Sonorità dark wave, ipnotiche e intense, incontrano testi intimi e viscerali: “MANIFESTO” è l’album d’esordio di The Light Drown, disponibile da venerdì 21 marzo per GARBO Dischi/Sony Music Italy.
- Ciao ragazzi, benvenuti su Rockon! Partiamo subito dal titolo del vostro nuovo album: MANIFESTO. Suggerisce una volontà di affermazione identitaria forte. Se doveste descrivere il vostro manifesto musicale e umano in poche parole, quale sarebbe il suo messaggio principale?
Diciamo che intitolare l’album Manifesto è stato un po’ il dar voce alle nostre emozioni. E’ ciò che raccontiamo musicalmente, ma anche ciò che descrive le nostre vite. Ogni singola tematica che si ritrovi nell’album racconta momenti della nostra vita, delle nostre esperienze, dal dolore, alla ricerca continua di un sentimento, alla disperazione, al sentirsi persi. L’album racconta letteralmente noi stessi, quindi ascoltando Manifesto si sta ascoltando noi stessi.
- Come siete arrivati alla genesi di questo progetto? Vi esibite già da tempo nei principali club di roma come l’Alcazar, il Wishlist Club e il Traffic Club e avete già creato una community di fan affezionati. Perché ora la decisione di pubblicare il disco, che momento rappresenta nella vostra carriera e vita?
Dopo anni e anni di saletta e di gavetta, Giulio e Stefano hanno deciso di concretizzare il progetto, qualcosa che racchiudesse le proprie singole esperienze passate, musicali e non, e che appunto desse vita a qualcosa di nuovo e originale. Abbiamo lavorato all’ album nel corso di questi due anni con calma e con fermezza, senza avere fretta, sebbene durante la scrittura dell’album ci esibivamo live tra inediti e cover. E’ stato un percorso molto creativo ma anche di crescita. Ci ha dato modo di conoscerci ancor piu nel profondo, di conoscere aspetti musicali anche nuovi.
- Le 8 tracce che compongono l’album mescolano post-punk, emo, dark wave e cantautorato (grazie ai testi viscerali e malinconici). Quali sono le vostre principali influenze musicali e artistiche? Come avete costruito il sound di MANIFESTO?
Si diciamo che sono 8 tracce che fondono un po’ i nostri singoli background musicali. Veniamo rispettivamente dal pop punk californiano, dal metalcore, dal cantautorato italiano. E’ stata un po’ una sfida capire come indirizzare il nostro sound. Generalmente lo scheletro di ogni canzone parte già con un’idea forte di base e viene poi sviluppato nel corso della pre-produzione. Sicuramente un grande aiuto ce l’ha dato Divi.
- Mentre sembra esserci molta attenzione anche ai testi e alla scrittura in generale. Anche qui vi siete ispirati a qualcosa di particolare? Che valore hanno le parole rispetto alle sonorità?
Le sonorità sicuramente colpiscono a primo impatto l’orecchio, forse è il lasciapassare per attirare l’attenzione dell’ascoltatore. Con le parole entriamo dritti nelle emozioni e nella vita delle persone. Ci capita spesso di sentire ragazzi e ragazze dirci che abbiamo raccontato letteralmente ciò che stavano vivendo, un momento no, un periodo buio. E’ il nostro punto di forza.
- “Amore Kamikaze” e “Fuori” parlano di legami intensi, quasi autodistruttivi. Pensate che oggi sia più difficile costruire relazioni profonde o è solo un effetto della nostra epoca di iperconnessione?
E’ sicuramente più difficile avere relazioni e questa cosa forse è anche un po’ la conseguenza del vivere in un mondo social dove tutti sono a conoscenza delle vite di tutti e chiunque può avere un pensiero riguardo qualcuno semplicemente con un click. C’è molta superficialità e poca profondità, ma soprattutto c’è poca voglia di mettersi in gioco in una relazione, forse per paura forse per noia.
- Pensate che la musica possa essere uno strumento per elaborare il dolore e dare voce a chi si sente invisibile? Brani come “Per Me” e “Catastrofe” evocano un forte senso di oppressione legato al quotidiano, tra lavoro, ansia e paura di restare soli. Vedete la vostra musica come una denuncia o una via di fuga?
Assolutamente più una via di fuga, un posto dove rifugiarsi in momenti bui, un posto dove sentirsi meno soli come citiamo appunto in catastrofe, un posto dove sentirsi a casa con i propri pregi, difetti e paure. Per noi la musica è sicuramente l’espressione più forte che esista per affrontare qualsiasi cosa.
- “Stella” è forse uno dei testi più intensi e dolorosi del disco, affronta il tema del suicidio e del bisogno di sentirsi ascoltati. Come è nato questo brano e quale messaggio volete trasmettere con le sue parole?
Stella l’abbiamo scritta per affrontare il tema del dolore e della disperazione. Parla di un tentato suicidio, di quel momento in cui ci si sente persi e si cerca di far capire a qualcuno che è importante, che conta la sua presenza. E’ un modo per esprimere quanto possa essere pesante il buio quando quella persona non c’è. Non è solo un grido d’aiuto, ma anche un invito a fermarsi e a considerare il valore dei legami, anche quando tutto sembra senza speranza.
- C’è una canzone che sentite particolarmente vostra, quella che più di tutte rappresenta ciò che eravate mentre scrivevate questo album?
In realtà non c’è LA canzone. Le adoriamo tutte anche perchè ogni canzone è stata scritta in un momento ben preciso, ben specifico. Sicuramente ”Per Me” nel corso dei mesi da quando è uscita è diventata la nostra canzone d’impatto principale, ma alla fine amiamo ogni singola canzone e amiamo soprattutto suonarle live.
- Quali sono i prossimi appuntamenti live di The Light Drown?
Abbiamo il nostro release party il 28 Marzo al Teatro Lo Spazio a Roma, abbiamo un’altra data a Milano il 4 aprile al Detune e abbiamo altre date anche fuori Roma in fase di aggiornamento, quindi sicuramente non rimaniamo fermi.
