Articolo di Roberta Ghio | Foto di Sonia Santagostino
Un anonimo lunedì di marzo diventa un giorno speciale se, a fine giornata lavorativa, fuori dall’ufficio c’è la nostra fotografa Sonia ad aspettarti per partire insieme alla volta di Torino. Navigatore impostato con punto di arrivo Pala Alpitour, per la seconda data invernale del High As Hope tour di Florence and the Machine.
Il viaggio è perfetto, si chiacchiera, Sonia mi racconta della prima volta in cui ha visto Florence, al Barclays Center di Brooklyn ed il suo entusiasmo è tale da far crescere ancora di più la mia impazienza ed il desiderio di vedere live colei che, per me, è una vera forza della natura. Finalmente arriviamo a destinazione e dopo un’accurata selezione tra decine di ristorantini all’aperto fronte palazzetto, da cui si levano le note dei grandi successi di Florence e si confondono con i profumi delle piadine e delle salamella, addentiamo un panino e via, entriamo. Sonia va a prepararsi sottopalco, io alla consueta ricerca di un punto con una buona visuale, sperando non mi si pari davanti la solita pertica.
Ad iniziare la serata, gli scozzesi Young Fathers, che propongono al (purtroppo ancora poco) pubblico presente in sala, una selezione di brani a varie tinte, in cui la muscolarità e la potenza di suoni tribali, sprigionati da tamburi voce e batteria, la fanno da padrone, lasciando tuttavia anche spazio a momenti dalle sfumature psichedeliche ed arabeggianti. Impossibile stare fermi, se non in alcuni parti di assolo vocale di intensità tale da sembrare una disperata preghiera.
Via il tendone con raffigurato il volto con cappello dai toni scuri, illuminati solo dal rosso della bocca (copertina all’album Cocoa Sugar) entrano i roadies che, togliendo telone per telone, ci rivelano il palco in listelli di legno chiaro, che risalta sul fondo scuro del palco: lineare, sobrio ed elegante, popolato di strumenti minuziosamente verificati dai tecnici, mentre la mia attenzione è catturata dall’accostamento tra l’arpa e la mela di un Mac già acceso e pronto per il live. Il Pala Alpitour è ormai gremito di coroncine di fiori portate da fan di tutte le età, quando finalmente arriva il riconoscibile momento di silenzio prima del tanto atteso inizio live. Luci color giallo ocra e suoni mistici, accompagnano l’ingresso della machine accolta tra gli applausi che diventano ancora più fragorosi all’ingresso di Florence.
Una dea, avvolta in trasparenze gialle, messe in evidenza da una gamba sensualmente piegata in avanti, scalza. Grazia statuaria, con le vesti leggermente mosse da un impercettibile filo di vento, dà il via alla serata con June, dapprima sussurrata e poi sempre più incalzante, che lei vive dalla iniziale postura statica all’esplosiva danza finale, in cui fluttua per tutta la lunghezza del palco, come sorpresa e rapita da un improvviso vortice di vento, dal quale si lascia trasportare senza una traiettoria ben precisa, per terminare poi chiudendosi su sé stessa nell’improvviso buio della sala. Magica. La danza di festa prosegue con Hunger, brano anch’esso tratto dall’ultimo album High as Hope, durante il quale come una ninfa attraverso la natura, la vediamo correre davanti ai nostri occhi, con il movimento dei lunghi capelli rossi che accentuano la sensazione di libertà, mentre con le braccia quasi ci invita a salire sul palco. Sì. E’ veramente una forza della natura.
In tutta questa esplosione, la sua voce cristallina diventa in un attimo potente, senza alcun passaggio intermedio. Ti lascia senza fiato. Difficile descrivere ogni brano, in cui protagonisti sono la sua voce e la sua fisicità, esile e potente insieme e la sua musica, che grazie all’arpa ed al violino ti porta in mondi e sensazioni d’acqua lontane nello spazio e nel tempo per poi ritornare a colpi asciutti, potenti di pianoforte e batteria. Parla tanto Florence e quando lo fa, i suoi occhi che da ghiaccio vanno a fuoco in un istante, sono dolci, carichi di gratitudine e d’amore. E d’amore è il suo messaggio, ci invita alla connection, parole semplici, credibili e reali pronunciati con voce sottile ed emozionata. Invita dapprima gli spalti ad alzarsi per ballare tutti insieme sulle note della potente Only If for a Night e ci invita poi a tenerci tutti per mano e ad abbracciarci a vicenda.
Mentre ancora viviamo questa festa, le nostre braccia fluttuano al cielo, mentre sulle nostre teste, teloni della scenografia regalano un effetto vela che ci fa navigare con Florence. Pizzichi d’arpa incisivi, ma delicati, introducono Patricia, dedicata a Patti Smith che, ci racconta la nostra dea, le fa sentire la vicinanza alla sacerdotessa del rock, ma mano mano l’intensità è sempre più crescente, fino a liberarsi al cielo con Oh Patricia sempre più battente.
Ma è su Dog Days Are Over, brano degli esordi, che una ragazza poco distante da me mi guarda e mi urla “TI AMO!” e d’istinto le vado incontro ad abbracciarla sotto gli occhi divertiti del fidanzato. E’ tanto l’amore che ci arriva dal palco che questo è tutto normale. Se nei favori chiesti da Florence c’è stato quello di mettere via i telefoni per abbracciarci, ora ci chiede di fare luce, per accogliere Cosmic Love e non posso non pensare che sia il contrasto a quelle parole in cui lei “era” oscurità.
Mi aveva avvisata Sonia, ma non credevo che Florence fosse così, diciamo, impavida. In un attimo, esce di corsa dal pit e scortata da pochi addetti alla sicurezza, corre letteralmente verso il mixer a fondo sala, per terminare da quella postazione Delilah, buttandosi poi tra le braccia del pubblico, senza perdere una nota, proseguendo poi il giro del palazzetto e ritornare verso il palco. Mi passa a pochi centimetri, la guardo e mi appare come una creatura tanto umana quanto soprannaturale. Dopo l’usuale uscita, il ritorno con Big God, in cui Florence è illuminata da un solo fascio di luce su di lei e dal riflesso di piccoli coriandoli dorati che scendono dal soffitto, tra sottili raggi che si sprigionano dal nero fondo palco. Il gran finale con una emozionante Shake It Out iniziata a cappella e terminata con un’esplosione finale
Tra fiori, messaggi d’amore e di pace, ipnotismi, veli e i sofisticati rimandi a Ofelia e a Woodstock , la formula alchemica secretata nell’anima di Florence, anche ieri sera è riuscita a dare vita all’ennesimo esperimento scenico, in cui tutti gli elementi si sono incastrati con una simmetria perfetta e delicatamente ordinata. Non è solo musica, Non è solo stile. Non è solo presenza scenica. La magia di Florence sta in questo. Lei resta. Tu la accogli, la vivi, la respiri come un fatto naturale e assolutamente necessario. E lei continua a restare. E quando le luci si spengono e la musica finisce ti guardi attorno e ti accorgi che no, il “sogno di una notte di mezza estate” non è ancora finito. Florence non è ancora andata via.
Clicca qui per vedere le foto di Florence and the Machine + Young Fathers a Torino (o sfoglia la fotogallery qui sotto).
FLORENCE and the MACHINE – la scaletta del concerto di Torino
June
Hunger
Between Two Lungs
Only If for a Night
Queen of Peace
South London Forever
Patricia
Dog Days Are Over
Ship to Wreck
Moderation
Sky Full of Song
Cosmic Love
100 Years
Delilah
What Kind of Man
Big God
Shake It Out

Sara
19/03/2019 at 19:32
Sono stata anch’io al concerto, e il giorno dopo (già in astinenza da quelle emozioni) ho cominciato a ripercorrere la scaletta e cercare articoli per rivivere la serata. Ho letto questo post e adesso mi manca ancora di più la sua voce, sono carica come durante il concerto e non riesco ancora a credere alla sua potenza dal vivo.
È stata un’esperienza magnifica, grazie per averla raccontata così bene!
Roberta
20/03/2019 at 11:57
Ciao Sara, siamo contenti di essere riusciti con parole e foto a far rivivere le emozioni del concerto :-). Grazie per il tuo riscontro!