti, me per prima, impreparati. Fortunatamente riesco ad arrivare in tempo per riuscire a godermi qualche brano di Martæ, al secolo Marta Boraso, giovane cantautrice e chitarrista, che insieme ai suoi musicisti, incanta il Fabrique per talento, grazia e bellezza, proponendo i suoi brani dal sapore pop ricercato.
Il cambio palco è uno dei più frenetici cui abbia mai assistito e mi richiama l’immagine (vista purtroppo solo in TV) dei meccanici ai box della Formula 1, tanta è la perfetta coordinazione e frenesia cui assisto. Mano a mano che la scenografia prende forma, mi sembra incredibile quanta “attrezzatura” riesca a stare su quel palco, dove spiccano in particolare una scala molto alta e due pedane, oltre ovviamente agli strumenti. Il tempo di qualche sguardo qua e là verso un pubblico principalmente under trenta (con le dovute eccezioni), quando il cambio luci fa nascere uno spontaneo urlo di acclamazione per Dan Smith e soci. Il live, così come Doom Days, è un percorso nella notte, suddiviso il tre atti. La scenografia, grazie a proiezioni visual, richiama un appartamento metropolitano, col particolare di una grande finestra con tende spesse che affaccia sulle luci di una città in fermento. Il passare delle ore è scandito da un orologio, che ci segnala le diverse fasi del viaggio notturno, viaggio che non può che iniziare a mezzanotte e un quarto! È con Quarter Past Midnight infatti che, dopo l’intro soffice di voce e tastiere, con un salto (il primo di tanti) Dan Smith fa esplodere il Fabrique. E non ce n’è più per nessuno.
Pochi secondi e capisco di cosa stiamo parlando: energia allo stato puro. Qualche telefono in aria c’è, ma quello che vuole il pubblico non è riprendere, ma vivere la serata a piena voce, pieni salti, piena vitalità: ogni pezzo è cantato e vissuto con totale partecipazione. Dan è un mattatore straordinario, sempre in continuo movimento: salta, corre da una parte all’altra del bordo palco, cammina in senso opposto sulla pedana rotante che spesso usa come trampolino, suona il tamburo, incita il pubblico (come se ce ne fosse bisogno) il tutto in una maniera istintiva e appassionata. Sul palco, i suoi compagni e amici musicisti non si fanno distrarre da tutto questo movimento, statuari e prestanti, rendono ancora più potente la musica dei Bastille, che non è identificabile in un genere preciso: la critica la definisce pop cinematografico o rock alternativo, ma sono molteplici le tinte che si trovano nei brani, dalle più scure, a quelle gospel passando per R&B; non mancano tuttavia sperimentazioni elettroniche, synth e house music. Su Send Them Off! – brano di qualche anno fa, secondo in scaletta – la situazione è già più che calda, Dan si presenta e in italiano si scusa, dicendo di non conoscere bene la nostra lingua (ho parafrasato!). Non serve tuttavia una lingua comune o un traduttore per creare la connection con il pubblico, è sufficiente l’energia palpabile presente in sala. Con The Waves riprendiamo le forze, ma se il brano è a tutti gli effetti un lento, questo non impedisce a Smith di viverne le parti più ritmate con cadenzati salti hip hop. Passando di ritmo in ritmo, un intro languido di chitarra elettrica accompagna Dan sulla cima della scala dove, seduto, con alle spalle una luna piena dai colori arancioni, si interroga sulla doppia natura dell’uomo con la cupa ballad Two Evils, brano in cui ci conferma la sua capacità ed estensione vocale, che dai toni più profondi si spinge verso quelli più alti.
I battiti riprendono alti con Happier e il primo atto si conclude con Flaws cantata tra il pubblico, in un giro di sala durante il quale, nonostante la calca dei fan (desiderosi di un contatto o una vicinanza con lui), Smith non perde una nota. Risalito sul palco, un abbassamento delle luci e la scritta sul video wall Act 2: Those Nights accompagnato da una base elettronica, annuncia il secondo atto, che dopo un intro minimale di tastiere e sintetizzatori, si apre con Those Nights, cantata da Dan mentre è sdraiato su un divano che ruota e questo movimento, unito alla sua gestualità, rafforza un certo senso di inquietudine. A seguire Doom Days che dà titolo all’album. Termina il set la massiccia Blame. Ci si avvia al terzo atto, quello conclusivo, The Morning Doesn’t Reach Us. Arriva il mattino, con Joy, leggera, che porta un po’ di speranza alla fine del buio, ma anche se siamo arrivati alle luci dell’alba, il live non è ancora terminato e ci scateniamo con la tonante e incalzante Laura Palmer, che ai tempi della sua uscita ci confermò la passione di Smith per David Lynch e Good Grief. Si gioca e si balla su Of the Night, che riprende e rivede in chiave Bastille un brano simbolo della dance di quelli della mia generazione, ovvero The Rhythm of the Night dei Corona, durante il quale veniamo coordinati da Smith che, come un coreografo, ci fa abbassare per poi saltare a braccia alzate e ballare tutti insieme. Richiamata a gran voce, il live termina con il grande successo Pompeii, un vero tripudio.
Fuori ci aspetta la notte, c’è chi si ferma per un panino, chi si affretta verso la macchina, chi verso il tram. Ma – rifletto – non è ancora mezzanotte… tutto potrebbe nuovamente ricominciare!
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BASTILLE – La setlist del concerto di Milano
Act 1: Still Avoiding Tomorrow
(Intro)
Quarter Past Midnight
Send Them Off!
The Waves
Things We Lost in the Fire
Another Place
Two Evils
Happier
Nocturnal Creatures
Warmth
Flaws
Act 2: Those Nights
(Weapon)
Those Nights
Bad Blood
Doom Days
Blame
Act 3: The Morning Doesn’t Reach Us
(I Can’t Remember)
Joy
Laura Palmer
Good Grief
Of the Night
Million Pieces
Pompeii
