Foto di Lara Bordoni | Articolo di Marzia P.
La prima, ultima e fino ad oggi unica volta che ho assistito a un concerto dei Mogwai ero a Barcellona, nella cornice al gusto leggero e hipster del Primavera Sound 2017, stesa su un prato vista mare. In quel caso, Mogwai era un graditissimo Easter Egg della programmazione del festival, si inseriva alla perfezione nella scenografia dell’evento per una preview esclusiva di Every Country’s Sun, allora in uscita a fine anno. Un perfetto intermezzo al tramonto prima di raggiungere i palchi degli headliner.
Pochi anni dopo mi ritrovo a poterli ri-ascoltare dal vivo al Fabrique, in un ambiente non festoso come quello barceloneta; certo uno spazio chiuso, ma intimo, nel locale milanese di via Mecenate, di fronte a paninari e bilici dell’area logistica. Eppure l’impatto è stato immediato. Ho rimpiazzato l’ondeggiare delle palme iberiche con la percezione di cazzotti dati al buio, nell’anima, seguiti da innumerevoli thank you al pubblico a fine di ogni pezzo, ne sono sicura non detti come frase di circostanza.
La band scozzese guidata da Stuart Braithwaite forte di 25 anni di attività è alla sua seconda tappa in Italia per quest’anno (a Roma si è esibita l’altro ieri, e seguirà a Nonantola stasera). Li ha attesi un pubblico attento, profondamente focalizzato su un giovane riservato messia e i suoi colleghi capaci sia di evocare immagini dal profondo che di chiedere di intonare un “buon compleanno” a sdrammatizzare l’intensità della loro performance. Ieratici dinanzi a un nucleo di fedeli che professavano un Credo interiore con qualche accenno di rispettoso headbanging.
Braithwaite e soci sono ingegneri del suono, lo dico rubando le parole a chi l’ha detto uscendo dal concerto. E con la precisione degli ingegneri, ci si assicura che la resa sia perfetta, sia fuori che dentro chi l’ascolta.

I Mogwai stanno al rock come qualcuno ha detto che Robyn sta alla dance elettronica: inseriscono angolature di buchi neri in quello che dovrebbe essere un alt-rock potenzialmente asettico e tingono le chitarre e il synth di malinconia crepuscolare, così che ogni pezzo arriva dritto a cuore e mente a mostrarti l’elefante nella stanza che vuoi ignorare.
In breve, ascoltarli ieri eseguire As The Love Continues è stato come andare da un analista che ci impone con lo sguardo di prendere atto dell’abisso che c’è in noi.
Basta pensare a come è stato aperto il concerto: To the bin my friend, today we vacate on Earth, letteralmente “amico mio, oggi sgomberiamo dalla Terra”. Con la voce fuori campo che anticipa un viaggio su montagne russe a striature shoegaze, battaglie intergalattiche di suoni, un Big Bang l’attimo prima di uscire dalla caverna delle platoniche immagini riflesse e guardare la realtà.
E’ il grande vantaggio di prediligere pezzi strumentali, e limitarne i suoni articolati: non vi sono parole a inquinare il senso profondo di ogni movimento del suono che tocca ogni sfumatura dell’anima. E quelle poche che rimangono sono un compendio a ciò che il suono di bassi esasperati cercano di raccontare di noi. Mentre suonavano Ritchie Sacramento, pezzo dedicato a tutti gli artisti venuti a mancare in questi anni, eravamo in un viaggio in macchina a fissare a un grandissimo immenso paesaggio che sparisce nel sole (all gone, all gone). A volte il paesaggio esplode e ci troviamo a dover attutire le detonazioni che la nostra anima subisce di fronte alle quotidiane epifanie, come in Like Herod. Remurdered ha indagato come una psicanalista junghiana le nostre tendenze maniacali con il suo suo leitmotiv circolare, che sa di vizi mai risolti, mentre Midnight Flit con la sua batteria guidata da un crescendo di violini ha ricordato la drammaticità che solo alcuni frammenti di vita quotidiana sanno regalare.
Non sono chiaramente mancati i classici, primo fra tutti Take Me Somewhere Nice, I Am Jim Morrison, I Am Dead, e l’immensa Mogwai Fear Satan a conclusione che parlano un linguaggio così universale da sembrare quasi opera di una band diversa, ma che hanno unito tutti (i cellulari) al primo accordo. Ma nell’intera scaletta della serata non sono sembrati elementi difformi: questa armonia è il risultato di 25 anni di psiconalisi del gruppo espressi in più di 20 album e che ieri sera ci hanno proposto come terapia dell’anima. E costa anche di meno.
MOGWAI – scopri la scaletta del concerto di Milano
To the Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth
I’m Jim Morrison, I’m Dead
Ritchie Sacramento
Take Me Somewhere Nice
Ceiling Granny
Remurdered
How to Be a Werewolf
Ex-Cowboy
Like Herod
Encore:
Midnight Flit
Mogwai Fear Satan
scaletta non completa
