Intervista di Filippo De Dionigi | Foto di Claudia Mazza
Ciao Jerry, prima di tutto, come stai? Come sta andando il tour? Com’è tornare in Italia?
Il tour sta andando alla grande e siamo felicissimi di tornare in Italia.
Qui abbiamo fatto sempre dei grandi show, il pubblico è sempre molto carico ed energico, per cui è un grande piacere essere di nuovo qui, amiamo questo paese.
Sei mai stato invece in Italia ma in vacanza?
No, non ancora, ma ci verrò.
Con la mia famiglia stiamo pensando di venire in Europa, ma partendo dal Regno Unito e Parigi.
Parliamo ora di musica. In tutta la vostra discografia, da Infest a Who Do You Trust, non c’è a mio avviso un album che suoni come quello precedente o quello successivo, ognuno ha un suo suono proprio ed identificativo. Questa evoluzione è stata dunque spontanea, istintiva oppure più studiata, magari con un occhio all’evoluzione del mercato musicale?
Noi siamo sempre stati in evoluzione, anche prima dell’uscita di Infest.
Spesso dipende da quello che stiamo ascoltando nel momento in cui scriviamo, dalle influenze che caratterizzano quel preciso momento.
Da Crooked Teeth però abbiamo deliberatamente deciso di discostarci dai classici producer di musica rock a favore di persone al di fuori da questo mondo con quindi un differente approccio al songwriting, alla scelta dei suoni, alla produzione e così via.
Sai, alla fine non è che noi ascoltiamo solamente rock, siamo anche fan di musica pop.
I Miike Snow ad esempio pensiamo siano una band fighissima, sono pop ma allo stesso tempo scrivono canzoni con una bella sostanza ed interessanti, musicalmente parlando.
Detto questo, ci siamo incontrati con i producer Colin Brittain e RAS (Nicholas “RAS” Furlong, n.d.r.) con l’idea di scrivere giusto una o due canzoni. Poi però ci è piaciuta così tanto l’esperienza che abbiamo deciso che loro sarebbero stati i produttori dell’intero album! Loro sono più giovani di noi e sono cresciuti ascoltando i Papa Roach da quando erano ragazzini. Ci hanno sempre seguito e hanno voluto farci tornare all’energia che avevamo in passato: stare con loro ci ha fatto sentire ancora quell’energia di quando eravamo più giovani e non ci interessavano cose come scrivere una hit o il parere delle radio.
E’ stato davvero liberatorio e ci ha aiutato molto tornare a sperimentare.
Quindi in fin dei conti ti direi che l’evoluzione c’è sempre stata, ma l’aver preso una direzione più pop ed elettronica con produttori appartenenti a quel mondo è stata sicuramente una scelta cosciente e studiata, volevamo creare qualcosa che avesse da una parte gli elementi classici dello stile dei Papa Roach ma allo stesso tempo anche una produzione più moderna.
Qual è la tua canzone preferita di Who Do You Trust e perchè?
Al momento la mia canzone preferita è Not The Only One.
E il motivo penso sia perchè all’inizio, quando mi sono messo a scrivere l’intro, non ne ero convinto, non mi piaceva, non mi sembrava potesse suonare in stile Papa Roach.
Quel riff era, tra l’altro, ispirato da Song 2 dei Blur, brano che in quel periodo suonavamo durante il tour.
Eravamo in studio e Jacoby insieme ai producer dicevano “hey, dovremmo proprio scrivere qualcosa che suoni come quel pezzo!”… a quel punto, se non ricordo male, è stato Tobin che ha iniziato a buttare giù quel riff.
Poi sai, noi abbiamo una politica: non cassare nessuna idea all’istante ma lasciarla libera di crescere e svilupparsi.
Quindi ho lasciato fare ai miei compagni finché sono arrivati ad un punto in cui c’era bisogno di comporre una nuova parte per quel riff.
A quel punto ho ribadito il fatto che a mio parere quel pezzo non stava suonando come avrebbe dovuto, che non suonava come suoniamo noi e, per tutta risposta, i ragazzi mi hanno detto “ok, bene, allora scrivi tu la prossima parte, falla suonare come noi!”.
Quindi mi sono messo sotto, ho iniziato a scrivere mentre gli altri ascoltavano fuori dalla sala e, ad un certo punto, quando ormai avevo la parte i produttori sono entrati dicendo “ok, ce l’abbiamo, registriamola!”.
Quindi l’abbiamo registrata, abbiamo iniziato a mettere insieme tutte le parti, ascoltarle e, non so per quale strana ragione, tutto iniziava a funzionare!
Da sole le singole parti non sembravano poter dialogare bene insieme, ma alla fine una volta unite tutto ha avuto un senso.
Poi il brano può piacere o no, questo non è un problema per me, però è figo vedere come le persone che l’hanno sentito per la prima volta in un primo momento abbiano pensato “cosa?!” e poi, man mano che entravano nel mood, abbiano apprezzato il risultato. Tra l’altro è anche molto divertente da suonare dal vivo!
La suoneremo anche stasera.
Parliamo ora invece del fenomeno Spotify e del concetto di “musica liquida”. Cosa ne pensi? Utilizzi le piattaforme digitali per ascoltare/comprare musica o magari rimpiangi i vecchi tempi con CD e vinili?
Ti direi entrambe le cose.
All’inizio Spotify era una cosa molto strana, c’è voluto del tempo prima che venisse accettata e si capisse come gli artisti potessero guadagnare veramente da quel tipo di piattaforme.
Però poi ovviamente, man mano che l’industria si è evoluta, è diventato normale, e tutti abbiamo iniziato ad usarlo, ad ascoltare e condividere musica attraverso quel mezzo.
Tuttavia mi piace molto usare non tanto i CD quanto i vinili al momento, amo l’esperienza fisica che offrono, il fatto che tu debba sederti, che la musica non rimanga come un qualcosa di sottofondo ma sia una colonna sonora che ti ascolti con attenzione dall’inizio alla fine. Mi piace molto questo tipo di rituale.
Ultima domanda. Sappiamo che oltre ad essere un musicista hai un’altra grande passione, quella della fotografia. Porti le tue fotocamere in tour? Riesci a ritagliarti del tempo per scattare fotografie?
No, a questo giro non ho portato nulla con me perché durante la stagione dei festival è molto difficile staccare da tutto e uscire a scattare. Forse dovrei…
Al momento ho una Canon EOS 6D (digitale), che uso abitualmente, ed anche una Leica analogica che però non uso moltissimo. Uso più che altro le lenti Leica su corpi Canon attraverso un adattatore.
Amo molto però scattare in pellicola, ti porta a focalizzarti di più sullo scatto, sulla composizione, e così via.
Ho diversi scatti a pellicola sul mio profilo IG come fotografo, instagram.com/jerryhortonphotos
La pellicola ha ancora qualcosa che il digitale non riesce ad ottenere… si cerca di emulare digitalmente le fotografie analogiche ma manca sempre qualcosa, c’è proprio un feeling diverso.
Ho anche amici che militano in altre band che sono anch’essi fotografi oltre che musicisti, ad esempio Randy (David Randall Blythe, n.d.r.) dei Lamb of God, lui è pazzesco, dovresti darci un occhio!
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