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Reportage Live

JETHRO TULL live a Milano: il ritorno del menestrello Ian Anderson

Con il suo flauto magico, lo storico frontman dei Jethro Tull ieri sera ha stregato il pubblico meneghino.

Articolo di Chiara Bernini

L’acqua blu di un profondo mare si muove sinuosa in un continuo moto quasi ipnotizzante quando all’improvviso affiora un braccio che, stringendolo saldamente in pugno, fa emergere un lucido flauto traverso. Nel teatro scoppia una risata. È il simpatico siparietto che Ian Anderson e soci hanno riservato al pubblico meneghino accorso ieri sera al Teatro degli Arcimboldi per assistere al concerto sold out dei Jethro Tull.

La presenza sul palco lombardo dello storico gruppo prog rock non è un caso. Reduci da altre due date sul territorio italiano – una a Roma e l’altra a Bologna –, i Tull sono infatti impegnati in un tour celebrativo per i cinquant’anni di carriera della band… O meglio di Ian Anderson. Considerando che nel corso del tempo gli altri strumenti sono stati imbracciati e suonati da oltre trenta turnisti, alternatisi tra loro per le ragioni più disparate.

Anderson, dunque, come perno saldo. Unico membro originale della formazione del ‘67, lo scozzese è incaricato di portare sui palchi del mondo l’eredità intramontabile delle contorte sonorità folk e celtiche dei Jethro Tull. Sound segnato, del resto, dall’inconfondibile impronta giullaresca del flauto traverso, strumento suonato dallo stesso Anderson e divenuto nel tempo un autentico marchio di fabbrica.

Ian quindi come protagonista indiscusso. E lo si è notato anche ieri sera già a partire dalle ferree regole imposte al pubblico. “Il Sig. Anderson non gradisce i flash e le luci del telefono. È pertanto vietato fare foto e video finché sullo schermo non vi verrà indicato diversamente”, si sente riecheggiare in teatro. Una severa disposizione che certamente ha trovato il consenso della platea, rimasta diligente per quasi tutto lo spettacolo. L’obiettivo? Allontanarci dalla distrazione degli smartphone per farci riflettere sulla vita. (e mettendoci nei panni di Ian abbagliato dai flash dei telefonini, visto che ogni due per tre dal palco partivano delle fastidiosissime luci accecanti. Ah l’humor dei britannici…)

Le quasi due ore di spettacolo, intervallate da un break di 15 minuti, sono state un viaggio lungo tutto il mezzo secolo di vita della band, mantenendo come filo conduttore lo sguardo critico su un mondo sempre più malato.

Foto Credits Will Ireland

Così, i Tull fondono brani presenti e passati, toccando temi ferocemente attuali. Dalla discussione sull’uso della bomba atomica descritta in Mrs Tibbets. Passando per le immagini di Trump, Kim Jong-un e Putin nel recente brano The Zealot Gene, in cui Anderson denuncia l’uso malsano dei social media da parte dei leader populisti. Toccando poi temi religiosi con Mine is the Mountain, dove i Tull fanno riferimento a un “Dio troppo occupato per darci retta”. Fino ad arrivare al canto straziato di Dark Ages. Un brano del 1979 che, attraverso la proiezione sul mega schermo di immagini della devastazione degli ecosistemi, risuona profeticamente nel teatro, ammonendo l’umanità intera.

Nonostante l’eccellente maestria degli altri quattro componenti, sul palco, Ian è certamente la figura di spicco. “Non chiamatelo nonno”, aveva ammesso Rolling Stone in un recente articolo dedicato proprio ad Anderson. Effettivamente, a un primo sguardo superficiale, il musicista scozzese pare un normale settantacinquenne. Veste dei normalissimi jeans e una semplice t-shirt bianca sormontata da un gilet nero. È però sulle prime note di Cross-eyed Mary che l’artista rimanda al mittente l’etichetta di “anziano”, dimostrando di possedere l’energia di un adolescente sia in corpo che nel fiato.

Tra un brano e l’altro, infatti, il pubblico divertito guarda Ian dilettarsi in virtuosismi con il suo adorato flauto mentre, saltellando, assume l’iconica posizione da menestrello. Una fine arte dell’ intrattenimento che ammalia gli spettatori, culminando nella performance di Bourée, per la gioia dei presenti. I fan però possono portare a casa un piccolo ricordo di Ian-giullare solamente sulle note di Locomotive Breath, ultimo brano in scaletta, quando, tolto finalmente il divieto di fare foto, Anderson dà il meglio di sé.

Certo, rispetto a qualche decennio fa, lo scozzese è più acciaccato. Anche la voce non è al massimo, venendo spesso sovrastata dalla musica. Ma hey! Ricordiamoci che siamo di fronte a un artista che ha fatto la storia di un intero genere musicale e che è affetto dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva. Un disturbo quasi impronunciabile che essenzialmente affligge bronchi e polmoni, rendendo più difficoltosa la respirazione. 

Insomma, essere il frontman DELLA band prog rock per eccellenza. Suonare quasi ogni sera per due ore dal 1967. Cantare, ballare e suonare il flauto. Il tutto mentre si hanno settantacinque anni e una malattia respiratoria, non può che rendere Ian Anderson il vero Highlander. Altro che Mel Gibson, con buona pace dei cinefili… 

Foto Credits Assunta Opahle

JETHRO TULL – la scaletta del concerto al Teatro degli Arcimboldi di Milano

Nothing is Easy
Cross-eyed Mary
With You There to Help Me
Sweet Dream
We Used to Know
Wicked Windows
Holly Herald
Clasp
Mine Is the Mountain
Bourrée in E minor

(Intervallo di 15 minuti)

Heavy Horses
The Zealot Gene
Warm Sporran
Mrs Tibbets
Dark Ages
Aqualung

Encore:
Locomotive breath

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