Articolo di Matteo Pirovano (Milano) | Foto di Emanuela Vigna (Bologna)
Avete presente quella sensazione provata nell’andare al concerto di un artista a voi semisconosciuto e ritrovarvi poi a canticchiare pezzi interi di canzoni manco fosse uno tra i vostri autori preferiti?
A me ogni tanto capita, stasera al concerto degli Irlandesi Kodaline in modo rilevante.
Si, perché i Kodaline hanno costruito la loro carriera a suon di singoli commercialmente impeccabili, e le loro canzoni le avete sentite potenzialmente ovunque, in auto alla radio, in tv in qualche episodio della vostra serie preferita, al supermercato durante la spesa mentre distrattamente cercavate di scegliere tra un’etichetta di vino o l’altra.
Se poi aggiungiamo il fatto di essere enormemente derivativi di altre band, il quadro è completo.
Il quartetto capitanato da Steve Garrigan implora da tempo la stampa di non accostarli ai Coldplay, ma non si può proprio evitarlo perché le atmosfere della band di Chris Martin riecheggiano significativamente nei pezzi dei Kodaline, composizioni nelle quali si percepisce anche l’amore per Keane, Muse e Radiohead nei passaggi più elettronici.
Questa mia introduzione farebbe pensare ad una recensione negativa del concerto tenuto all’Alcatraz nella giornata di lunedi, prima di due tappe italiane che ha visto i Kodaline esibirsi ieri all’Estragon di Bologna, ma così non è.
Il concerto è stato estremamente divertente e il pubblico lo ha adorato, cantando a squarciagola per tutto la durata del set ogni singola parola.
Due parole vanno spese proprio sul pubblico. E’ innegabile che la maggior parte degli accorsi fosse molto giovane e di sesso femminile, soprattutto le prime file, ma dando un’occhiata alle retroguardie, assiepato in zona mixer, si poteva scorgere un pubblico differente, più adulto, che allontana sensibilmente la band dall’idea che ci si potrebbe fare di essa.
I Kodaline sono una ventata d’aria fresca e una scommessa per il futuro, hanno preso i primi Coldplay svecchiandoli di quella fastidiosa patina ormai ingiallita, coniugandoli con una fine ricerca della melodia e un gusto del ritmo tutto loro, scadendo talvolta nella scelta più scontata, va detto, ma sono giovani e con basi eccezionali.
Ci si aspettava tanto dal loro secondo disco, storicamente il più difficile da comporre, soprattutto quando arrivi da un mega successo all’esordio, e a parer mio hanno parzialmente fallito.
Gli era richiesto a gran voce di discostarsi dai modelli sopra citati, ma è stato fatto, purtroppo, solo in parte.
La scaletta dell’Alcatraz si è equamente divisa tra i due album sino ad oggi prodotti.
Dalla batteria della trascinante “Ready” alla conclusiva, acclamatissima, “All I want” sono stati molti gli highlights di serata, tra i quali vanno citati l’intro pianistico di “One day”, le atmosfere vagamente Radiohead del nuovo corso intrapreso con “Lost”, i cellulari accesi e alzati al cielo durante l’esecuzione di “The One” (dal verso finale riadattato con “I love Milan” anziché “I love the one”), una coinvolgente versione armonica / ukulele della tipicamente Irish “Love like this” (durante la quale Steve sbaglia l’attacco vocale). Per il primo bis viene scelta una cover, “Billy Jean” , che per limiti anagrafici delle prime file passa un po’ in sordina.
Una prova nel complesso incoraggiante per una band che si troverà presto ad un bivio, continuare a cavalcare l’onda del successo commerciale, sebbene poco originale, intrapreso col secondo album o utilizzare un talento che pare cristallino per sfidare i propri limiti e quelli di un mercato forse ostile ad un loro cambiamento.
KODALINE – scaletta Milano – 22 Febbraio 2016
Ready
Way Back When
One Day
Lost
High Hopes
Autopilot
Brand New Day
The One
Love Like This
Coming Alive
All Comes Down
Honest
Love Will Set You Free
– – – – – – – –
Billy Jean (Michael Jackson)
Everything Works Out in the End
Big Bad World / Talk / Perfect World
All I Want
