Articolo di Roberta Ghio | Foto di Roberto Finizio
Mi faccio largo verso la transenna per prendere la scaletta, a ricordo della serata. Provo ad attirare l’attenzione di uno dei roadies di Little Steven and The Disciples of Soul, mentre è intento ad arrotolare dei cavi. È appena terminato il live all’Alcatraz di Milano del Summer of Sorcery Tour 2019. Le luci si sono riaccese da diversi minuti, la sala si sta avviando all’uscita, qualcuno è già fuori quando… Stop alla musica di sottofondo. Rientrano!
I discepoli e Steve sono nuovamente sul palco, per un fuori programma, una chicca: I dont’t want to go home! E leggo in quel regalo, un gesto di gratitudine di Artisti – con la A maiuscola – verso un pubblico che per tutto il live non si è risparmiato, che ha sostenuto, con voce e braccia, un concerto strepitoso! Ma torniamo a qualche ora prima, quando un locale popolato da maglie di Bruce Springsteen alternate ad outfit da ufficio, è in attesa del primo ingresso sul palco, che è stato tutt’altro che in sordina. Sì perché mentre chitarre, batteria e percussioni attaccano le prime note di Communion, vediamo entrare in parata i fiati: uno via l’altro affrontano un giro di palco come una marching band, capitanati da tre bellissime coriste, che indossano pantaloni color viola a zampa, top variopinto in paillettes e piume (in pieno stile anni ’70) e scandiscono il ritmo sventolando ombrellini dai colori accesi.
Dulcis in fundo lui, Steven Van Zandt, Little Steven, che con la bandana d’ordinanza e quel sorriso tra il sornione e l’ammiccante, si gode l’affettuoso benvenuto del locale di via Valtellina, ormai gremito. Un inchino ai suoi discepoli del soul e Communion, brano tratto dall’ultimo album Summer of Sorcery, prende corpo, accolto da una sala già calda, sorridente e a braccia alzate. Il tono della serata è chiaro. Una festa. Il palco è in continuo movimento, non solo per le coreografie funky delle coriste, rese ancora più piene dall’ondeggiare della folta capigliatura riccia, ma anche per il gioco dei fiati e il loro costante movimento ritmico e preciso, da farmi pensare ad un metronomo. Il tutto arricchito dal battere di percussioni e dall’alternarsi a centro palco del discepolo di turno, a duettare con Stevie o direttamente a rubarne la scena. A coronare ed amalgamare il tutto, un semplice, ma efficace gioco di luci a tinte calde. Una festa appunto, ma anche un viaggio nel sound degli anni ’50 e ’60, in quel black&white che si fonde per essere una cosa sola e si fa raggiungere, senza stonature, dal ritmo latino. E via così, con la potente Camouflage of Righteousness e l’ancheggiante, ricca di assoli di fiati e percussioni, Party Mambo! in cui Steven ci mostra – non so con quanto successo – le sue doti di ballerino. Dopo questo tris di sound, Love Again, introdotta da un pensiero di amore da parte di ognuno dei discepoli, in cui emerge il sentire di un passato, presente e futuro che si fondono insieme, mood che porto con me per tutta la durata del concerto.
In quel tripudio di strumenti, spunta a sorpresa una moderna keytar, durante Education, brano dedicato agli insegnanti presenti in sala, con l’accorata raccomandazione “il futuro è nelle vostre mani!”. La simpatia di Van Zandt è contagiosa, per la sua mimica facciale e per il suo modo di intrattenere il pubblico con divertenti aneddoti o bizzarre considerazioni, condite con slang italiano, come la deduzione “logica” secondo la quale il suo album non esisterebbe senza la California: “Senza California non ci sarebbe Los Angeles, senza Los Angeles non ci sarebbero i Beach Boys, senza i Beach Boys non ci sarebbe l’estate e senza estate non potrebbe esistere Summer Of Sorcery! ‘Capisscc’’? Così diciamo in New Jersey!!!” per poi chiedere al “Professor” Lowell “Banana” Levinger di introdurre On Sir Francis Drake de The Youngbloods. Ritmo, colore, simpatia… ed esplosioni, come in Los Desaparecidos che anticipa un tris di cover di Southside Johnny, accolte da un pubblico che si sente ad Asbury, totalmente prigionieri dell’amore e del rock’n roll. Chi sa le parole, canta, chi non le sa, partecipa lo stesso, con battimani o con cori tenuti con tanta passione da costringere una stupita e divertita band, a brano terminato, a riprendere Love on the Wrong Side of Town per ancora un paio di strofe. Il calore in sala lo puoi toccare. Picco di sensualità che ci avvolge su Suddenly You, per poi essere scaraventati sulle strade di un poliziesco anni ’70, con tanto di sirene della polizia che annunciano Vortex. Dopo la reggae I Am A Patriot, la divertente e cantatissima Bitter Fruit. Instancabili. Loro e noi. Il primo momento di “calma”, se così si può definire, lo troviamo quasi sul finale, con Summer of Sorcery, iniziata in assolo di chitarra acustica da Van Zandt, che viene poi raggiunto dagli altri strumenti. Ma la calma dura poco, un attimo dopo siamo con le gambe e la testa nel Soul Power Twist per poi urlare, a mo’ di botta e risposta, la nostra partecipazione a suon di “I – I – I – I … Ain’t gonna play Sun City!”. Sun City appunto, brano di metà anni ’80 scritto da Van Zandt per sensibilizzare l’opinione pubblica contro l’apartheid. Termina il live Out of the Darkness. Ah no! Termina il live il regalo.
In effetti non vogliamo andare a casa, è dura ritornare per le strade di Milano dopo un’immersione di quella portata, in un mondo di sonorità così lontane nello spazio e nel tempo, ma sempre vive, presenti, pulsanti. Pochi tra il pubblico hanno visitato Asbury Park, nessuno credo sia mai stato all’Upstage, ma è lì che eravamo ieri sera, è lì che ci hanno portato i discepoli del Soul. Ad esempio, io ero sul palco. Nel mio sogno rock, ho la splendida voce, il sorriso smagliante e il ritmo naturale di Jessie Wagner, canto e ballo, mentre Steve è impegnato in uno dei suoi assoli di chitarra, in un rock’n roll party memorabile. E voi dove eravate?
Clicca qui per vedere le foto di Little Steven a Milano (o sfoglia la fotogallery qui sotto).
Little Steven – La setlist del concerto di Milano
Communion
Camouflage of Righteousness
Party Mambo!
Love Again
Education
On Sir Francis Drake
I Visit the Blues
Gravity
Los Desaparecidos
Little Girl So Fine
Trapped Again
Love on the Wrong Side of Town
A World of Our Own
Suddenly You
Vortex
I Am a Patriot
Superfly Terraplane
Bitter Fruit
Forever
Summer of Sorcery
Soul Power Twist
Sun City
Out of the Darkness
I don’t want to go home

Fabio
14/06/2019 at 22:38
Ciao Roberta!!!
È vero il mood di Love again era pazzesco!
Ieri steven mi ha rapito, mi ha fatto volare tra i ricordi delle mie 52 primavere mi ha dato u a energia fatta di nostalgia ricordi dolcezza amore ma proiettata nel futuro.
mi ha commosso. Avevo le lacrime in alcuni momenti e la bocca aperta come un bimbo stupito. Avrei voluto abbracciarlo.
dura tornare fuori ieri…
nessuno voleva tornare a casa
lui si è speso tutto Con quel suo cuore grande.
ecco perché lo ammiro e perché mi piace da pazzi.
Perché è vero.
Reale. Vivo. Pazzo. Ama il mondo e le persone.
Grazie x il tuo articolo che mi ha permesso di buttare giù i miei pensieri.
🙂
fabio
Stefano
15/06/2019 at 12:29
Grazie per il bellissimo racconto che mi ha fatto rivivere uno splendido viaggio attraverso gli States e la storia della musica (non solo Rock).
Dalle prime note di Communion con la parata stile New Orleans al bis a sorpresa il concerto è stato un vortice di emozioni.
Stefano