Articolo di Marzia Picciano | Foto di Riccardo Giori
Se c’è una grande verità, è che le prime impressioni contano. L’altra, non così condivisa come la prima, é che le prime impressioni o in generale le idee possono cambiare, e non necessariamente in peggio. A volte si finisce, semplicemente, per smettere di scorticare e finalmente addentare la realtà che hai da analizzare per capire se ti piace o no, e scoprire che in realtà è persino meglio di quello che pensavi.
Più o meno quello che mi è successo durante l’Ypsigrock 2024, il 10 agosto, quando poche mezzore prima della loro salita sul palco di Piazza Castello ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con Ryan Smith, Jordan Smith, Joe Vickers e Conor Murray in arte i bdrmm – insieme a Riccardo Giori che ci ha seguito con la sua macchina fotografica – quella che é stata la conversazione forse più strana e interessante dei miei ultimi mesi. Partendo da un tema semplice, quello delle etichette, si, quelle che si appiccicano addosso e poi chi te le leva più, per arrivare al temibile “e ora cosa farete? Dove vi vedete tra un anno?” (non mentirò: ho fatto qualcosa di veramente simile a questa domanda da recruiter frustrato da serie di group assessment dove si caccia il lupo nel campione di aspiranti dipendenti e pure l’agnellino da sbranare, dacché é noto quanto entrambi siano fondamentali per i fatturati aziendali).
C’è da dire che una delle band alt rock più interessanti nel panorama musicale odierno, autori, nella fossa di aspiranti post-punkers, se non interpreti di melodie quasi astrali, altro non é che un gruppo di soggetti fantastici che sfuggono al concetto di categoria musicale. E non solo dal punto di vista della loro produzione, sebbene non sia sempre chiaro – non lo era neanche per me, fino a questa intervista. Dove si é anche parlato dei più o meno “fisici” up&downs della vita da stage. Ma cosa vi aspettate da una band con un IG account che si chiama smellybdrmm? Da me, pertanto, potrete avere solo una vera e propria intervista di mrd.
Shoegaze? No grazie
Ryan mi accoglie con un abbraccio, il gruppo é preso benissimo dopo una bella cena siciliana, ci guidano nel backstage del palco di Piazza Castello (che tristezza non averla potuta fotografare) e finiamo sul terrazzo sul retro dove noi apriamo una Coca Cola, loro un Pampero (che andrà dritto sul palco più tardi), ci dicono che si, la Sicilia è quello che loro immaginavano essere l’Italia, e che figo l’Ypsigrock! Martin (Bulloch) aveva detto loro che era il festival più bello al mondo e “so, we are here“. Del resto, tutto é “amazing” per un gruppo di persone inglesi: “basta stare fuori e in piscina ed è già vacanza”. Non pensavano di poter trovare il modo di raggiungere la Sicilia ne tantomeno di arrivare ad avere una fan base “in the Country of Rome”. Non che pensino a una fan base vera per il loro genere ma del resto hanno inanellato un pó di sold out qui nel bel Paese, quindi un pó si, c’è.
Avrei dovuto prendere il Pampero, soprattutto per evitare di iniziare l’intervista sciorinando tutte le influenze trite e ritrite (segnate: Radiohead, Cronemberg, Slowdive, Mogwai e la loro etichetta che ora li produce, dopo un giro di supporting act per il mondo) che si sentono ripetere probabilmente da ogni giornalista infatuato come me da Be Careful e più in generale I Don’t Know, il loro secondo lavoro. Almeno qui ho evitato di dirgli quanto nel pezzo ci sentissi anche gli Stone Roses. Mi sono limitata a servire loro il termine shoegaze. Mi fulmina subito un contrariato Jordan. “Non vogliamo essere intenzionalmente ristretti a una singola categoria. Abbiamo sempre prioritizzato il fatto che non dipendiamo o siamo parte di nessuna single idea … not to sound pretentious as fuck, but…”. Al contrario: sono ben certi di aver mancato alla grande lo shoegaze revival di questi anni.
“Penso che quando il primo album è uscito (Bedroom, 2020) abbiamo fatto alla fine uno shoegaze record, ma non abbiamo fatto nessuno sforzo per renderlo tale. Abbiamo realizzato quell’album e poi nel frattempo è venuto fuori il revival del genere e siamo stati presi nel mezzo, ma, senza voler mancare di rispetto a quello che ritengo sia un genere fantastico, andando avanti, crediamo di essere molto di più. Siamo influenzati da molte più cose di quelle che influenzano lo shoegaze. Stiamo definendo il nostro percorso. Anzi, nell’ultimo album c’erano diverse cose nuove, c’è più elettronica.”
Nuovo album, nuove idee, vecchie tendenze (da evitare)
Anche nella prossima musica, a quanto pare. “Il prossimo album é concluso”, ci dice Joe, e verrà annunciato a breve. Stanno ancora finendo il loro tour per I Dont Know e il prossimo anno ne arriva un altro. Stakanovisti. Dicono, nel lungo passaggio tra il primo e il secondo album hanno avuto parecchio tempo per lavorare e suonare insieme, quindi avevano sviluppato già buone basi per il prossimo album. E aggiunge Joe, dopo che mi sono lanciata abbastanza convinta nella critica al gusto comune per il genere con un banale “si ma ormai é un trend, vogliamo tutti ballare e quindi si balla pure sugli sconosciuti”, che sarà anche “very dancy, sfortunatamente” (per me, intende, e ride).
“Però capisco quello che vuoi dire” prosegue, frenando la mia liscia scivolata sugli specchi. Ci sono molte band, dice, in questi anni, che si sono rivolte a modelli tipo Joy Division etc. E allora c’è un ritorno un pó radiofonico, si cerca anche quello che apprezza l’audience. E aggiunge Conor, c’è anche il fatto che si ascolta sempre più tipi di musica e allora viene naturale voler fare anche te quel tipo di musica, anche più ravy, più house, più elettronica (indicano ad esempio Kymian Law che si è esibito in apertura la stessa sera: quel tipo era “fuckin amazing”). Per Ryan alla fine qui siamo con un pubblico abbastanza adulto, ma c’è spazio e attenzione per altro. “Why not trying developing consistently yourself?” E per i bdrmm l’impronta storica 70-80s (perché a onor del vero rimane una peculiarità della produzione musicale inglese, lo dicono anche loro) é stata coraggiosa e rivoluzionaria, nel mettere chitarre, rumore e rimane al centro della loro ispirazione principale. Peró sono abbastanza critici verso la concezione per cui diverse persone che vogliono posizionarsi come diversi, contro certi “trend” si trovino poi paradossalmente a identificare shoegaze con le ultime tendenze più elettroniche, anche se non lo sono e sicuramente loro, i bdrmm, non mirano ad esserlo. E lo sa anche la loro etichetta, di cui si sentono davvero fortunati. Dice Ryan “Tutte le volte che entriamo in studio sono più o meno così, che ci chiedono: ok, allora oggi cosa avete per noi? Oggi si va per il ballabile? Ok!”
Magari si sono accorti che sudavo un pó freddo (non solo per il raffreddore) all’idea di fare un’altra intelligentissima domanda, per fortuna mi si sono umanizzati portandomi subito le loro avventure da tour dell’ultimo anno, nella classifica dei “meglio” e dei “peggio” momenti. Dove collocare Ryan che in un momento di non eccessiva lucidità decide di mettersi a suonare proprio mentre sul palco si sta esibendo Andy Bell? Per Joe il miglior momento e il peggior momento coincidono con lo stesso malessere da food poisoning (e diverso alcool). Inutile dire che cosa ne è scaturito. Ovviamente, mentre suonavano. Definitely Smelly bdrmm. Ma a quanto pare neanche Keith Richards ne era immune… dicono. Mi hanno promesso che lo show siciliano saprebbe stato pulito, anche se me lo ha promesso un Ryan sornione e arrossato dal sole mentre gli raccomandavo di mettere parecchia Prep sulla faccia. Chissà.
Qualcosa di distopico
I ragazzi hanno bisogno di riposo. Del resto è la stessa Rock Action che gli ha chiesto di rallentare (ma li vedo a mille). Torniamo a bomba sul nuovo disco in arrivo. “Il secondo album è più vario rispetto ai temi e le connessioni logiche a cui si ispira, invece il terzo entra subito dentro il mood elettronico, si sente subito l’impronta di cui parlavamo”. Ci dice Ryan: nel secondo abbiamo più sperimentato; era come se ci preparassimo, se provassimo. Nel terzo album la registrazione, dicono, è stata veloce, anche perché avevano chiaro esattamente quello che volevano fare. Ed è un album distopico. “Guarda a tutte le cose, all this shit, che stanno succedendo in questo mondo oggi, non necessariamente qualcosa in particolare… ma vuole parlare del sentimento di ansia che lo, che ci caratterizza”.
Per Ryan i film di David Lynch e i classici di Orwell (in particolare Animal Farm) rappresentano lo scenario dark e cupo in cui posizionare, idealmente, il loro prossimo lavoro (che fine ha fatto David Cronemberg?). Joe quindi ricorda il lavoro di soundtrack fatto da Trent Reznor, che rimane tra le loro principali ispirazioni (insieme a Brian Parrish, la sua Dolce Vita, e Bjork, scherzano). “È un album dal sapore cinematografico. Con più canzoni, magari più brevi, ma molte di più”. E surprise-surprise, ne hanno inserite anche nel live poco più tardi (e io ci ho sentito dentro un sacco di The Cure).
Sulle vibes di un’intervista assolutamente folle tra il serio e il faceto me ne vado direi contenta e felicemente stravolta. Perché ci guardiamo e identifichiamo solo in termini di reference e contenuti? Diamo per scontato di non riuscire a essere originali, a non poter evitare di avere maestri o guide più o meno sgamate in quello che facciamo? Perché abbiamo bisogno di calcolare la distanza tra quello che facciamo/ci piace fare e quello che l’ha fatto prima di noi? Ai bdrmm di tutto ciò non frega un emerito niente, zero, e si, mi sono vista li, un po’ topo da biblioteca costretta nella scrivania della sua cameretta a ripetere a memoria i testi delle sue canzoni preferite. E forse dandomi la lezione più importante: non negarmi mai l’occasione di farmi fregare, neanche da una defaillance fisica, e soprendere. Attendiamo il prossimo illuminante album.
Ringraziamo Enzo Lorenzi per questa splendida opportunità!